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Considerazioni d’autore sulla Tuscia

La Provincia di Viterbo e l’immigrazione

5.6 Considerazioni d’autore sulla Tuscia

La Provincia di Viterbo è una terra ricca di storia, il che significa città antiche, vecchi borghi, strade e insediamenti romani, tagliate e necropoli etrusche, chiese e palazzi papali. Vi si trovano addirittura testimonianze neolitiche e dell’antichissima civiltà “Villanoviana” (IX- VIII secolo a.C.). Ma anche un ambiente naturale decisamente eterogeneo, che va dalle

pietre laviche dei tre laghi che vi si adagiano (Bolsena, Vico, Bracciano) ai calanchi di Civita di Bagnoregio; dalle forre e ai torrenti che scavano il tufo ai travertini della valle del Tevere; dalle dolci colline che vanno da Tuscania alle coste del Mar Tirreno alla imponente faggeta del Monte Cimino. Un territorio che, così costituito, offre continui cambi di prospettiva e che, come abbiamo visto, è stato in gran parte risparmiato dalla speculazione edilizia, mantenendo il suo carattere contadino o piccolo borghese. Per questi motivi molti sono stati nel tempo gli artisti e gli intellettuali che vi hanno soggiornato o che hanno speso le loro parole per descriverne le particolarità, da Montaigne a Pirandello. Ma ad interessarsi alla Tuscia in maniera costante e massiccia, complice anche la vicinanza con Roma e Cinecittà, è stato il cinema, ritrovando nei suoi scenari naturali ed umani i paesaggi altrimenti perduti di epoche ormai trascorse, da far rivivere attraverso le scene dei film.

“In molti hanno trovato questi luoghi fonte di ispirazione e paesaggio ideale per ambientare le proprie visioni e storie: da Fellini a Pasolini, da Monicelli a Orson Wells, da Visconti a Rossellini, da Comencini alla Cavani, dai registi di western all’italiana fino alle più recenti fiction televisive” (Pelliccia 2008: 11).

Ecco cosa dice Fellini in un intervista ad “Epoca” del 1959:

“La mia avventura fantastica a Viterbo è di quasi dieci anni fa. Erano i primi anni che avevo la macchina, e la macchina più che un mezzo di locomozione voleva dire per me uno strumento di scoperte nel paesaggio, in Roma e soprattutto intorno a Roma. Il mio primo movimento è stato anzi in certo senso un evadere da Roma: la campagna intorno mi attirava enormemente, con tutto il suo potere così misterioso, pagano ma anche mistico, con la sua solennità che si fonde senza contrasti con la più assoluta aridità. E proprio in una di queste scorribande mi imbattei in Viterbo, che per me significava il ritorno alla provincia: le sue strade con la gente che cammina nell’aria intorpidita, anche quando c’è ombra, i negozi che espongono verso le vetrine oggetti e cose che non si trovano più in città, quell’aperto oziare che non è mai vuoto, è sempre pieno di echi dolcissimi, quel senso della città antichissima, borghese e aristocratica, così misteriosamente italiana... Io non ho mai visto i paesaggi da turista, dall’esterno: non ho mai voluto conoscere dei paesaggi, ho sempre cercato di riconoscerli. Penso che un paesaggio può, con una linea, un gesto di colline, salvare addirittura una persona, comunicargli un messaggio prezioso. Viterbo, così alle porte di Roma, è stata per me la città che traduceva in questa dolcezza di memorie, di provincia sincera, abbandonata, addirittura la grandezza del Lazio, il senso della vita intorno a Roma. Viterbo restituiva a

un sapore d’infanzia addirittura la forza di Roma, che per me era stata solo la città della giovinezza. Viterbo mi faceva capire Roma e me la riconsegnava filtrata già nella memoria. A Viterbo ci sono le fontane, i vecchi alberghi con dentro le luci accese, nell’ombra, anche di giorno (una frescura meravigliosa d’estate) e le campane che battono come se risuonassero dentro casa: tre cose che mi hanno sempre dato angoscia, ma anche dolcezza: come se si mescolassero più intimamente a tutti gli echi che mi porto dentro. E che cosa si può desiderare di più da una città, che altro motivo si deve avere per amarla profondamente?” (Fellini 1959).

Non tutti sanno poi che negli ultimi cinque anni della sua vita Pasolini visse anche in Tuscia. Lo scrittore e regista conobbe per la prima volta il territorio perché gli venne suggerito di girare lì le prime inquadrature del film “Il Vangelo secondo Matteo”, che entrò in lavorazione nella primavera del 1964, a Chia, frazione di Soriano nel Cimino. Qui infatti fu girata la scena del battesimo di Cristo. Per rappresentare il Giordano fu scelto il Torrente Castello che scorre sotto la torre medievale di Chia, in uno scenario incontaminato di rocce selvagge. Pasolini avvertì profondamente il fascino di quel rudere del XIII secolo, immerso in un bosco di “querce rosa” (Pasolini 1999b: 1131), su una vallata avente per sfondo gli Appennini che “sanno di sabbia calda” (ivi). Desiderò subito acquistarlo, ma, come molte cose della sua esistenza, anche questa non fu di facile realizzazione. L’inquietudine per la difficoltà di affrontare gli ostacoli che gli si presentavano si coglie appieno in questi versi scritti nel 1966:

[..] ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti, che io vorrei essere scrittore di musica, vivere con degli strumenti

dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta

innocenza di querce, colli, acque e botri […]” (Pasolini 1966: 58).

L’acquisto gli riuscì solo nel novembre 1970, quando, come scrisse Enzo Siciliano nella sua biografia di Pasolini: “A Chia, nel paesaggio forte e soave dell’Alto Lazio, pervaso di un’arcaica malinconia, Pier Paolo avrebbe costruito la casa dei suoi estremi ritiri” (Siciliano 1995: 361). La torre fu restaurata e trasformata in un’abitazione-studio, dove spesso negli ultimi anni della sua esistenza Pasolini amava rifugiarsi, quasi per sfuggire ad una realtà che

una solitudine reale, scelta come un bene” (Pasolini 1999: 640). In questo luogo “perfettamente arcaico” che gli ricordava il Friuli della sua infanzia “paesana e campestre”, Pasolini riusciva a lavorare meglio che in ogni altro posto. Qui, nello studio a vetri che si affaccia su dirupi scoscesi, furono scritte alcune pagine delle “Lettere Luterane”, una raccolta di interventi ed articoli pubblicati nel 1975, anno della sua morte, sul quotidiano “Corriere della Sera” e sul settimanale “Il Mondo”, contenenti una violenta requisitoria contro l’Italia del tempo “distrutta” da una classa politica corrotta, dall’ “ansia di conformismo” e dal consumismo dilagante. Qui a partire dall’estate 1972 Pasolini cominciò a scrivere un romanzo, in cui diceva di voler delineare il proprio autentico autoritratto, sullo sfondo dell’Italia industriale del tempo, “Petrolio”.

Ho voluto riportare queste testimonianze per far meglio comprendere come questo territorio, a soli 70 km da Roma, abbia mantenuto nel tempo quelle caratteristiche peculiari di un Italia che in molti altri posti non esiste più.

Cap. VI