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I princìpi fondamentali della bioetica e la loro applicazione in medicina

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 57-60)

L’invadenza della medicina e le sue implicazioni etiche

3. Cosa è giusto e cosa è sbagliato: l’etica in medicina

3.5. I princìpi fondamentali della bioetica e la loro applicazione in medicina

Quattro sono i princìpi cardine su cui si basa la moderna bioetica: i princìpi di autonomia, di beneficenza, di non maleficenza e di giustizia.

Grazie al principio di autonomia è cambiato, rispetto al passato, il ruolo del paziente e di conseguenza anche quello del medico: il malato è finalmente soggetto attivo nel raggiungimento della propria salute – e non più oggetto passivo del paternalismo medico – mentre il medico deve «mettere il paziente in condizioni di effettuare la sua scelta in maniera libera e consapevole»41. Nel rapporto medico-paziente avviene l’incontro tra due autonomie: deve esserci un percorso comune affinché ognuno scopra l’altro. Alla fine di questo percorso, «da una parte il paziente [deve arrivare] ad acquisire tutti gli elementi utili alla decisione», dall’altra il medico è chiamato «non soltanto a fornire gli elementi scientifici specifici, ma anche a cercare di capire le possibilità conoscitive del malato, la solidità psicologica, la capacità decisionale, l’impatto emotivo, l’ambiente familiare [e] culturale»42, in altre parole, il “mondo” del malato. Alla base deve comunque esserci «la volontà comune di avere come obiettivo il miglior risultato, sia in rapporto alle condizioni globali del malato, […] sia in rapporto alle possibilità […] del medico»43

. La validità del principio di autonomia è tanto maggiore quanto minore è la gravità della patologia di cui soffre il paziente: in ginecologia questa è quasi la norma, in quanto sempre più frequentemente le donne si rivolgono al ginecologo in assenza di vere patologie44.

Il principio di beneficenza impone al medico di orientare le sue azioni verso il bene del paziente. Può sembrare un concetto ovvio, scontato, ma nella medicina moderna non è affatto detto che tutto ciò che un medico fa miri al benessere del malato. Molti farmaci, ad

41 Ivi, cit. p. 24. 42 Ivi, cit. p. 25. 43 Ivi, cit. p. 25. 44 Ivi, p. 24.

Basti pensare alle consulenze ginecologiche per avere consigli sulla contraccezione o per ricevere risposte a dubbi riguardanti la gravidanza o la menopausa.

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esempio, non sono di alcun giovamento, ma sono comunque prescritti per accondiscendere alle pressioni delle case farmaceutiche. Perciò è bene sottolineare come non ci debba essere nessuna “interferenza”, di alcun genere, nel valutare l’opportunità di una cura, di un trattamento o di un esame: il concetto di beneficenza deve essere riferito a nient’altro che al paziente, alla sua salute fisica, psicologica e morale45

. Proprio in riferimento al benessere psicologico del malato, è opportuno ricordare quanto per un medico sia importante, se non fondamentale, saper comunicare: il che significa dimostrare tatto ed empatia, specialmente se l’annuncio di una data diagnosi può turbare molto il paziente. A volte, infatti, il dovere alla veracità può essere in contrasto con il principio di beneficenza; in questi casi sarebbe bene limitare le spiegazioni piene di “paroloni” e potrebbe addirittura essere opportuno celare o mascherare alcuni risvolti della verità. Una veracità inopportuna solleva il medico dalle sue responsabilità morali e scarica tutta la pesantezza e l’angoscia della situazione sulle spalle del paziente46.

Il terzo principio è il principio di non maleficenza; esso impedisce al medico di arrecare danno, dolore fisico o psicologico oppure privazioni al paziente47. Purtroppo in medicina non è facile essere certi di non provocare alcun danno, c’è sempre un margine di rischio da considerare: pensiamo, ad esempio, agli effetti collaterali dei farmaci o alle complicazioni che possono insorgere durante un intervento chirurgico. Inoltre, come sappiamo, oggi la medicina è sempre più “medicina di prevenzione”: agisce quindi su persone sane, per le quali non è possibile sapere in anticipo se godranno in maggior misura dei benefici della cura preventiva – perché magari avevano un’alta probabilità di contrarre una data malattia – oppure ne affronteranno solo gli inevitabili svantaggi48. Un altro fenomeno relativamente recente è la tendenza a una «gestione farmacologica di normali espressioni biologiche della vita, come per esempio la gravidanza, la fertilità, la

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L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, pp. 25-26.

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Ivi, pp. 36-37.

Rispettando il dovere etico della veracità si può incorrere in situazioni spiacevoli, che possono comportare angoscia, paura e disorientamento nel paziente. Chiechi cita l’esempio dello pseudoermafroditismo maschile (chi è afflitto da questa sindrome si sente, e appare, donna a tutti gli effetti, ma possiede un corredo genetico maschile ed è perciò sterile): l’esposizione di diagnosi delicate e destabilizzanti come questa, che cambiano per sempre il modo di considerarsi, richiedono tempo per essere accettate e presuppongono partecipazione e comprensione da parte del medico; molto spesso, invece, si dedica loro un tempo risicato e le si riempie con un linguaggio o troppo tecnico o troppo diretto (L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, pp. 34- 36).

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Spesso tale principio viene sintetizzato con la massima latina Primum non nocere (“Per prima cosa, non nuocere”).

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menopausa»49, il ciclo mestruale. In questi casi è ancora più difficile stabilire se le cure prescritte dai medici rispettino o meno il principio di non maleficenza e quello, strettamente connesso, di beneficenza.

Chiechi ci ricorda come nel secolo scorso abbiamo assistito all’imporsi della «visione della menopausa come malattia e fonte di malattie» 50 (cfr. Cap. 5). L’automatica conseguenza è stata la necessità di una cura, presto identificata nella terapia ormonale sostitutiva, che richiede l’assunzione di ormoni per decenni, al fine di prevenire malattie cardiovascolari e fratture osteoporotiche, ovvero le patologie più frequenti tra le donne in menopausa. Il problema è che il maggiore effetto collaterale della somministrazione di ormoni consiste in un aumento di incidenza dei tumori al seno. Ciò ha sollevato un dilemma etico: se la menopausa è un evento fisiologico, perché dovrebbe necessitare di cure? Ha senso “curare la normalità”? Ma, soprattutto, ne vale la pena, sapendo che il pericolo è quello di incorrere in effetti indesiderati terribili solo per evitare problemi di portata minore? Tra un cancro, un infarto e una frattura, infatti, c’è un’enorme differenza in termini di impatto fisico e psicologico51. Porre una donna di fronte a dilemmi simili è crudele: come si può scegliere tra «un elevato rischio di frattura osteoporotica od un basso rischio di tumore al seno?»52 Per tutti questi motivi, il principio di non maleficenza ha dei confini poco definiti ed è di difficile applicazione.

Con il quarto e ultimo principio, il principio di giustizia, si intende il dovere morale di fornire lo stesso trattamento – il migliore possibile – a tutti coloro che necessitano di cure mediche, a prescindere dalle loro differenze di sesso, di età, di razza, di religione, di cultura, di scolarizzazione, di provenienza geografica, di ricchezza: tutti devono essere assistiti allo stesso modo in quanto persone. Secondo Chiechi, questo è il principio più importante, ma al contempo il più difficile da rispettare, quello oggi meno applicato. Si hanno, per esempio, notevoli disparità di trattamento a livello geografico, sia globale che locale: basti pensare alle diverse maniere di affrontare la gravidanza tra il Nord e il Sud del mondo – e dell’Italia53 – o alle differenti possibilità di cura contro il cancro offerte nelle diverse aree del nostro Paese. Notevoli disuguaglianze derivano anche dall’essere

49 Ivi, cit. p. 26. 50 Ivi, cit. p. 26. 51 Ivi, pp. 26-27. 52 Ivi, cit. p. 28. 53

In Italia assistiamo a palesi differenze di trattamento sanitario tra le regioni settentrionali e quelle meridionali: rispetto al Nord, al Sud abbondano i tagli cesarei e la gravidanza è maggiormente medicalizzata e “privatizzata” (L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, p. 89).

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ricoverati in una clinica privata o in un ospedale pubblico54. Anche «la trasformazione della sanità in apparato complesso centrato sulla struttura ed organizzazione ospedaliera»55 ha contribuito all’inosservanza del principio di giustizia: è sempre più difficile, per i medici, riuscire ad essere giusti ed equi, poiché fortemente condizionati, se non addirittura ostacolati, dalle risorse ridotte di cui dispongono56. Quasi sempre il principio di giustizia rimane, appunto, solo un principio, un ideale astratto che non trova il modo di concretizzarsi nella realtà.

Nel documento La medicalizzazione del corpo della donna (pagine 57-60)

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