• Non ci sono risultati.

La creazione delle malattie

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 79-82)

Come la tecnica medica agisce sul corpo femminile

5. Quando “essere donna” significa “essere malata”

5.1. La creazione delle malattie

Nella società occidentale contemporanea è nato il cosiddetto “mercato della malattia”, fenomeno complesso ed eticamente inammissibile, che consiste nel “costruire” ad arte nuove patologie e convincere persone sane di essere malate, con l’intento di ampliare il mercato dei servizi sanitari e vendere una maggior quantità di medicinali1. «Il tentativo di

commercializzare la biologia umana a scopo di lucro è fenomeno che nasce da lontano»2,

dai sogni dell’immortalità e dell’eterna giovinezza, dagli antichi rimedi che promettevano effetti prodigiosi contro le malattie più disparate e gli acciacchi della vecchiaia. Ma il modo in cui oggi la biologia viene sfruttata economicamente ha un valore nettamente diverso: non si tratta più di soddisfare desideri tutto sommato legittimi, ma di agire sul pensiero culturale, trasformando «normali variazioni biologiche in malattie necessitanti di

essere curate farmacologicamente, un concetto che travalica quello della

medicalizzazione»3. Se infatti medicalizzare un processo biologico significa modificarne la percezione da parte del medico e del paziente4, le malattie create “artificiosamente” sono anche peggio, perché generano in persone sane le paure e le ansie che solitamente colpiscono i malati e possono stravolgere la loro vita.

Tutto questo è potuto succedere perché la medicina non è affatto una scienza oggettiva, come alcuni pensano. Al contrario, essa «è vista attraverso la lente della cultura dominante ed attraverso di essa si esprime; a volte la distorsione culturale è talmente potente da creare non soltanto terapie inadeguate o completamente sbagliate e dannose, ma addirittura la malattia stessa»5. Già da molti decenni è chiara l’origine sociale di alcune malattie, perché legate all’urbanizzazione o all’inquinamento, ma oggi stiamo assistendo a qualcosa di diverso: la creazione di malattie praticamente dal nulla. È quello che, ad

1

L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, p. 103.

2

Ivi, cit. p. 103.

3

Ivi, cit. p. 103.

4

È ciò che avviene, ad esempio, con la riduzione del parto da evento naturale a “evento biomedico”, con la conseguenza che tutte le problematiche ad esso connesse vengono affrontate dal punto di vista medico – quindi scientifico – mentre l’aspetto umano ha perso decisamente importanza.

5

80

esempio, è avvenuto con la menopausa, che la medicina occidentale6 ha trasformato «da fisiologica fase di transizione nella vita della donna […] in “endocrinopatia da carenza” necessitante di terapia ormonale “sostitutiva”»7

(cfr. par. 5.5). Lo stesso calo del desiderio sessuale, naturale conseguenza delle prime fasi della menopausa, è visto dalla moderna medicina come uno stato anormale cui è necessario trovare una terapia adeguata8. Di recente “invenzione” è anche l’ipogalattia, patologia che consisterebbe in una produzione di latte materno insufficiente per garantire al neonato l’allattamento al seno9

.

Come detto, fenomeni di questo genere sono esclusivi della società occidentale contemporanea, che Luigi Mario Chiechi definisce “postindustriale”. Perché distinguerla dalla società industriale che l’ha preceduta? Nella società industriale, l’imperativo era creare prodotti da poter piazzare sul mercato; per farlo, si seguivano le regole del mercato stesso. Nella società postindustriale ci si spinge oltre: se non si ha a disposizione un mercato pronto ad assorbire un determinato prodotto, lo si crea. Per questo motivo gran parte delle cure e dei medicinali oggi in commercio sono rivolti alla popolazione sana, un pubblico ovviamente molto più vasto rispetto alle persone malate. Trattamenti come la cura ormonale per la menopausa, i contraccettivi orali, i farmaci per accrescere la libido, i sostituti artificiali del latte materno, si rivolgono per lo più a donne perfettamente in salute10.

La creazione delle malattie è resa possibile da uno degli aspetti fondamentali della medicina moderna: qualsiasi sintomo, nel momento in cui viene dichiarato evitabile – grazie a un nuovo farmaco prodotto in laboratorio o a una nuova tecnologia appena messa a punto – diventa automaticamente inaccettabile, insopportabile e quindi patologico: «l’uomo perde la capacità di capirlo, utilizzarlo e controllarlo e si affida alla medicina; ma la perdita di autocontrollo ed autogestione della propria espressione biologica è una perdita imposta perché dichiarata come gestione impossibile»11. È quello che è accaduto per dolori fisiologici come i dolori mestruali o quelli del parto, ridotti con l’uso massiccio

6

La precisazione “geografica” è necessaria, perché ciò non avviene presso le società orientali, come ad esempio quella cinese o quella giapponese (cfr. par. 5.6).

7

L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, cit. p. 90.

8

Ivi, p. 104.

Un tale “problema”, come si sa, non colpisce solo la donna, ma anche l’uomo, come dimostrano le vendite in continuo aumento del Viagra (L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, p. 104).

9

L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, p. 90.

In questi casi si consiglia alle giovani madri, in carenza di latte proprio, di sostituirlo con quello artificiale.

10

L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, pp. 90-91; L. M. Chiechi, La menopausa nella società

postindustriale. Critica alla costruzione medica della menopausa, Aracne 2006, pp. 24-25.

11

81

di analgesici e anestetici, ma anche per gli stati d’ansia e la depressione, per i quali si è arrivati al controllo farmacologico dell’umore12. Per sopportare il dolore non si fa più

affidamento sulle proprie forze, fisiche e mentali: «le capacità della persona non vengono più mobilitate dalle risorse individuali o dalla formazione socio-culturale di gestione del dolore fisiologico, ma dalla medicina farmacologica»13 (cfr. par. 2.12).

Una volta innescato, questo meccanismo mistificatorio si autoalimenta e si amplifica spontaneamente: indicata una problematica come la causa primaria di una determinata patologia, si spinge la popolazione a temerla, a combatterla, a prevenirla, per la gioia delle case farmaceutiche, di quelle produttrici di apparecchiature medicali e, purtroppo, anche delle aziende sanitarie – private ma anche pubbliche – e di molti medici conniventi con questo sistema. Tutti questi soggetti sono spinti da meri interessi economici e non certo dal desiderio di contribuire alla difesa della salute14.

Nell’affermarsi di questo processo, quindi, la medicina è stata complice della moderna società del profitto, in quanto non ha contrastato, quanto piuttosto favorito, il fenomeno. Se già negli anni Settanta del secolo scorso Ivan Illich denunciava la pressione indebita esercitata sui medici dalle case farmaceutiche, oggi questo problema si avverte ancora di più. Nel corso di un quarantennio la medicina è riuscita a far passare per “scientificamente provati” molti dati che in realtà erano falsi o comunque pilotati, al solo scopo di favorire l’industria medica e quella farmaceutica.

Quella che un tempo era una vocazione, si è progressivamente trasformata in una

professione: il medico è diventato un professionista della salute, un impiegato

dell’industria sanitaria votato all’efficienza, un prescrittore di farmaci. Ciò ha portato a una medicina di conflitto che lo mette in contrapposizione al malato: quest’ultimo è spinto a denunciare il medico che a suo giudizio non ha compiuto correttamente il proprio dovere, mentre il medico si preoccupa sempre più di far valere i propri interessi piuttosto che andare incontro a quelli del malato. Tutto questo ha contribuito a ledere il patto fiduciario tra medico e paziente15 (cfr. par. 3.6). Chiechi vede nella situazione attuale un chiaro segno del percorso degenerativo intrapreso dalla medicina: essa ha dato prova «di poter dominare le più pericolose e diffuse malattie[, ma] si è lasciata trascinare da comportamenti involutivi rivolgendosi contro la stessa salute che aveva giurato di

12 Ivi, p. 105. 13 Ivi, cit. p. 105. 14 Ivi, pp. 105-106. 15 Ivi, p. 91.

82

difendere, asservendo la biologia alle esigenze della società»16. «La perdita bioetica attuale è stata determinata non dall’avanzamento della tecnologia sanitaria ma dallo svilupparsi di una medical industry che si comporta come una industria di profitto e dalla presenza ancora forte di una lente socio-culturale distorsiva»17. Il medico è diventato «depositario di una tecnica sempre più raffinata ed evoluta ma che mette a disposizione [solo] di chi può pagarsela anche quando è impropria»18.

Nei prossimi paragrafi analizzeremo alcuni dei casi più eclatanti di approccio “patologico” alla fisiologia femminile, riguardanti il ciclo mestruale e la menopausa.

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 79-82)

Outline

Documenti correlati