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Il professionismo fiduciario

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 60-63)

L’invadenza della medicina e le sue implicazioni etiche

3. Cosa è giusto e cosa è sbagliato: l’etica in medicina

3.6. Il professionismo fiduciario

Al giorno d’oggi ci si imbatte sempre più spesso in contenziosi legali: dal matrimonio finito allo screzio con il vicino, molte sono le dispute che vengono risolte per via giudiziaria. Ciò accade perché i rapporti umani sono ormai regolati da norme e ordinamenti volti a salvaguardare gli interessi di tutte le parti in causa; ciò vale anche per le relazioni che intercorrono tra chi offre un servizio e chi ne usufruisce, categoria in cui rientra anche il rapporto medico-paziente. È sempre più difficile che si instauri un dialogo autentico tra chi cura e chi viene curato, se si pensa che si è giunti all’esigenza di stilare un documento scritto che protegga il medico dai possibili reclami del paziente. Ma il rapporto tra medico e paziente è in qualche modo unico nel suo genere, in quanto il suo oggetto è la salute umana; dovrebbe manifestarsi come un patto fiduciario che si basa più sulle leggi della morale che su quelle dello Stato. Perciò si impone la necessità di definire con chiarezza quali siano queste leggi57.

Per capire il presente è necessario guardare alla storia della medicina e a come siano stati raggiunti molti dei suoi progressi. Risale alla fine del XVIII secolo la scoperta del vaccino antivaioloso, a opera di Edward Jenner (1749-1823). Ciò che sconvolge noi contemporanei è il modo in cui egli sperimentò l’efficacia del primo vaccino. Dopo alcune ricerche Jenner ipotizzò che contrarre il vaiolo animale – quasi asintomatico nell’uomo – rendesse immuni dal vaiolo umano, mortale. Per accertarsene, decise di somministrare il vaiolo animale a un bambino, figlio di contadini, ovviamente senza prima ottenere il

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L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, cit. pp. 28-29.

55 Ivi, cit. p. 89. 56 Ivi, p. 29. 57 Ivi, p. 47.

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consenso informato dei genitori. A distanza di settimane, iniettò nello stesso bambino anche il vaiolo umano, sebbene non potesse prevedere in alcun modo le conseguenze di questo gesto. Fortunatamente, il vaiolo non si manifestò58.

Il medico scozzese John Gregory (1724-1773) fu il primo, in epoca moderna, a vedere il malato come soggetto, come persona, e non più solo come l’oggetto della cura. Egli elaborò il concetto di professionismo fiduciario, fondandolo su questi tre elementi:

 la medicina deve basarsi su dimostrazioni concrete;

 il suo principale interesse deve essere la salute del paziente;

 gli interessi del medico devono passare in secondo piano59.

Chiechi ritiene che la maggior parte dei medici di oggi non rifletta a sufficienza sull’importanza dei tre princìpi enunciati da Gregory. Secondo il primo di questi, «può diventare pratica clinica solo quello che è stato dimostrato come efficace e sicuro»60. Chiaramente sarebbe auspicabile che le ricerche e le sperimentazioni, volte a dimostrare proprio l’efficacia e la sicurezza delle nuove terapie, spaziassero a 360°. In realtà, nei laboratori in cui si testano nuove cure si lavora entro dei limiti ben precisi, imposti da chi quei laboratori li finanzia. Una parte consistente della ricerca farmacologica, estremamente costosa, non è finalizzata alla cura delle malattie – men che meno a quella delle malattie rare – ma è orientata dai profitti delle case farmaceutiche verso ciò che per loro è più conveniente, cioè produrre quei farmaci che consentono loro maggiori guadagni: «la medicina non cura e previene liberamente facendo quello che è più opportuno per il malato ma [agisce in base a] quello che il mercato gli mette a disposizione» 61 e gli chiede. Si tratta di un atteggiamento tipico della società contemporanea, in cui l’unica medicina praticabile sembra essere la medicina di profitto, una vera e propria industria in cui si ha a che fare più con il marketing che con la malattia. Il commercio è aperto ai medicinali che interessano il più vasto numero di persone, comprese quelle sane, e la salute è ridotta a mercato62.

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Ivi, pp. 48-49.

Dal metodo seguito da Jenner, indubbiamente disumano ed eticamente scorretto, nel corso della storia si è passati a un sistema praticamente opposto, il cosiddetto modello consultivo: il medico viene interpellato solo in virtù delle sue conoscenze, ma è il paziente che, cosciente dei propri diritti, documentandosi e informandosi, decide infine come gestire la propria salute (L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, p. 41).

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L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, pp. 47-48.

60 Ivi, cit. p. 49. 61 Ivi, cit. p. 50. 62 Ivi, pp. 49-50.

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In quest’ottica, la menopausa è una ricca fonte di guadagno. Uno dei principali rischi per la salute delle donne in menopausa è costituito dalle fratture ossee, rese più probabili dall’osteoporosi post-menopausale (cfr. par. 5.5). Ebbene, oggi si punta di più a prevenire farmacologicamente l’osteoporosi, piuttosto che a evitare le fratture, che spesso colpiscono donne non osteoporotiche. Inoltre, una seria prevenzione dell’osteoporosi, per dirsi davvero tale, dovrebbe partire da un cambiamento nello stile di vita, non tanto dall’assunzione di farmaci: viene chiamata “prevenzione”, ma di azioni preventive non farmacologiche ne propone davvero poche63.

Gli ultimi due punti elaborati da Gregory, di ippocratica memoria, affermano che il medico deve mettere la salute del paziente al primo posto e lasciare da parte i propri interessi; tali affermazioni paiono così indiscutibilmente giuste, quasi scontate, da non sembrare nemmeno degne di analisi. E invece oggi, vuoi per la perdita di valori che coinvolge l’intera società, vuoi per l’assenza di una vera etica medica, vengono regolarmente ignorate. La missione del medico appare oggi distorta: essa non è più un fine, ma è diventata il mezzo per ottenere avanzamenti di carriera o guadagni maggiori64. Oggi i medici si ritrovano a compiere una missione svuotata di senso.

Ai tre princìpi di Gregory, Frank A. Chervenak aggiunge altre quattro “virtù” che un vero medico dovrebbe possedere: l’integrità (integrity), l’empatia (compassion), la capacità di autoannullarsi (self-effacement), l’attitudine al sacrificio (self-sacrifice)65. Per

integrità non si intende solo quella morale, ma anche l’integrità del comportamento,

«comprendere e rispettare la condizione di debolezza»66 del paziente, sentire «il dovere di esprimere al massimo la propria professionalità»67. Si tratta di una dote ancor più necessaria nel medico ginecologo, poiché la ginecologia «coinvolge oltre alla malattia, comune alle altre branche, le problematiche riguardanti la riproduzione, la sessualità, la differenza di genere»68. Per empatia si intende la capacità del medico di compartecipare alla sofferenza dell’assistito. I medici, gli infermieri, i tecnici ospedalieri – ma anche gli addetti amministrativi – si trovano nella condizione di poter «aggravare o […] alleviare

63 Ivi, p. 51. 64 Ivi, p. 52. 65

F. A. Chervenak - L. B. McCullough, The moral foundation of medical leadership: the professional virtues of

the physician as fiduciary of the patient, American Journal of Obstetrics and Gynecology 2001, 184(5): 875-

880. Citato in: L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, p. 53.

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L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, cit. p. 53.

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Ivi, cit. p. 53.

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molta della sofferenza gratuita a cui la sanità costringe oggi il malato»69; se comprendono il suo disagio, ecco che lo aiuteranno a fronteggiarlo. Con il termine autoannullamento ci si riferisce alla capacità del medico di tenere per sé le proprie idee e le proprie convinzioni: di fronte al paziente egli deve essere solo un medico, «senza sesso, senza cultura, senza religione, senza politica, senza stato, senza razza, senza idee, senza bisogni, senza necessità, senza rancori»70. In caso contrario, il rischio è che influenzi le scelte del paziente o, peggio, non si applichi al massimo delle proprie capacità perché condizionato da opinioni che esulano dall’ambito clinico. Anche questo valore risulta oggi un po’ in ombra, poiché la tutela della salute umana – soprattutto quella femminile – è purtroppo subordinata a un’accondiscendenza sempre maggiore ai dettami dell’economia, della politica e della religione. Quanto alla quarta virtù, il medico deve avere la consapevolezza che la sua è una professione votata al sacrificio: vedervi solamente un mezzo per acquisire prestigio sociale e fare carriera significa allontanarsi dalla medicina autentica71.

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 60-63)

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