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L’arte ostetrica: cenni storic

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 154-156)

Come la tecnica medica agisce sul corpo femminile

9. Donne che aiutano le donne: la figura dell’ostetrica

9.1. L’arte ostetrica: cenni storic

Nel mondo occidentale è in atto un ridimensionamento quantitativo1, ma soprattutto qualitativo, della professionalità delle ostetriche. L’arte ostetrica è stata progressivamente accantonata e privata del proprio ruolo sociale. Ma come ci ricorda Luigi Mario Chiechi, «spazzando via l’arte ostetrica si è cancellata una cultura millenaria, un modo di concepire la biologia femminile e le sue espressioni fondato su una concezione [anch’essa] femminile e sul rispetto della natura e del corpo [delle donne]»2. Il parto è stato per millenni «un’esperienza esclusivamente femminile: le donne partorivano con l’aiuto di altre donne con una ritualità che si tramandava per linee femminili»3. Non poteva essere che così, in società in cui i confini tra “mondo degli uomini” e “mondo delle donne” erano chiari e netti e i rispettivi spazi di azione erano delimitati in modo preciso4. Nei casi in cui era necessario un aiuto che provenisse dal di fuori del nucleo familiare, si faceva ricorso a una levatrice (o “mammana”), donna anch’essa, che assisteva la partoriente in modo olistico, occupandosi non solo degli aspetti “materiali” del parto, ma anche di quelli psicologici ed emozionali. L’arte ostetrica delle levatrici era tramandata per via femminile, di madre in figlia oppure a un’allieva; non esisteva alcuna formazione che non fosse l’esperienza diretta, l’unica vera scuola erano l’osservazione attenta e la pratica. La figura della levatrice apparteneva all’immaginario collettivo e la sua importanza è testimoniata anche dalla storia dell’arte, se consideriamo che fino al Rinascimento una levatrice compariva abitualmente anche nelle raffigurazioni della Natività5.

L’ostetricia tradizionale, quella delle antiche levatrici, «accusata di ignoranza e

1

In Italia, dal 1985 al 2005, il numero delle ostetriche è diminuito del 6,9% (L. M. Chiechi, Donna, etica e

salute, Aracne 2006, p. 154).

2

L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, cit. pp. 154-155.

3

F. Pizzini, Corpo medico e corpo femminile. Parto, riproduzione artificiale, menopausa, Franco Angeli 1999, cit. p. 24.

4

La distinzione culturale tra i due sessi si faceva sentire fin dalla nascita, tanto che, in ambito europeo, l’acqua con cui veniva lavato ogni nuovo nato veniva sparsa fuori casa se il bimbo era maschio, oppure versata sul focolare se si trattava di una femmina.

5

F. Pizzini, Corpo medico e corpo femminile. Parto, riproduzione artificiale, menopausa, Franco Angeli 1999, pp. 23-24.

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pericolosità[,] è stata espropriata della sua arte dalla ostetricia medica» 6 quando quest’ultima ha dato prova, con l’ausilio della tecnica, «di saper tutelare meglio gli interessi del feto stabilendo che questo era l’interesse primario indipendentemente da qualsiasi considerazione del corpo materno»7. Da quel momento, l’esistenza delle levatrici sarà sempre più precaria e segnata, fino ad arrivare all’istituzionalizzazione della loro attività, inquadrata in uno schema gerarchico che oggi le vede sottomesse ai medici in qualità di ostetriche8.

Le cose per loro iniziarono a cambiare tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età Moderna, quando entrò in crisi il modello culturale basato sul sapere empirico, di cui le levatrici erano esponenti, a favore di quello fondato sul sapere teorico e tecnico, derivante da un’istruzione regolare, dalla quale le donne erano escluse. Si giungerà così a fenomeni estremi, come quello della “caccia alle streghe”, che coinvolgerà anche le levatrici, perché attorno al loro sapere e al loro agire si insinuò spesso il sospetto di stregoneria, di rituali magici non approvati dalla Chiesa. Tra il Cinquecento e il Seicento «la figura della strega e della levatrice assunsero un valore simbolico: la strega divenne il simbolo del disordine della natura, che richiedeva il controllo e il dominio dell’uomo, la levatrice simboleggiava invece l’incompetenza della donna a gestire la riproduzione umana, che doveva pertanto esserle sottratta a favore di una figura professionale riconosciuta: il medico»9.

Fu la visione meccanicistica cartesiana10 ad aprire «la strada alla “mascolinizzazione” del pensiero scientifico e all’intervento dell’uomo nell’universo femminile del parto»11

. Anche in caso di parti naturali, infatti, si iniziò a richiedere l’assistenza di chirurghi – che non potevano che essere maschi – considerati più preparati delle levatrici12; essi furono i primi uomini a entrare in un campo che fino ad allora era stato di esclusiva competenza femminile. Con l’arrivo del chirurgo ai piedi del letto della partoriente nasceva un nuovo

6

L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, cit. p. 155.

7

Ivi, cit. p. 155.

Mentre nel passato il corpo della donna era “sacrificato” al fine di dare la più numerosa progenie possibile, ora si immola all’interventismo medico – che spesso lo subordina al feto che contiene – e seguendo questa linea di pensiero «può essere disteso, tagliato, divaricato, invaso, per fornire il miglior prodotto» (L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, cit. p. 155).

8

F. Pizzini, Corpo medico e corpo femminile. Parto, riproduzione artificiale, menopausa, Franco Angeli 1999, pp. 25-26.

9

Ivi, cit. p. 26.

10

Con Cartesio si cessò di vedere la natura come un organismo vivente e si iniziò a considerarla – e di conseguenza a trattarla – come una macchina, indagando le leggi fisiche che la regolavano.

11

F. Pizzini, Corpo medico e corpo femminile. Parto, riproduzione artificiale, menopausa, Franco Angeli 1999, cit. p. 26.

12

I medici erano stati chiamati in causa anche per cercare di porre un freno alla mortalità perinatale, allora molto elevata, ma ciò, almeno in prima battuta, non avvenne.

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sapere, l’ostetricia medica, accompagnato da tecniche e strumenti che moltissime levatrici non vollero o non riuscirono ad adottare. Il forcipe, che in seguito diventerà lo strumento ostetrico per eccellenza, fu introdotto proprio in questo periodo, da questa nuova medicina alle prime armi con la gravidanza13.

Si crearono scuole per dare un’istruzione “scientifica” alle levatrici, dalle quali usciva una figura nuova, a cavallo tra innovazione e tradizione. Uno dei suoi compiti era trasmettere alle donne che assisteva i valori della medicina moderna, primo fra tutti la sicurezza, un elemento sconosciuto alla tradizione popolare, pervasa dal fatalismo14. Il parto, già allora, veniva così privato della sua connotazione naturale per diventare qualcosa che richiede competenze mediche professionali. Se, da una parte, il ruolo delle levatrici era ridimensionato rispetto al passato, dall’altra esse vedevano allargarsi il loro raggio d’azione: dovevano occuparsi della salvezza e della salute della madre e del neonato – dovevano cioè diffondere nella popolazione i princìpi basilari di ostetricia, di pediatria, di puericultura – e dovevano fare da mediatrici tra il mondo dei medici e la gente comune. La levatrice diventò così un «intermediario tra la popolazione e l’istituzione medica»15. Andava affermandosi, tra queste levatrici “istituzionali”, una

nuova coscienza professionale; tuttavia esse avevano l’arduo compito di “imporsi” sulle vecchie mammane, ancora legate ai metodi tradizionali e il cui lavoro era privo di qualsiasi riconoscimento ufficiale. Non sarebbe stato affatto facile, perché nella popolazione, soprattutto quella contadina, c’era molta riluttanza ad adeguarsi alle pratiche innovative da loro proposte16.

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 154-156)

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