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L’epifania dell’embrione

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 107-109)

Come la tecnica medica agisce sul corpo femminile

6. La percezione della gravidanza mediata dalla tecnica

6.5. L’epifania dell’embrione

Una data importante, per la nostra “società del vedere”, è indubbiamente il 1831, anno in cui nacque la fotografia. «La prova fotografica crea l’identità. […] la fotografia autentica l’osservazione, la fotografia fornisce le prove»41. L’influenza della fotografia

sulla nostra percezione della realtà si esplica anche nei confronti del corpo della donna e del contenuto del suo grembo. Vediamo alcuni esempi al riguardo.

Il 30 aprile 1965 usciva nelle edicole americane un numero della rivista Life che riportava in copertina il titolo “Il dramma della vita prima della nascita: un’impresa fotografica a colori senza precedenti”42. A dominare tutta la copertina è la foto di un feto umano che, illuminato a giorno, contrasta nettamente sullo sfondo buio dietro di sé. La foto, opera di Lennart Nilsson, è accompagnata da questa didascalia: «Feto vivo di 18 settimane mostrato dentro il suo sacco amniotico – a destra si vede la placenta”. Da sottolineare come i redattori di Life abbiano scelto proprio le parole “mostrato” (shown) e “si vede” (is seen), fatto che rimarca una volta di più lo strapotere del senso della vista nella nostra società. All’interno della rivista43, nelle didascalie che commentano le altre foto a corredo dell’articolo, viene raccontato come nasce e si sviluppa una nuova vita umana44. Questo numero di Life fu uno dei più venduti di sempre.

Già nel 1965 era quindi possibile scattare delle fotografie direttamente nell’utero, introducendovi un obbiettivo fotografico e una fonte di luce: c’è infatti bisogno di luce per

40

Ivi, cit. p. 6.

41

B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri 1994, cit. p. 27.

42

Life, 30 aprile 1965.

Il titolo di copertina, in lingua originale, è: Drama of life before birth: unprecedented photographic feat in

color. Il servizio fotografico all’interno è opera di Lennart Nilsson.

43

Life, 30 aprile 1965, pp. 54-71.

44

B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri 1994, pp. 20-21.

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fotografare ciò che nasce nel buio totale45. La foetoscopia in situ «era l’illuminazione a giorno dell’oscurità più intima attraverso la serratura “naturale”, il telescopio in un’applicazione estrema»46

.

Nel 1990, 25 anni dopo, sempre su Life viene pubblicato un altro articolo, anch’esso illustrato da “fotografie” all’avanguardia per l’epoca, che mostra ai lettori uno stadio vitale ancora precedente: non più il feto, ma addirittura l’embrione47

. Questa volta, l’evocativo titolo di copertina recita: “Le prime foto di sempre di come comincia la vita”. «Nel 1965, le immagini fungevano ancora da commento al testo. […] Nel 1990, immagine e testo si sono scambiati di ruolo; l’immagine propone al lettore un mostro a lui estraneo, nel quale senza la didascalia del fotografo non è possibile leggere nulla […]. Solo grazie al testo, più breve e apodittico rispetto a quello del 1965, quella massa colorata […] acquisisce una connotazione “umana”. Nei venticinque anni intercorsi tra i due numeri di

Life è aumentata la disponibilità a “vedere a comando”»48. Il lettore identifica ciò che vede con quello che il commentatore gli suggerisce, ma si tratta di un suggerimento che vale quanto un’imposizione, poiché egli non ha alternative interpretative, a causa della sua ignoranza in materia. La didascalia a commento di una delle foto del servizio del 199049 – in cui si scorge solo, «in un paesaggio spettrale, un grumo marrone rossiccio»50 – spiega che l’ovulo fecondato, ormai diventato blastocito, è “atterrato” sulla parete interna dell’utero; ma soprattutto dice: «È un essere umano, al cento per cento»51.

Rispetto a quelle del 1965, «le immagini di Nilsson del 1990 sono di un tipo nuovo. Ciò che il fotografo pretende ora di mostrarci come una riproduzione, non è in realtà

piccolo, bensì per sua stessa natura invisibile»52. Ed è invisibile non solo perché, come il feto, è “nascosto alla vista” – in quanto custodito all’interno del corpo della donna,

45

D’altronde la stessa parola fotografia – dal greco phos (φῶς, φωτός), “luce” e grapho (γράφω), “scrivere, disegnare” – significa “raffigurare con la luce”.

46

B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri 1994, cit. p. 24.

47

Life, 1 agosto 1990.

Il titolo di copertina, in lingua originale, è: The first pictures ever of how life begins. Il servizio fotografico proposto all’interno, intitolato The first days of creation. Lennart Nilsson’s astonishing new photographs of

life’s beginnings, è ancora una volta di Lennart Nilsson.

48

B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri 1994, cit. pp. 21-22.

49

Life, 1 agosto 1990, pp. 26-49.

50

B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri 1994, cit. p. 22.

51

Life, 1 agosto 1990. Citato in: B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri 1994, p. 23.

52

B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita, Bollati Boringhieri 1994, cit. p. 25.

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nell’oscurità del suo ventre – ma proprio perché fisicamente non è possibile vedere oggetti di quelle dimensioni. Nelle immagini del 1990, ottenute con l’utilizzo di un microscopio elettronico, la luce svolge una funzione “creatrice”. «Ciò che viene rappresentato mediante fenditure, graffi e fili è generalmente più piccolo di un’onda luminosa. In dimensioni che non possono essere “illuminate” da alcun raggio luminoso, vengono registrate intensità mediante fasci di elettroni e vengono misurati campi magnetici la cui visualizzazione digitale sul video raffigura “superfici” mai viste e non risolvibili mediante la luce. La luce non è utilizzata per ritrarre, ma per creare, in quanto l’oggetto non viene ritratto dalla luce (fotografato), bensì creato da essa»53. Quelle pubblicate su Life nel 1990, quindi, non sono delle vere fotografie: in realtà, ognuna di esse è «un collage di decine di migliaia di risultati di misurazioni di dimensioni submicroscopiche»54, è il frutto di un «processo in cui vengono elaborate misurazioni relative a un oggetto invisibile, raccolte con un procedimento digitale, in modo tale da creare una raffigurazione affascinante e convincente che fa credere di riprodurre tale oggetto celato ai sensi»55. La cosa assurda, secondo Duden, è che ormai ci siamo abituati a considerare veritiere raffigurazioni come queste. «Vediamo sempre più ciò che ci viene mostrato. […] Questa tendenza alla visualizzazione presuppone una tendenza ad attribuire lo status di realtà solo a ciò che può essere registrato strumentalmente»56.

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 107-109)

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