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La formazione e la produzione delle conoscenze: gli anni Cinquanta

1. Dalla professione alla professionalità

1.2 Il processo di professionalizzazione in Italia nella prospettiva storico-evolutiva

1.2.2 La formazione e la produzione delle conoscenze: gli anni Cinquanta

La crescita della professionalizzazione dell’assistente sociale in Italia porta a differenziare due processi: la formazione e la produzione di conoscenze.

Nella gestione del processo di formazione si registra l’assenza dello Stato e una proliferazione incontrollata di scuole private spesso portatrici di loro interessi30. Scrivono Bisleri e Giraldo:

“Nella misura in cui lo Stato mantiene un atteggiamento di attendismo e di non regolazione dell’intervento, induce la proliferazione disorganica di

29 Bernocchi Nisi (1984) offre un articolato quadro delle differenti ispirazioni delle scuole di servizio sociale presenti in Italia riassumibili in:

- laiche (U.N.S.A.S. Unione nazionale scuole assistenti sociali, C.E.P.A.S. Centro educazione professionale assistenti sociali, Roma, fondata da Guido Calogero, filosofo diretta da Ponzo);

- cattoliche (O.N.A.R.M.O. Opera nazionale assistenza religiosa e morale degli operai -1946);

- laiche di ispirazione cattolica (confluiscono nel 1947 nell’E.S.I.S.S. Ente nazionale scuole italiane servizio sociale a Roma De Menasce a Milano O. Vallin).

30 Per i dati relativi all’aumento numerico delle scuole vedasi:

Gazzaniga L. “Diffusione e sviluppo delle scuole di servizio sociale:1950-1965” in AAVV “Le scuole di

servizio sociale in Italia. Aspetti e momenti della loro storia”, Fondazione E. Zancan, Padova, 1984. Nel contributo di Cremoncini V.M. “Spunti sul dibattito intorno alla professionalità” contenuto nello stesso testo, risulta che in successivo studio condotto dall’A.A.I. nel 1960 risultavano attive 55 scuole

agenzie formative, alimentando spesso interessi privatistici e corporativi sia nel settore pubblico che nel privato” (1990:94).

Oltre a questo fenomeno, sul versante della formazione, si può parlare di accrescimento delle tecniche: è il decennio che gli studiosi di servizio sociale definiscono come “fase di diffusione tecnica” (Ferrario, 1984:162), “come periodo della professionalizzazione e della

tecnicizzazione” (Neve, 2000:96). Si legge in Ferrario:

“Negli anni che intercorrono dal 1950 al 1962 gli insegnamenti metodologici si strutturano progressivamente nei programmi scolastici passando da un unico corso di “assistenza sociale” a corsi pluriennali differenziati per ogni metodologia e per livelli di apprendimento31(Ferrario, 1984:162).

Per contro, il processo produzione di conoscenze si “importa” da altri Paesi: l’A.A.I. (Associazione aiuti internazionali) per aiutare nella ricostruzione chiama docenti americani che portano nel contesto italiano apporti teorici maturati all’estero (Ferrario, 1984)32. Si genera così, nel processo di produzione delle conoscenze, una condizione di subordinazione nei confronti di elaborazioni teoriche maturate in altri Paesi che “colonizzano” la formazione del servizio sociale italiano tramite il trasferimento dell’acquisizione di tecniche. Infatti, per quanto la base teorica professionale possa essere universalmente condivisa, l’applicazione di metodi e tecniche maturati in altri contesti non si è rilevata sempre d’aiuto alla realtà italiana per la natura legata allo specifico ambito territoriale in cui nascono, si sviluppano e possono essere fronteggiati i problemi.

In questi anni si può notare che la formazione alla professione non assume una verticalizzazione nel raggiungimento dell’ambito accademico, ma si estende orizzontalmente nel territorio nazionale utilizzando i finanziamenti messi a disposizione dalle associazioni internazionali. Per alcuni decenni le scuole di servizio sociale rimangono al di fuori del contesto universitario33 in quanto l’inserimento nell’accademia, luogo considerato chiuso e elitario, viene visto con diffidenza perché

31 Il riferimento è al case-work, al group-work e al community-work, mentre, per quanto presenti, sono stati considerati insegnamenti accessori “amministrazione dei servizi” e “metodologia della ricerca”.

32 L’elenco delle attività e delle iniziative di maggior rilievo realizzate dall’A.A.I. in materia di insegnamenti professionali durante gli anni 1952-1962 sono riportate da Ferrario F. “Le metodologie

professionali nella storia delle scuole di servizio sociale” in AAVV Le scuole di servizio sociale in Italia.

Aspetti e momenti della loro storia”, Fondazione E. Zancan, Padova, 1984 in particolare alle pp.167-168.

portatore dell’inevitabile scollamento tra teoria e pratica, aspetto considerato essenziale per la specificità che contraddistingue il servizio sociale. Scrive Visalberghi (1969), relativamente alla formazione universitaria degli assistenti sociali, cercando di soppesare vantaggi e svantaggi :

“Fra gli svantaggi… ci sembra ci sia quello che si venga a perdere il carattere più originale dell’educazione al lavoro sociale e cioè lo stretto legame tra teoria e pratica, con il rischio che il tradizionale “approccio accademico” riesca a conquistare anche quest’isola” (in Diomede Canevini, 1984:104).

Allargando lo sguardo alla letteratura esistente e a quanto avvenuto in altri Paesi con l’inserimento del servizio sociale in ambito accademico, si può sostenere che il temuto rischio italiano porti in sé elementi di fondatezza. Secondo i sociologi delle professioni, infatti, la frattura tra accademici e praticanti è inevitabile in quanto i primi, sono attenti alla coerenza logica e rigore scientifico, mentre i secondi alla risoluzione di problemi concreti e contingenti (Abbott, 1988:53). In Gran Bretagna, ad esempio, l’inserimento nell’accademia ha portato a una conflitti tra accademics e practitioners su termini chiave quali: pensiero e azione, conoscenza scientifica e senso comune (Fargion, 2007). In Italia la salvaguardia di questi aspetti e il mantenimento delle scuole esterne all’ambito accademico, se fu un vantaggio per la formazione non solo concettuale-teorica ma di scambio con realtà territoriale e socio-assistenzialeha però portato anche elementi di criticità, quali il non riconoscimento giuridico del titolo e la mancanza di una sede ufficiale per la ricerca e la teorizzazione (Campanini, 2005a).

Da quanto sopra emerso si può quindi sostenere che negli anni Cinquanta del Secolo scorso, ma anche per alcuni decenni successivi, la collocazione delle scuole in un ambito formativo esterno all’accademia non ha permesso al servizio sociale come professione lo svolgimento di un’attività di ricerca scientifica, svolta da altre professioni inserite nell’ambito accademico.