Come la tecnica medica agisce sul corpo femminile
5. Quando “essere donna” significa “essere malata”
5.3. La sindrome premestruale: disturbo mentale o costruzione sociale?
L’ultima patologia che si è aggiunta alla lista delle “malattie femminili” è la sindrome premestruale (PMS, Pre-Menstrual Syndrome)26. Con questa espressione ci si riferisce a «un complesso di sintomi di tipo emozionale, fisico e comportamentale dall’andamento ciclico, dall’intensità variabile e in stretta relazione con il periodo postovulatorio del ciclo mestruale, di severità sufficiente a condurre ad un deterioramento delle relazioni interpersonali e/o ad un’interferenza con le attività normali»27
. Nella PMS prevarrebbero i disturbi dell’umore, al punto da renderla oggetto di studio da parte degli psichiatri: nel 1987 essa è stata inserita nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali redatto dall’Associazione Americana di Psichiatria (APA, American Psychiatric Association), la più autorevole nel campo dello studio delle malattie della mente28.
Il movimento femminista americano fu il primo a chiedere una «riflessione sul significato e sulle potenziali conseguenze della concettualizzazione della sindrome [premestruale] in termini di malattia – in modo particolare per ciò che concerne la possibilità di occupare posizioni lavorative di responsabilità – per tutte le donne»29. Chi affiderebbe, infatti, un ruolo dirigenziale o istituzionale di primo piano, magari con centinaia di persone alle dipendenze o con l’onere di prendere decisioni determinanti, a qualcuno che ogni quattro settimane circa diventa emotivamente instabile e quindi inaffidabile? Secondo le femministe, ma anche secondo molti psichiatri, classificando la PMS tra i disturbi mentali si danneggiavano tutte le donne, condannandole ad essere “vittime” della loro stessa fisiologia, e si creava un’“arma” che poteva essere usata contro di loro in ambito lavorativo e sociale: «i cambiamenti psicologici associati ad una normale funzione corporea […] dovrebbero anch’essi essere considerati normali»30. Si sollevò un
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Il termine è stato introdotto da Robert T. Frank nel 1931, in un articolo in cui descriveva tutti i sintomi della PMS, da quelli psicologici (quali irritabilità, depressione e ansia) a quelli fisici (nausea, problemi epidermici, dolori al ventre e al seno) ai problemi di concentrazione (dovuti a mal di testa, stanchezza e insonnia). È stato notato come la creazione e la successiva affermazione della PMS siano coincisi temporalmente con l’esigenza, negli Stati Uniti della Grande Depressione, di escludere le donne dal mondo del lavoro per favorire l’occupazione maschile (G. Ranisio, Corpo femminile e medicalizzazione, in D. Cozzi (a cura di), Le
parole dell’antropologia medica. Piccolo dizionario, Morlacchi 2012, pp. 67-84).
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P. Borgna, Sociologia del corpo, Laterza 2005, cit. p. 24.
Tra gli effetti delle disfunzioni endocrine alla base della PMS vi sono la diminuzione della capacità di concentrazione e dell’interesse per le attività usuali, da cui deriva un generale calo di efficienza.
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P. Borgna, Sociologia del corpo, Laterza 2005, nota 12 p. 25.
29
Ivi, cit. p. 25.
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dibattito che andò a toccare il tema della costruzione sociale delle malattie mentali31: «quand’anche ci fossero validi criteri per distinguere tra variazioni normali e variazioni anormali nei livelli di estrogeni, perché mai le conseguenze mentali e comportamentali di questi cambiamenti fisiologici […] debbono essere costruite come sintomi di disturbo mentale? […] Di più: la sindrome [premestruale] avrebbe trovato posto tra i disturbi mentali se del gruppo di lavoro incaricato del suo studio dall’Associazione Americana di Psichiatria […] avessero fatto parte un numero maggiore di psichiatri donne? O se queste ultime avessero avuto più potere politico nell’Associazione? Ancora: se non esistessero stereotipi sulle donne “in certi giorni”?»32
Al di fuori della comunità medica, una riflessione sulla sindrome premestruale si è aperta anche tra gli antropologi. Essi osservano, innanzitutto, come i disturbi associati alla PMS esistano – e addirittura ci si interroghi se considerarli sintomi di una vera e propria malattia – esclusivamente nelle società industrializzate occidentali33. Inoltre affermano che l’opinione delle donne stesse sulla PMS è influenzata dal modo mutevole con cui essa è trattata dai medici, dalla società e dai media, oscillando continuamente tra i due estremi del “mito culturale maschilista” e della “conclamata patologia debilitante”.
Paola Borgna si chiede «cosa significa, dunque, affermare – come fa la prospettiva cultural-femminista – che la sindrome premestruale è una costruzione sociale?»34 Significa «che non è possibile guardare al corpo [femminile] come ad una forma puramente naturale»35, poiché nel nostro modo di considerare la donna nei giorni successivi all’ovulazione36
«sono implicite assunzioni sulla natura della società, e nella fattispecie sui ruoli in essa di uomo e donna»37, che «orientano una serie di pratiche relative al corpo»38. Queste considerazioni, dice sempre Borgna, valgono non solo per la sindrome premestruale, ma anche per altri aspetti della fisiologia femminile, quali la gravidanza e la menopausa.
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Una riflessione simile avvenne negli anni Settanta del secolo scorso a proposito dell’omosessualità, catalogata dall’APA tra i disturbi mentali fino al 1973 (P. Borgna, Sociologia del corpo, Laterza 2005, p. 26).
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P. Borgna, Sociologia del corpo, Laterza 2005, cit. pp. 26-27.
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Questa riflessione vale anche per altri aspetti della biologia femminile – uno su tutti, la menopausa – per i quali le donne occidentali consultano abitualmente il ginecologo, mentre in altre parti del mondo ciò non avviene (cfr. par. 5.6).
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P. Borgna, Sociologia del corpo, Laterza 2005, cit. p. 29.
35
Ivi, cit. p. 29.
36
«Processo che consiste nell’espulsione da parte dell’ovaio di una cellula uovo pronta per essere fecondata» (AA. VV., Salute. Dizionario medico OVA-R, RCS Libri 2006, voce Ovulazione).
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P. Borgna, Sociologia del corpo, Laterza 2005, cit. p. 29.
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Per comprendere la PMS è necessario studiare il suo significato culturale. Essa è «uno degli esiti della progressiva medicalizzazione del corpo e del comportamento femminile»39; secondo alcuni autori, attraverso la PMS le donne occidentali possono «esprimere la frustrazione generata dalla [loro] vita sociale»40, poiché è l’unica maniera che hanno per farlo, l’unica che la società trasmette loro, l’unica che la società accetta. La PMS, inoltre, sarebbe così diffusa a causa «dell’atteggiamento negativo nei confronti delle mestruazioni, alimentato dai media e da interessi politici ed economici, e del conflitto tra ruoli femminili produttivi e ruoli femminili riproduttivi»41. É possibile che la riduzione dell’efficienza delle donne sul posto di lavoro, che può verificarsi nel periodo premestruale, sia etichettata come malattia proprio a causa dell’organizzazione del sistema socio-economico occidentale. C’è addirittura chi vede, dietro la propaganda a favore del riconoscimento medico della PMS negli anni Settanta del Novecento, gli interessi di quella parte di società che voleva che le donne “rimanessero a casa” e non rivendicassero ruoli sociali fino ad allora appannaggio dei soli maschi42.
La moderna medicina consiglia l’uso di farmaci – per lo più antidepressivi – per contrastare «la comparsa regolare, a cadenza mensile, in milioni di donne, di ansia, irritabilità e rabbia dall’intensità e dalla persistenza variabile, in corrispondenza di forme di diversa severità della sindrome [premestruale]»43. Sarebbe invece opportuno non intervenire in alcun modo contro gli effetti disabilitanti della PMS, anzi convivere con essi – come d’altronde si è sempre fatto in passato e si continua a fare in altre parti del mondo – tentando piuttosto «di attingere a [quelle] riserve latenti di emozione, di comprensione e di creatività»44 che sembrano emergere “in quei giorni” e di cui la stessa letteratura medica sulla PMS riferisce.