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Tra organizzazioni e professionalità nei servizi alla persona

2. La professionalità nel servizio sociale

2.1 Organizzazione e professionalità

2.1.1 Tra organizzazioni e professionalità nei servizi alla persona

Tra le teorie organizzative maggiormente utilizzate per lo studio dei servizi sociali e socio-sanitari dalla metà degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta del Secolo scorso si è maggiormente distinto, come osserva Manoukian (1998), il paradigma razionale con riferimenti specifici agli ambiti giuridici e amministrativi. Nelle analisi empiriche prodotte in quegli anni, infatti, prevale notevolmente la messa in evidenza di inadeguatezze rilevate e presenti nei servizi rispetto a un modello ottimale. Leggere l’organizzazione alla luce del modello razionale porta

inevitabilmente a denotare lo scarto presente tra la vita organizzativa concreta intessuta di ambiguità e il modello ideale di organizzazione.

Solo all’inizio degli anni Novanta del Novecento, la diffusione delle più recenti teorie organizzative ha favorito l’emergere dell’interesse verso il funzionamento microrganizzativo dove assumono rilevanza i processi dell’organizzare: le azioni, le attribuzioni intersoggettive di significato, aspetti fondamentali per comprendere le logiche presenti nei servizi.

D’accordo con Bifulco (1996), si ritiene che il compito dei servizi sia impossibile se inquadrato in certezze e linearità e se la competenza individuale e organizzativa viene concettualizzata secondo principi di standardizzazione ed eccessiva specializzazione. In questi modo, infatti, si dà luogo all’impossibilità di rispondere a problemi imprevisti che contraddistinguono la quotidianità della vita organizzativa nei servizi.

Oltre alla differenza di paradigmi, che come sopra descritto compone il campo degli studi organizzativi, si rileva che le organizzazioni che producono servizi presentano caratteristiche alquanto diverse dalle organizzazioni produttrici di beni, tradizionalmente analizzate dalle scienze dell’organizzazione e come tali, richiedono un approccio appropriato. In queste organizzazioni è, infatti, fondamentale dare particolare risalto al compito primario, a ciò che l’organizzazione deve realizzare rispetto all’ambiente in cui è inserita. In questo senso l’attenzione di chi progetta non è tanto rivolta, come nelle teorie classiche, alla definizione di ciò che è giusto razionalmente, in astratto; ma alla messa in relazione tra le richieste dell’ambiente esterno e ciò che l’organizzazione è in grado di fornire.

Normann (1985) individua alcune caratteristiche che contraddistinguono in modo specifico le organizzazioni di servizi e in particolare evidenzia l’intangibilità e l’immaterialità dell’output, la congiunzione spazio-temporale dei processi di produzione e consumo, la non trasferibilità nel tempo e nello spazio e le limitazioni nei procedimenti di standardizzazione. Ponendo attenzione a questi aspetti rileva, infatti, uno dei punti centrali che le distingue dalle organizzazioni che producono beni: nei servizi la produzione è contestuale al consumo ovvero si realizza durante le interazioni tra gli attori. Questo comporta anche che i fruitori dei servizi partecipano alla produzione portando necessità, risorse, limiti e capacità. Il prodotto quindi, non è tanto una prestazione di tipo strumentale e procedurale dove si mettono in ordine in modo coerente i mezzi rispetto agli scopi da raggiungere, ma una “costruzione”, dove la

capacità di interazione tra soggetti è anche finalizzata a generare altre relazioni e dove le abilità comunicative acquistano un ruolo centrale.

Un altro aspetto che contraddistingue le organizzazioni che producono servizi e in particolare i servizi sociali, attiene alle difficoltà relative all’individuazione e alla delimitazione non solo del servizio, ma anche della richiesta. Infatti, il disagio sociale portato ai servizi tende a non essere bene delimitato: invade le condizioni economiche, l’equilibrio psichico, la salute fisica, i rapporti interpersonali. La natura immateriale del prodotto rende tali servizi anche difficilmente misurabili e quantificabili, infatti tale immaterialità ha una natura prettamente relazionale che si concretizza nella relazione di aiuto, aspetto di rilevanza fondamentale per la valutazione della qualità dell’intervento professionale (Allegri, 2005, 2007; Campanini, 2006).

Ricerche condotte in questo campo (D’Angella et al., 2003) evidenziano che il funzionamento dei servizi e lo svolgimento concreto delle attività non sono solo continuamente soggetti alle richieste dei destinatari, ma soprattutto dipendono da come vengono colte ed elaborate in quadri di riferimento culturali sedimentati nelle organizzazioni sia espliciti che impliciti. Ad esempio, se in un servizio prevale un quadro di riferimento che privilegia i saperi professionali rivolti alla terapia, saranno presi in considerazioni utenti singoli disposti a trattamenti terapeutici, il lavoro sarà finalizzato al raggiungimento di obiettivi posti nella terapia, le stanze saranno predisposte per adempiere a tale compito, acquisteranno ruoli centrali i professionisti preposti a effettuare tali trattamenti. In altri termini, l’organizzazione che produce servizi poggia la sua attività sulle richieste dell’utenza, sul mandato istituzionale, sulle risorse a disposizione, ma anche sul sistema di produzione dei processi di lavoro (D’Angella et al., 2003), sulle rappresentazioni che gli individui hanno dell’organizzazione e di come queste retroagiscono sul contesto (Manoukian, 1988). In questo quadro, gli aspetti organizzativi che acquistano maggior significato nel lavoro risiedono negli schemi cognitivi e culturali (Schein, 2000; Weick, 1997), nelle pratiche, nelle modalità di interazione, nei processi; in altri termini rimangono sullo sfondo le caratteristiche strumentali dell’organizzazione e affiora la dimensione di costruzione intersoggettiva.

Proprio per la complessità e l’immaterialità dell’oggetto di lavoro, alcuni studi mettono in evidenza anche la natura lasca delle connessioni organizzative che caratterizza i servizi sociali come sistemi organizzativi connessi in modo debole (Manoukian, 1988:130), caratteristica che, se da un lato fatica a generare fenomeni virtuosi,

dall’altro permette non solo che gli errori e i fallimenti rimangano confinati, ma conferisce alla stessa organizzazione maggior flessibilità anche verso l’apertura al cambiamento. Se è vero che tali organizzazioni presentano connessioni deboli e sono il prodotto di azioni e interazioni che costituiscono le pratiche dell’organizzazione, gli studi in questo ambito sottolineano sempre di più il carattere processuale e sociale dell’organizzare.

Un altro aspetto che contraddistingue queste organizzazioni è relativo all’eterogeneità delle competenze professionali. L’importanza del lavoro interprofessionale nei servizi sociali e sanitari è oggetto della riflessione di Piva (2005) che vede il lavoro dei professionisti come essenziale nella “produzione” dell’organizzazione tramite la realizzazione di un programma pluridisciplinare che permette ai professionisti inseriti nella rete di servizi di essere un “gruppo di progetto”. L’enfasi che l’autrice pone su questo aspetto permette:

“di passare da un’organizzazione implicita e subita, a quella vissuta come

risultato di scelte esplicite, flessibili, reversibili” (2005: 13)

dove a una competenza professionale basata su specialismi si contrappone un lavoro interprofessionale che mette al centro il programma per la persona da realizzare anche generando nuovi comportamenti organizzativi.

2.2 La specificità professionale tra teoria e pratica