• Non ci sono risultati.

Migranti e senso del futuro

Cap III Il migrante

3.6 Migranti e senso del futuro

In questo paragrafo non mi soffermerò a delineare quelle che sono ormai delle opinioni vagliate, appurate e ascoltate da ogni parte: ovvero che per il futuro della nostra società la presenza dei migranti è indispensabile e necessaria. Questo dato, per fortuna, è ormai

incontestabile (Dossier Caritas-Migrantes 2010). Se infatti la società italiana vuole avere un futuro economicamente più florido e stabile, se vuole rinnovare se stessa con nuove e numericamente più ampie generazioni, i migranti sono una realtà da cui è impossibile prescindere. Tutto questo malgrado attorno a loro il clima si stia facendo più duro e aspro che mai.

Quello che voglio sottolineare invece sono alcuni tra i motivi che stanno alla base di questa possibilità, cioè di come sia possibile che i migranti, proprio loro, siano quasi sempre, come dimostra la storia, il fiore più inaspettato del più necessario rinnovamento. Grazie a loro, alle loro capacità di adattamento, al loro modo di intendere la vita, la società può evolvere, cambiare, avere uno scarto positivo rispetto al passato. Perché? Cos’ha in sé la condizione del migrante che lo rende così attivo e dinamico? Queste le domande a cui cercherò di dare una risposta.

Per prima cosa lo straniero è colui che si mantiene nella condizione di oggettività nei confronti del mondo in cui è ospite, perché venendo da lontano non ha condizionamenti. Egli sperimenta per la prima volta un territorio e quindi è libero da determinate pressioni contingenti. Questo non significa non-partecipazione alla vita sociale, bensì addirittura partecipazione oggettiva (Simmel 1989). Il migrante infatti molto spesso parla una lingua diversa, ha radici culturali differenti, conosce una storia del tutto diversa rispetto a quella italiana e ciononostante questi fattori che abitualmente sono considerati impedimenti alla cosiddetta integrazione sono proprio quegli elementi che lo pongono naturalmente nella condizione di essere un testimone privilegiato, neutro e oggettivo appunto (per dirla con Simmel) della nostra società. Il migrante giunge nel paese che lo ospiterà, potremmo sostenere con un’iperbole, come una tabula rasa pronta per essere iniziata e di conseguenza rivolta solo e soltanto verso il futuro, mai verso il passato e le sue pastoie e i suoi vincoli stantii. D’altronde è stato Nietzsche per primo a metterci sul chi va là nei confronti del danno che la storia può avere per il rinnovamento vitale di un individuo, di un popolo o di una civiltà.43. L’analisi del passato, la conoscenza delle motivazioni che ci fanno essere ciò che siamo, la minuziosa consapevolezza delle infinite relazioni di cui siamo costituiti, ad un certo grado di profondità, possono anche diventare veleni paralizzanti della nostra capacità di

43

Scrive Nietzsche: “Per ogni agire ci vuole oblio: come per la vita di ogni essere vivente ci vuole non soltanto la luce, ma anche oscurità. Un uomo che volesse sentire sempre e solo storicamente, sarebbe simile a colui che venisse costretto ad astenersi dal sonno, o all’animale che dovesse vivere solo ruminando e sempre per ripetuta ruminazione. Dunque, è possibile vivere quasi senza ricordo, anzi vivere felicemente, come mostra l’animale; ma è assolutamente impossibile vivere in generale senza oblio. Ovvero, per spiegarmi su questo tema ancor più

rinnovamento che, in un altro grado, per poter innescarsi, prevede sempre una certa dose di oblio, ingiustizia verso il passato e cinismo. Per poter far fronte ai rinnovamenti è sempre indispensabile un atteggiamento antistorico e sovra-storico, un atteggiamento che invece di fossilizzarsi a pensare soltanto ciò che siamo stati riesca a fare spazio intorno a sé per il nuovo che subentra, ad avere una spinta critica nei confronti di tutto ciò che ci costituisce, ma che non ha più motivo di rimanere fisso ed immutabile e si rivolga finalmente al futuro, verso ciò che lo aspetta. In questo senso il migrante è agevolato e già sulla buona strada. Karl Mannheim nel saggio “Il problema delle generazioni” (Mannheim 2000: 261) spiega che “per la sopravvivenza della nostra società la memoria sociale è tanto necessaria quanto la dimenticanza e l’agire ex novo” (ibidem). Questo agire è definito “nuovo accesso” e può essere sia biologico, come nel caso delle generazioni che reinterpretano la realtà culturale del passato, quanto sociale, come nel caso dei migranti (ibidem). Il migrante infatti è colui che per natura, in quanto “accede nuovamente” alla società che lo ospita, guarda principalmente al suo futuro, perché non conoscendone il passato e non avendone sul territorio, ci si predispone intrinsecamente. Egli è colui che di sua spontanea volontà è partito dal proprio paese con l’intenzione di migliorare la propria condizione e di conseguenza è già predisposto al cambiamento. Non ha radici, ma è pronto a gettarle nel terreno, non ha una storia, ma è ansioso di costruirsela, non ha un’appartenenza stabile, ma è pronto a fortificarla. Nietzsche sostiene che per chiunque voglia rinnovarsi è indispensabile un certo grado di oblio della propria storia e di ingiustizia verso il passato e ci esorta a fare coscientemente questa operazione tutt’altro che facile, ma per il migrante, che ha dovuto operare tale ingiustizia e dimenticanza di se stesso prima di partire, qui in Italia l’atteggiamento sovra-storico è un dato automatico perché costituisce le fondamenta della sua condizione. Si dice che partire è un po’

morire e in effetti colui che parte uccide il proprio passato e si pone all’inizio di un nuovo

processo, in quel meccanismo di morte- rinascita che abbiamo analizzato nel capitolo 2 nei riti di passaggio e che nel viaggio come iniziazione trova una delle sue più chiare esplicazioni (vedi cap 4.4).

Per questo e altri motivi sono portato a sostenere che il migrante è il rinnovatore per eccellenza.

3.7 I rifugiati

Le contraddizioni delle società democratiche occidentali si trovano particolarmente evidenziate nella dinamiche che mette in scena la figura del rifugiato. Guerre, conflitti etnici o religiosi, catastrofi naturali e persecuzioni politiche hanno creato un esercito di persone in fuga dai paesi del Terzo Mondo in cerca di rifugio e solidarietà. Queste persone sperano che i diritti umani negati nel proprio paese siano mantenuti nei paesi occidentali che li dovrebbero accogliere, anche perché questi ultimi ne hanno fatto il perno attorno al quale ruota la loro costruzione identitaria. E ciononostante le politiche di questi paesi molto spesso si muovono in direzione contraria, nascondendosi dietro all’alibi del «falso rifugiato», ovvero di colui che abuserebbe del diritto di asilo per motivazioni economiche.

“Si tratta del «liberismo incorporato» nelle istituzioni politiche e amministrative dei paesi a democrazia consolidata (Ruggie 1982), o in altri termini del «vincolo liberale» (Hollifield 1992), che impedisce, in linea di principio, di attuare provvedimenti drastici di deportazione, ricorso alle armi per fermare chi attraversa illegalmente i confini, espulsioni di massa senza garanzie giuridiche, irruzioni in abitazioni private alla ricerca di immigrati non autorizzati e simili: quelle misure che in alcuni paesi extraeuropei sono state impiegate con innegabile successo per stroncare il fenomeno delle immigrazioni indesiderate, e anche per invertire flussi migratori consolidati da decenni. Incamminandosi su una strada del genere, le democrazie rischierebbero di cadere in contraddizioni pericolose per loro stessa natura: per diventare più efficienti nella repressione del soggiorno non autorizzato, dovrebbero diventare meno liberali (Sciortino 2000)” (Ambrosini 2010: 85).

Per questo motivo “i rifugiati rappresentano oggi il capitolo più ingombrante e scomodo della questione planetaria delle migrazioni internazionali” (ivi: 109).

Di tali emergenze di occupa l’Unhcr, ovvero l’Ufficio dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che si inspira alla Convenzione di Ginevra44 del 1951 e al Protocollo di New York del 1967, tramite i quali viene sancito il diritto, senza limitazioni temporali e geografiche, di essere accolti in paese straniero se perseguitati e a non essere rimpatriati contro la propria volontà se questo rimpatrio è rischioso per la propria incolumità

44

In principio la Convenzione di Ginevra era stata scritta principalmente per far fronte alla situazione europea dopo la Seconda Guerra Mondiale e solo successivamente ha trasformato la sua natura e con una serie di aggiustamenti ha assunto una funzione globale. Ciononostante andrebbe ripensata e riscritta in base ai

(principio del non refoulement). Il rifugiato45 quindi viene ad essere tutelato dalle Nazioni Unite e da varie ONG che si fanno portavoce dei suoi diritti. In Italia per esempio, dal 1990, insieme alla cessazione delle limitazioni geografiche e temporali di cui sopra, viene istituito il CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati) che nel 1995 viene eretto ad ente morale con decreto del Ministero dell’Interno.

45

La Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati e il protocollo del 1967 dichiarano che il rifugiato è colui "che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra" [Articolo 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati].

Cap. IV