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Uno sguardo d’insieme sull’immigrazione in Italia e nel Lazio

La Provincia di Viterbo e l’immigrazione

5.1 Uno sguardo d’insieme sull’immigrazione in Italia e nel Lazio

Al 1° gennaio del 2010, a 20 anni dalla prima regolarizzazione voluta per una crescita improvvisa della popolazione straniera in Italia (160% rispetto ad un censimento precedente), si possono fare delle stime del fenomeno migratorio, costi e benefici, vantaggi e svantaggi.

Partiamo da considerazioni di ordine numerico: gli immigrati erano nel 1990 circa 500 mila, oggi sono 5 milioni. La popolazione straniera residente quindi è aumentata di 20 volte. In questi numeri tra l’altro non vengono calcolati i migranti non residenti. La presenza degli stranieri in Italia di conseguenza, essendo gli italiani residenti circa 60 milioni, ha un incidenza pari almeno al 7%. Il 51% di loro sono donne. La maggior parte dei residenti è situata al centro/nord (86,9%), con una netta prevalenza al nord (61,6%). All’interno del nord abbiamo un’altra significativa suddivisione: il 35% del totale è situato al nord ovest, mentre il restante 26,6% al nord est. Circa un milione e mezzo di stranieri è concentrato nei capoluoghi e solo nei 12 grandi comuni (Torino, Milano, Verona, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Catania) essi ammontano a 851 mila. Ciononostante in queste 12 grandi città la densità è di uno straniero su dieci, mentre nei piccoli paesi, cioè nei Comuni tra i 15 e i 25 mila abitanti, si può arrivare a uno straniero su cinque, come a Rovato (Brescia), Lonigo (Vicenza) e Castiglione delle Stiviere (Mantova), solo per fare qualche esempio. In alcuni Comuni compresi tra i 5 e i 15 mila abitanti addirittura un abitante su quattro è straniero (Baranzate [Milano], Verzellino [Bergamo], Castelcovati [Brescia] e altri del nord).

I matrimoni misti contratti tra il 1996 e il 2008 sono circa 250 mila. Circa 50 mila persone straniere hanno ottenuto la cittadinanza ogni anno. 570 mila stranieri sono nati direttamente in Italia; 100 mila i figli di madre straniera ogni anno; più di 100 mila gli ingressi per ricongiungimento familiare. La comunità più numerosa è quella romena, con circa un milione di persone, seguita dagli albanesi e dai marocchini, che contano entrambi 500 mila persone e

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I dati di questo capitolo si rifanno, quando non è specificato diversamente, al rapporto Caritas-Migrantes 2010.

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Per quanto riguarda le statistiche mondiali “nel complesso i migranti rappresentano all’incirca il 3% della popolazione mondiale: in cifre, intorno ai 191 milioni su circa 6 miliardi di esseri umani (Caritas-Migrantes

da ucraini e cinesi, che sono circa 200 mila per appartenenza. I settori lavorativi più occupati sono così distribuiti: servizi (55,9%), industria (31,9%) e agricoltura (8,7%)70.

L’Italia, da alcuni anni, è un paese che sta attraversando una forte crisi economica come la maggior parte delle nazioni occidentali, e allo stesso tempo proviene da decenni di graduale ed inesorabile calo della produttività: negli anni ‘70 il PIL era stimato al 3,8%, negli anni ‘80 al 2,4%, negli anni ‘90 al 1,4% e 0,3% negli anni 2000. L’Italia è dunque un paese che sta vivendo, da quaranta anni, un calo cronico della propria produttività. D’altra parte l’Istat ne “La situazione del paese 2009” ha precisato che gli immigrati contribuiscono alla produzione del PIL italiano per l’11,1% e che l’occupazione degli stranieri è aumentata solo in quei settori produttivi considerati meno appetibili dagli italiani (Stima Unione Camere 2008). Ne consegue che la crisi, se non ci fossero gli immigrati e la loro produttività, sarebbe ancora più grave e che è grazie al loro apporto se, economicamente, il paese regge. Sono infatti essenziali a quei settori, come l’agricoltura, l’assistenza, l’industria e l’edilizia, in forte crisi di manodopera. Inoltre gli immigrati versano nelle casse dello Stato più di quanto prendano come prestazioni e servizi sociali. Si tratta di 7 miliardi di contributi previdenziali l’anno che hanno portato al parziale risanamento del bilancio dell’Inps71. Questo succede fondamentalmente perché i migranti, essendo giovani, sono perlopiù lontani dal periodo del pensionamento. Per lo stesso motivo gli immigrati in Italia, ovvero in un paese con un crescente ritmo di invecchiamento, sono un fattore di parziale riequilibrio demografico. Inoltre i migranti che arrivano alla decisione di partire e intraprendere un viaggio (che in moltissimi casi è rischioso e problematico) sono quegli individui che possono permetterselo sia a livello economico, sia a livello di conoscenze che di istruzione. Sono quegli individui poi che hanno maggiore iniziativa, intraprendenza e che sono in buono stato di salute. Viene così a cadere lo stereotipo del migrante come persona emarginata dal proprio paese e che deciderebbe di emigrare per fattori di esclusione sociale. Il migrante infatti, come abbiamo avuto modo di approfondire nel capitolo 3, è l’elemento più dinamico e sano, speranzoso nell’avvenire e capace di rischiare grosso pur di ottenere qualcosa di importante nella propria vita. Per il paese di accoglienza queste caratteristiche giocano un ruolo indispensabile per la crescita e di profonda innovazione. Per questo motivo è di notevole interesse lo studio della crescente piccola imprenditoria straniera. Sono infatti 400 mila i titolari d’impresa in Italia al

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I dati sul lavoro sono dell'Inail.

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“Il dossier (Caritas Migrantes 2010) sottolinea […] che negli anni 2000 il bilancio Inps è risultato in attivo (fino a 6,9 miliardi) grazie ai contributi degli immigrati. Si stima che nel periodo 2011-2015 chiederanno la pensione circa 110 mila stranieri, il 3,1% di tutte le richieste. Dai 15 mila pensionamenti nel 2010 (2,2%) si passerà a 61 mila nel 2025 (7%). Ora, tra gli immigrati è pensionato 1 ogni 30 mentre tra gli italiani 1 ogni 4. Nel 2025, i pensionati stranieri saranno circa 625 mila (l'8% degli stranieri); ci sarà 1 pensionato ogni 12, tra gli italiani 1 ogni 3” (Articolo del 26 Ottobre 2010 uscito sul «Sole 24 Ore».

2010, con la conseguenza che un imprenditore su trenta è straniero. Altro stereotipo da sfatare è quello secondo il quale ad emigrare sarebbero le persone che provengono da paesi molto poveri, quelli definiti di “povertà assoluta”: la maggior parte delle persone che emigrano infatti provengono da paesi a medio tasso di sviluppo e “povertà relativa” rispetto ai paesi industrializzati.

“Questo fenomeno che lega l’ampiezza dei flussi migratori ad alcuni fattori condizionanti, quali il reddito e l’istruzione, è stato descritto già nel 2002 come migration hump […], gobba migratoria. La parte più alta della gobba, quella con le maggiori migrazioni, trova collocati paesi a medio reddito, mentre i paesi collocati nelle parti basse, a limitata emigrazione, risultano essere quelli più poveri o quelli caratterizzati da condizioni di benessere” (Caritas-Migrantes 2010: 26). (Grafico 1)

Gobba migratoria - Migration Hump

Basso reddito

Medio reddito

Alto reddito

Pil Pro Capite

Mi gr a n ti Grafico 1

Questo a testimoniare ancora una volta come le motivazioni che spingono a lasciare il proprio paese non siano soltanto a carattere economico, ma siano influenzate anche da fattori geografici, legami storico-culturali, reti etniche e altro, in una prospettiva embedded, come abbiamo ricordato più volte.

Ripercorriamo adesso velocemente lo sviluppo storico del fenomeno migratorio in Italia dagli anni ‘70 ad oggi72.

Fino agli anni ‘70 l’Italia era un paese tradizionalmente di emigrazione. Il periodo antecedente la fine di questo decennio quindi può essere considerato di scarsa conoscenza del fenomeno “immigrazione”. Gli stranieri sono circa 300 mila, fondamentalmente provenienti dall’Europa. In questa fase sono visti con curiosità e senza particolari contrasti. Manca una

legge specifica e si fa riferimento alle norme di pubblica sicurezza del 1931, completate da circolari ministeriali.

Agli inizi degli anni ‘80 si fa strada la consapevolezza del fenomeno e delle problematiche relative. Nel 1981 l’Italia ratifica la convenzione del 1975 dell’organizzazione internazionale del lavoro sui lavoratori migranti. Nel dicembre 1986 viene approvata la prima legge sull’immigrazione (legge 943/1986), che però regola solo gli aspetti lavorativi. C’è una prima regolarizzazione (120.000 domande). I migranti sono meno di mezzo milione.

Il fenomeno immigrazione incomincia a strutturarsi con numeri sempre crescenti dalla metà degli anni ‘80 ai primi anni ‘90. A dicembre 1989 gli stranieri sono 490.000. Viene approvata la legge Martelli (legge 39/90), che regola il soggiorno degli stranieri e riconosce lo status di rifugiato. Si dà il via alla seconda regolarizzazione (218.000 domande). Nel 1995 il governo Dini, con il decreto legge 489/95 stabilisce regole più dure sulle espulsioni e i ricongiungimenti, ma più aperte verso l’assistenza sanitaria degli immigrati. Si passa ad una terza regolarizzazione (255.000 domande).

Alla fine degli anni ‘90 viene approvata la legge Turco-Napolitano (40/1998) che si basa su tre punti rimasti fondamentalmente gli stessi fino ad oggi: il contrasto all’immigrazione clandestina e allo sfruttamento dei flussi; la programmazione triennale attraverso il sistema delle quote; l’integrazione per i regolari. Avviene una quarta regolarizzazione (250.000 domande). Gli immigrati in Italia sono circa 1 milione e 250 mila.

Nel decennio che va dal 2000 ad oggi viene approvata la legge Bossi-Fini (189/2002) che predispone una quinta regolarizzazione (803 mila domande) e mette in relazione la possibilità del permesso di soggiorno con il contratto di lavoro, riducendo a sei mesi la possibilità di soggiornare come disoccupati. Ulteriori restrizioni sono applicate tramite il “Pacchetto sicurezza” (legge 94/2009). Nel settembre 2009 c’è un ulteriore regolarizzazione per il settore familiare (300 mila domande) (legge 102/2009).

Passiamo ora ad occuparci, scendendo sempre più nel particolare per quel che riguarda questa ricerca, del territorio della regione Lazio, di cui la provincia di Viterbo fa parte, insieme a Roma, Latina, Rieti e Frosinone.

Nel Lazio gli stranieri residenti al 1° gennaio 2010 sono 497.940, ovvero l’11,8% del totale italiano. Il dato sulla crescita annua delle presenze è superiore a quello nazionale, 10,6% quello della Regione, 8,8% il dato nazionale. L’incidenza degli stranieri sulla popolazione complessiva è del 7,8%, superiore quindi al dato nazionale, che è del 7,0%, ma solo al settimo posto nella graduatoria delle regioni.

Nel Lazio, in accordo con la situazione italiana, l’immigrazione è stato un fenomeno in netta ascesa fin dal 1991. In precedenza gli stranieri provenivano dall’Europa e dall’America. Successivamente il fenomeno è cambiato enormemente, divenendo gli afflussi dall’Africa e dall’Asia molto più consistenti. L’età media dei residenti italiani nel Lazio è di 43,1 anni (circa la stessa cifra del dato medio nazionale) mentre quella degli stranieri è di 33,1 anni (31,5 anni a livello nazionale), la più alta del Nord e del Centro Italia. Questa circostanza è dovuta non tanto al peso percentuale degli ultra sessantacinquenni, quanto piuttosto alla relativa scarsità di minorenni. Basti considerare che questi ultimi rappresentano appena il 17,4% degli stranieri (quasi 5 punti percentuali in meno della media nazionale). Si consideri ulteriormente che nel 2008 il contributo – assolutamente prezioso – delle donne straniere alla fecondità regionale è solo del 9 %, anche in questo caso il più basso di tutto il Centro Nord della penisola. “Si tratta di un elemento prezioso in termini demografici perché consente al Lazio di mantenere un saldo naturale positivo, anche se modesto” (Caritas-Migrantes 2010: 401).

L’incremento della popolazione straniera, dal 2002 al 2008, è maggiore nelle piccole province che a Roma (157,3%): Latina 276,3%, Rieti 248%, Viterbo 235,1%, Frosinone 176,3%.

Affrontiamo ora la questione dell’appartenenza religiosa nella Regione tramite la seguente tabella:

Tabella 2. Stima su dati Istat al 31 dicembre 2009

Sul fronte delle religioni di appartenenza degli immigrati si osserva un crescente protagonismo degli ortodossi, passati dal 26,5 % del 2003 al 34,7 % del 2008, per arrivare al 38,8% degli ultimi rilevamenti. I Cattolici al contrario, se a fine 2003 erano pari al 32,1 % e rappresentavano la prima appartenenza religiosa, a inizio 2008 erano scesi al 27,5 %, dietro al gruppo ortodosso. Oggi sono il 20,7%. Rimangono tutto sommato stabili se non con qualche

Appartenenza religiosa degli stranieri nel Lazio al 1° Gennaio 2010 Religioni abramitiche 80,9% Religioni darmiche 6,7% Altre 12,4% Cristiani 64,6% Altri 35,4%

Ortodossi Cattolici Protestanti Altri

Cristiani Musulmani Ebrei Induisti Buddisti Animisti Altri

oscillazione le varie famiglie musulmane, complessivamente pari al 17,5 % nel 2008 (nel 2003 erano il 16,6 %) e oggi di nuovo al 16,1%.

Rispetto ai dati nazionali (31/12/2009) troviamo che gli ortodossi sono di più nel Lazio (+10 %), e i musulmani di meno (-15,8%).