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Dall’ acquisizione di metodi importati al rifiuto

2. La professionalità nel servizio sociale

2.3 Le teorie: dalle origini all’attualità

2.3.1 Dall’ acquisizione di metodi importati al rifiuto

In Italia, dagli anni Quaranta fino agli anni Settanta del Novecento, la consapevolezza delle teorie di riferimento del servizio sociale è poco presente: vi è soprattutto l’urgenza che gli assistenti sociali acquisiscano un metodo di lavoro, mentre marginali rimangono le teorie collegate ai metodi insegnati.

Si possono individuare almeno tre fasi della professionalità intesa come acquisizione di specifiche conoscenze: una prima fase, collocabile tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del Secolo scorso è legata all’acquisizione di metodi e tecniche importati dall’estero; una seconda fase individuabile dalla fine anni Sessanta all’inizio degli anni Settanta è relativa a un’idea di professionalità che nega e rifiuta quanto precedente considerato come conoscenza specifica, infine, una terza e ultima fase (che verrà sviluppata nel successivo paragrafo), individuabile a partire dagli anni Ottanta vede la

professionalità dell’assistente sociale fortemente legata al possesso di conoscenze professionali specifiche e incardinate nel contesto di appartenenza.

Il convegno di Tremezzo, nel 1946, segna il punto d’inizio della prima fase: l’enfasi precedentemente posta sullo spirito altruistico e sulle attitudini personali viene ad attenuarsi a favore di un richiamo alla responsabilità formativa delle scuole, motivata dal ruolo assunto dalla figura professionale dell’assistente sociale 63. Scrive Vallin:

“l’assistente sociale è la professionista che fa da tramite tra l’individuo e la

società… l’assistente sociale procura agli Enti interessati l’esatta conoscenza dei bisogni con le sue inchieste, la conoscenza particolareggiata dell’ambiente inquadrata in una larga visione sociale” (Vallin, 1947:741-742).

La spinta verso una concezione di professionalità legata all’acquisizione di metodi e tecniche specifici, si può notare, come emerge dalla letteratura esistente, sia dal dibattito emergente nei Convegni, sia dai programmi delle scuole di servizio sociale in Italia dove, fin dagli anni Cinquanta del Secolo scorso, vi è l’inserimento nei programmi dei metodi statunitensi64. Al casework, primo metodo introdotto in Italia, hanno poi fatto seguito altri due metodi: il group-work e il community work ; tre metodi considerati “classici” perché hanno composto la tripartizione metodologica del servizio sociale 65. Successivamente, il Convegno di Fregene, nel 1961, avente per tema

63 Anche Vallin individua le caratteristiche personali dell’assistente sociale ideale in “una forte

personalità, una tempra organizzativa e una squisita sensibilità umana…tempra morale…ottimismo naturale” in O.Vallin “Problemi della formazione tecnica delle assistenti sociali e dell’organizzazione

delle scuole di servizio sociale” (1947 :752) raccolto negli “Atti del Convegno per studi di Assistenza sociale Tremezzo (Como) 16 settembre-6 ottobre 1946”, Marzorati Editore, Milano, 1947.

64 Per l’inserimento dei metodi in Italia vedasi Ferrario F. “Le metodologie professionali nella storia

delle scuole di servizio sociale” in AAVV Le scuole di servizio sociale in Italia. Aspetti e momenti della

loro storia”, Fondazione E. Zancan, Padova, 1984 pp 162-163 dove riporta che il case-work, presentato in Italia nel 1952 si diffonde dal 1951 al 1954, il group-work è presentato nel 1956, ma insegnato già a partire dal 1954 e fino al 1956, il community-work è presentato in Italia nel 1958 ma insegnato già a partire del 1956, “ricerca sociale” si diffonde a partire dal 1958 e “amministrazione dei servizi sociali” viene inserita nei programmi delle scuole negli anni Sessanta.

65 Per i tre metodi vedasi Biestek F.P.“I cinque metodi del servizio sociale” Malipiero, Bologna, 1960 dove sono riportate anche le seguenti definizioni:

- casework come un metodo “in cui la conoscenza delle relazioni umane e la tecnica del rapporto sono

usate per mobilitare le risorse del cliente e della comunità allo scopo di facilitare l’adattamento dell’individuo a tutto o a parte del suo ambiente” pag 33;

- il group-work “un metodo di aiutare l’individuo attraverso il gruppo” pag 73;

- organizzazione di comunità come “processo per il quale le persone appartenenti alla comunità, come

individui e come rappresentanti di Enti, si uniscono per determinare le esigenze del benessere sociale, al fine di pianificare i mezzi per soddisfare tali esigenze e per mobilitare le necessarie relative risorse” pag 105.

L’autore parla di cinque metodi perché all’inizio degli anni Sessanta a questi tre metodi considerati classici nel servizio sociale si affiancarono anche “organizzazione e amministrazione dei servizi sociali” e “ricerca applicata al servizio sociale” (Biestek, 1960), altri due metodi che portarono al riconoscimento

dominante la professionalità, sottolinea la doppia valenza delle natura professionale dell’assistente sociale sia nei confronti delle persone sia nel rapporto con le organizzazioni. A questo proposito Ferrario scrive:

Si attribuiscono al servizio sociale funzioni e compiti sostanzialmente in due direzioni: educativi e clinico-riabilitativi e verso le strutture di intervento burocratico e promozionale” (1984:199).

Anche le scuole cercano di riequilibrare il peso dato al servizio sociale individuale per ripensare, alla fine degli anni Sessanta del Novecento, un collegamento più preciso con il territorio (AAVV, 1984) 66.

La seconda fase, che si sviluppa negli anni Settanta del Secolo scorso, è prevalentemente connotata dalla difficoltà a far corrispondere gli insegnamenti teorici, soprattutto quelli metodologici, alle esigenze del lavoro pratico. L’interrompersi della riflessione metodologica provocata dalla contestazione porta al rifiuto delle componenti tecniche del ruolo professionale e all’aderenza al ruolo politico. L’aspetto professionale dell’assistente sociale, secondo Ferrario:

“si esprime nel mettere a disposizione delle persone il proprio bagaglio di conoscenze per favorire la presa di coscienza, l’assunzione della propria vita e l’organizzazione collettiva” (1984:219).

Si passa così come rileva Campanini:

“da un agire tecnico orientato all’adattamento dei soggetti all’ambiente …verso un’azione politica che cercava alleanze nella partecipazione dei cittadini per modificare le strutture sociali” (1999:74).

Sempre più si sviluppa la convinzione che la divisione tra i metodi sia artificiosa e che il servizio sociale come attività professionale abbia una dimensione unitaria fondata su i valori democratici, i principi di rispetto della persona, il metodo seguito e la centralità delle caratteristiche personali.

66 Fu organizzato dal gruppo di scuole di servizio sociale che per iniziativa dell’AAI si raccoglieva intorno al “comitato dei direttori” e si svolse dal 23 al 31 ottobre in V.M. Cremoncini, “Spunti sul