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4. La ricerca

4.4 Il metodo e le tecniche

Coerentemente con quanto già precedentemente affermato, gli obiettivi, gli interrogativi e l’approccio adottato in questa ricerca privilegiano lo studio dell’interazione fra gli attori sociali coinvolti nella pratica lavorativa dell’assistente sociale. Di conseguenza, si ritiene opportuno utilizzare un metodo qualitativo in quanto si vuole accedere alla prospettiva del soggetto studiato (Corbetta, 2003) per comprenderne il punto di vista. Il carattere qualitativo appare particolarmente indicato in quanto la ricerca si rivolge alla comprensione, nel senso weberiano del termine, delle

azioni prodotte dall’assistente sociale e alle interazioni con tutti i soggetti coinvolti in queste azioni. Infatti, come si è più volte ripetuto, l’assistente sociale costruisce la sua professionalità nell’interazione con altri attori con cui interagisce e, come tali, partecipano al processo di costruzione del lavoro.

Dal punto di visto metodologico questa prospettiva rifiuta i metodi dell’indagine quantitativa in quanto non consentono di cogliere l’esperienza e il punto di vista dei soggetti che attraverso l’interazione, danno un senso alle situazioni (Bruni, 2003:16). Adottare un approccio qualitativo significa, invece, indagare come viene costruita e come prende forma la professionalità degli attori nei contesti in cui operano. Questo approccio rende possibile capire come si sviluppa la competenza professionale a partire dalle pratiche lavorative dell’assistente sociale, cioè attraverso quali meccanismi gli assistenti sociali costruiscono il loro agire professionale. Ci si colloca quindi nel campo dell’etnometodologia, corrente di studi che rivolge il suo interesse a ragionamenti pratici e attività ordinarie e introdotta in Italia da Giglioli (Giglioli, Dal Lago, 1983). Con le parole di Fele (2002) si può dire che il termine etnometodologia sta ad indicare come le persone (etno) utilizzano inconsapevolmente dei metodi per stabilire su basi ragionevoli il comportamento proprio e di altri nel mondo. Di questa corrente si intende utilizzare il metodo privilegiato, quello etnografico che, se si guarda al numero di pubblicazioni che approfondiscono gli aspetti teorici e metodologici di questo genere di ricerca, si sta affermando come importante metodo nelle società contemporanee (Melucci, 1998; Colombo, 2001; Gobo, 2001; Marzano, 2006).

Nella ricerca assume un’importanza fondamentale il contesto entro cui le pratiche vengono messe in atto. L’ufficio di servizio sociale comunale, in questo senso, contribuisce a costruire la cornice entro cui le azioni si svolgono e prendono forma, definendone così in modo strutturato i confini. Da un punto di vista etnografico, l’organizzazione è un artefatto sociale, un’invenzione collettiva mantenuta in vita attraverso l’azione, il linguaggio, i simboli, i rituali, le modalità di controllo, le tecnologie e gli oggetti materiali; attraverso una serie di elementi che, nel loro insieme, “fanno” organizzazione (Bruni, 2003). In tale prospettiva, le organizzazioni si costituiscono come fenomeni processuali che emergono dagli atti intenzionali delle persone che agiscono individualmente o assieme ad altri (Strati, 1996:72). Sebbene i casi di studio siano accomunati per il fatto di riferirsi all’ufficio di servizio sociale e alla stessa area di intervento individuata nel settore degli anziani, le cornici entro cui gli attori interagiscono appaiono estremamente diversificate. Non solo i due contesti

assumono configurazioni diverse, ma anche gli stessi attori li interpretano in maniera differente in relazione alle loro rappresentazioni. In questo senso, indagare la costruzione della professionalità dell’assistente sociale a partire dalle pratiche lavorative non può essere sradicata dall’organizzazione in cui si costruisce.

Per quanto riguarda le tecniche di ricerca, il lavoro si avvale di una “triangolazione” tra osservazione diretta, interviste non strutturate e strutturate e analisi dei documenti. L’osservazione si è svolta prevalentemente nell’ufficio di servizio sociale per gli anziani e in particolare si è rivolta alle attività svolte dagli assistenti sociali; principalmente si è assistito ai colloqui nei diversi contesti in cui si realizzano: in ufficio, al telefono, al domicilio degli utenti (Zini, Miodini, 2006). I processi e le attività sono stati il focus dell’osservazione (Becker, 2007), in particolare ci si è concentrati sul “come” vengono svolte le attività che connotano il lavoro dell’assistente sociale nella presa in carico dei casi114. In tal senso, l’utilizzo dello shadowing si è rilevato particolarmente utile perché ha facilitato l’osservazione di azioni e interazioni degli assistenti sociali nei luoghi in cui si effettuano, ha reso così mobile anche l’ attività etnografica.

Se si adotta lo schema proposto da Piccardo e Benozzo (1996) per lo studio delle organizzazioni è possibile distinguere tre dimensioni verso cui sono state rivolte le osservazioni: la “struttura fisica” ossia la dislocazione degli uffici, la “struttura sociale” ovvero le relazioni che esistono tra gli attori nel contesto di riferimento in termini di ruoli e compiti; e in ultimo le “interazioni tra gli attori” sia formali sulla base del ruolo, sia informali, ossia le interazioni quotidiane nella giornata lavorativa. Il riferimento a questo schema ha permesso di prendere in considerazione tre aspetti importanti delle pratiche lavorative degli assistenti sociali.

Oltre alle osservazioni, la ricerca si è sviluppata attraverso interviste rivolte a tutti gli assistenti sociali dell’area anziani dei due comuni115 . Tale tecnica ha consentito una maggiore profondità di studio in quanto è stato possibile definire meglio alcuni aspetti che solo con l’osservazione si erano rivelati poco comprensibili e/o raffinare interpretazioni che si erano solo abbozzate116. L’utilizzo delle interviste ha consentito

114 L’attenzione sui processi e sulle attività e non sulle persone è indicato da Becker (2007) come un “trucco del mestiere” che si è rilevato molto utile per il lavoro sul campo soprattutto essendo alla prima esperienza etnografica.

115 Dal punto di vista del campionamento dato il ristretto numero di assistenti sociali operanti nell’ufficio anziani le interviste hanno coperto l’intero universo di riferimento.

116 Accade spesso nelle ricerche etnografiche che si basano prevalentemente sull’osservazione partecipante che gli attori osservati vengano intervistati anche per chiarire i dubbi del ricercatore sulla

di rilevare empiricamente interessanti discrasie tra gli aspetti istituzionali delle procedure che gli assistenti sociali “dovrebbero rispettare” e il livello tecnico/pratico del lavoro. Inoltre, le interviste hanno contribuito a comprendere meglio le strategie attraverso le quali gli assistenti sociali aggirano le norme presenti nel contesto lavorativo, declinando la pratica lavorativa in modi originali non tanto ad uso individuale, quanto piuttosto in una collaborazione tra colleghi che si parlano e confrontano a vicenda, rendendo le loro pratiche reciprocamente visibili e udibili. Infine, si è effettuata l’analisi della documentazione. Data l’eterogeneità del materiale documentativo, averne accesso non è stato sempre facile, anche per la riservatezza che connota soprattutto la documentazione denominata da Bini (2003, 2005) propriamente professionale, ossia “la produzione dei documenti riferiti alle diverse articolazioni dell’attività dell’assistente sociale” (2005:205). Tra questi ultimi ci si riferisce in particolare alla cartella sociale e alle schede che riguardano l’accesso delle persone al servizio, il diario sociale e le relazioni sociali. Dato il carattere di riservatezza di tale documentazione è stato possibile, durante la permanenza sul campo, solo consultarla in ufficio nei momenti di presenza nel servizio. Altra documentazione, invece è stata di più facile accesso, in particolare si sono presi in considerazione due tipologie di documenti: i testi normativi e programmatori. Con i primi, ci si riferisce ai Regolamenti presenti nel servizio che, da una parte, fanno riferimento al quadro interpretativo entro cui si sviluppano le linee d’azione scelte dall’Ente sulla base della normativa nazionale e regionale esistente; dall’altra parte, forniscono indicazioni utili in relazione alle tipologie di intervento che gli assistenti sociali possono intraprendere. I secondi, per i quali l’accesso è stato più semplice (spesso sono accessibili dal sito del comune), riguardano nello specifico i Piani di zona vigenti, ossia gli strumenti utilizzati a livello locale, o meglio, distrettuale, sia per rendicontare le attività svolte a favore dell’utenza sia per programmare i servizi da attivare.

La metodologia utilizzata e le tecniche di raccolta dei dati hanno consentito di delineare un disegno della ricerca aperto e flessibile. La triangolazione delle tecniche, in particolare, ha permesso di costruire il disegno della ricerca in maniera circolare e interattiva: la raccolta dei dati, infatti, si è realizzata integrando le tecniche una con l’altra e non seguendo fasi successive. Si sono ridefinite, di volta in volta le principali dimensioni dell’oggetto di studio e i focus dell’indagine, in modo da creare una reale interazione tra le diverse tecniche utilizzate. La ricerca, di conseguenza, è apparsa estremamente dinamica in quanto non ha seguito un percorso sequenziale costituito da

fasi indipendenti fra loro, ma si sono modificati in itinere alcuni aspetti, confermandoli o correggendoli, sulla base dei dati già raccolti in precedenza (Marzano, 2006). Infatti, inizialmente, ci si è concentrati sull’osservazione, in modo tale da fornire un ampio materiale relativo alle pratiche lavorative degli assistenti sociali che è stato, di volta in volta, integrato con la consultazione delle cartelle sociale. Una volta acquisiti tali materiali, sono state effettuate le interviste che hanno permesso, non solo di comprendere meglio alcuni aspetti emergenti dalle osservazioni, ma anche di far emergere nuovo materiale documentativo. La raccolta dei dati, nelle sue tre forme, è avvenuta simultaneamente senza, cioè, concludersi definitivamente prima di passare all’utilizzo di una nuova tecnica. In concreto, quindi, si è realizzata contemporaneamente a una fase di analisi e di riflessione orientata all’individuazione degli aspetti maggiormente significativi per la ricerca. Queste riflessioni hanno permesso di utilizzare quanto emerso, per dirla con Blumer (2008) come “concetto sensibilizzante” ossia come concetto che indica la direzione nella quale guardare. La raccolta dei dati successivi si è, quindi, indirizzata verso le dimensioni che attraverso l’analisi dei dati sono emerse come maggiormente rilevanti. In questo senso, sia le tecniche sia il metodo utilizzato sono state risorse preziose, perché hanno permesso di costruire un percorso aperto e dinamico, in grado di adattarsi a quanto emergeva dal campo e evitando così di vincolare la ricerca a dimensioni stabilite a priori.

In conclusione, si evidenziano due aspetti problematici emersi e affrontati tramite adattamenti in itinere facilitati anche dalla dinamicità del disegno della ricerca117.

In primo luogo, rivolgendosi all’analisi delle pratiche lavorative degli assistenti sociali, la formazione di assistente sociale mi ha condotta all’interesse per lo studio di tale pratica durante tutto il processo di aiuto. Di fatto, poi, i tempi limitati della ricerca e quelli dilatati della costruzione e dell’attuazione dei progetti di intervento, non sempre sono coincisi, in quanto, spesso, l’assistente sociale lavora con le stesse situazioni anche per anni. D’altra parte, i limiti temporali della ricerca non hanno permesso di poter seguire interamente i processi di presa in carico osservati e la necessità di interrompere la raccolta dei dati non ha consentito di poter prendere in considerazione le fasi conclusive di tali processi. Questo aspetto rimane alquanto problematico, da un lato, perché richiede tempi lunghi di permanenza sul campo quantificabili anche in anni

e dall’altro perché, forse anche per questo motivo, non vi sono studi di caso relativi alla conclusione del processo di aiuto dell’assistente sociale.

In secondo luogo, un altro aspetto che ha dovuto essere rivisto, ha riguardato il tempo di permanenza sul campo. Infatti inizialmente, si prevedeva un periodo di circa sei mesi per ogni servizio, che è stato sensibilmente ridotto rispetto alle iniziali aspettative a due mesi, a causa del protrarsi oltre il previsto, della fase di accesso al campo118 (questo aspetto viene trattato più ampiamente nel prossimo paragrafo).

In entrambi le situazioni, la contrazione dei tempi di lavoro sul campo, da un lato, e l’effettiva ridotta presenza nel servizio rispetto ai tempi di realizzazione dei progetti di aiuto, dall’altro lato; sono state compensate dall’effettuazione di interviste. Tale tecnica ha infatti permesso di integrare e completare in alcuni aspetti il materiale raccolto tramite le osservazioni. Inoltre, l’utilizzo delle interviste ha consentito anche di ripensare alle osservazioni alla luce di nuove dimensioni che inizialmente non erano state prese in considerazione.

4.5. L’esperienza dell’osservazione partecipante