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La richiesta del taglio cesareo come reazione alla paura del parto

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 145-148)

Come la tecnica medica agisce sul corpo femminile

8. La medicalizzazione del parto

8.4. La richiesta del taglio cesareo come reazione alla paura del parto

Possiamo definire il nostro tempo come il “tempo della paura”: nel mondo occidentale, infatti, la donna ha paura, se non addirittura terrore, del parto naturale. Questa paura ha contribuito all’affermarsi della medicalizzazione della gravidanza e di una delle sue espressioni più preoccupanti, l’elevato numero di tagli cesarei. A spaventare le donne è

33 Ivi, p. 116. 34 Ivi, pp. 116-117. 35 Ivi, cit. p. 117.

Esiste un altro aspetto culturale del taglio cesareo, su cui poco ci si sofferma: con esso assistiamo per la prima volta, nella storia delle donne, all’interruzione di quel legame spirituale tra madre e figlia che consiste nella trasmissione e nella condivisione della fortissima esperienza emotiva del parto naturale. Una donna sottoposta a cesareo non potrà in alcun modo partecipare empaticamente a un eventuale parto naturale della figlia e non saprà aiutarla ad affrontare emozioni che a suo tempo non ha vissuto (L. M. Chiechi, Donna,

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soprattutto il dolore del parto, descritto come una sensazione così intensa da risultare insopportabile, ma allo stesso tempo assolutamente inevitabile36. «[…] la paura del parto è una paura complessa, ancestrale, ma che ha assunto note particolari nella società attuale; è paura del dolore da parto, ignoto e temuto perché la sua gestione non è più trasmessa dalle precedenti generazioni, la cui modalità di parto era completamente differente; è paura delle complicanze da parto, soprattutto neonatali, verso cui la moderna ostetricia non dà certezze ma tende ad amplificare […]; è paura per le lacerazioni da parto, per l’episiotomia37

, per le sequele sulla sessualità e l’incontinenza»38. Ma la paura colpisce anche chi deve assistere la donna durante il parto, come le ostetriche, «per le eventuali complicanze di cui si sentirà responsabile, o sarà in ogni caso ritenuto responsabile»39.

Nella nostra società tecnologizzata è sempre più difficile, se non addirittura impossibile, sottrarre la gravidanza alla medicalizzazione: la gravidanza e la sua medicalizzazione sono due concetti ormai inscindibili nelle menti di tutte le donne e di tutti i medici. Per diverse vie e per molti anni, le donne sono state educate a temere il parto per via vaginale e ad avere paura del travaglio e del dolore che lo accompagna. La strada più facile per evitare questa traumatica esperienza è richiedere il taglio cesareo. Ma una tale richiesta, oggi sempre più frequente, pone seri problemi sul piano etico-culturale (cfr. parr. 8.5-8.6). Si è infatti rotto l’antico legame tra la donna e il parto, un rapporto che si pensava indissolubile, se non altro perché assecondava le leggi della Natura40.

Oggi, quando parliamo di parto, ci troviamo di fronte a concetti quali prestazione,

servizio, tecnicità, totalmente estranei a quella che era la solidarietà femminile di un

tempo, che vedeva la richiesta d’aiuto di una donna venire soddisfatta dalla collaborazione disinteressata di un’altra donna41

(cfr. Cap. 9). Essendo andata persa l’arte dell’assistenza

al parto, ecco che il parto naturale è diventato qualcosa da evitare, per sfuggire ai suoi

aspetti più negativi: «la facile invasività del corpo, lo scarso rispetto dell’intimità, il pudore ignorato e violato, il lettino da parto, le forbici pronte per il taglio […], i fili pronti

36

L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, p. 119.

Nella Bibbia, Dio stesso condanna la donna a partorire con dolore (Genesi 3,16). L’incapacità di gestire le sensazioni dolorose, correlata alla perdita di senso del dolore, costituisce uno degli argomenti di Ivan Illich contro la medicina moderna (cfr. parr. 2.9-2.12).

37

Cfr. nota 8.

38

L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, cit. p. 119.

39 Ivi, cit. p. 119. 40 Ivi, pp. 119-120. 41 Ivi, p. 120.

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per cucire»42, la possibile presenza di giovani medici che assistono per imparare.

In uno studio pubblicato nel 2007, l’eccessivo ricorso al taglio cesareo nel nostro Paese fa parlare di tale pratica come di una vera e propria “epidemia”, pur con qualche differenza tra il Nord, il Centro e il Sud43. Secondo dati ISTAT, citanti fonti ministeriali, nel

2003 l’Italia risultava il Paese dell’Unione Europea con il più alto numero di tagli cesarei eseguiti, pari al 36,9% dei parti totali44. Il costante incremento di questa pratica – si è passati dal 29,9% del totale nel quinquennio 1995-1999 al 35,2% nel quinquennio 2000- 200445 – è dovuto a vari fattori tra loro connessi: l’aumento dell’età alla nascita dei figli implica un maggior numero di gravidanze a rischio, che a sua volta favorisce il ricorso a una medicina preventiva, assecondato dalla sempre maggiore sicurezza delle procedure chirurgiche. Questo incremento spropositato dei parti per via chirurgica, però, non è dovuto solo ed esclusivamente all’aumento delle gravidanze patologiche, ma anche a fattori socioculturali: la volontà dei medici, le pressioni delle aziende ospedaliere e non ultime – forse è questo il dato più preoccupante – le richieste delle pazienti stesse46. Queste ultime, soprattutto, costituiscono un elemento anomalo, perché si tratta di richieste che non hanno una motivazione medica. Siamo giunti al punto che, in qualche modo, la volontà della donna prevale sul sapere medico; per questo si impone una revisione del rapporto medico-paziente e dei princìpi bioetici dell’autonomia, della beneficenza e della non maleficenza (cfr. par. 3.5).

42

Ivi, cit. p. 120.

43

C. Di Priamo, I parti con taglio cesareo: fattori territoriali, organizzativi e ruolo delle donne, in AA. VV.,

Genere, famiglia e salute, Franco Angeli 2007, pp. 502-518.

44

AA. VV., Gravidanza, parto, allattamento al seno - 2004-2005, ISTAT 2006, p. 4; C. Di Priamo, I parti con

taglio cesareo: fattori territoriali, organizzativi e ruolo delle donne, in AA. VV., Genere, famiglia e salute,

Franco Angeli 2007, pp. 502-518.

In Paesi come la Germania, la Francia e il Regno Unito la percentuale si attesta al di sotto del 25%, così come la media della UE (23,7% nel 2002). Secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) i tagli cesarei non dovrebbero nemmeno superare il 15% dei parti totali (C. Di Priamo, I parti

con taglio cesareo: fattori territoriali, organizzativi e ruolo delle donne, in AA. VV., Genere, famiglia e salute, Franco Angeli 2007, pp. 502-518).

45

AA. VV., Gravidanza, parto, allattamento al seno - 2004-2005, ISTAT 2006, p. 5.

46

L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, p. 125.

Dati come quelli dei Paesi Bassi e della Danimarca (incidenza dei tagli cesarei pari al 13,5%) dimostrano come il ricorso alle modalità di parto più medicalizzate non sia imposto dal progresso medico-scientifico quanto dovuto a un atteggiamento culturale.

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