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La crescita del lavoro autonomo involontario e dei lavoratori autonomi poveri.

Sezione II: Lavoro autonomo nel diritto dell’Unione Europea

5. La crescita del lavoro autonomo involontario e dei lavoratori autonomi poveri.

La crescita costante del lavoro autonomo nell’Unione Europea, in termini numerici, non è di certo un tema nuovo all’interno del diritto del lavoro europeo. Questo soprattutto alla luce dei molteplici programmi193 di incentivo all’occupazione realizzati dall’UE che, mirando a dare una rapida risposta al problema della disoccupazione, hanno promosso e supportato il passaggio dei lavoratori disoccupati verso il lavoro autonomo. Tale supporto a questa transizione deriva dalla concezione, fatta propria dalla Commissione Europea in diverse Comunicazioni, che l’imprenditorialità sia un “possente volano della crescita economica e della creazione di posti di lavoro”194. Infatti, ciò si evince

anche nella Comunicazione “Verso una ripresa fonte di occupazione”, con la quale la Commissione, conscia della perdita di occupazione derivante dalla crisi del 2008 (circa 6 milioni di posti di lavoro perduti195), ha posto quale obiettivo fondamentale quello di promuovere e sostenere il lavoro autonomo e la nascita di nuove imprese (c.d. undertakings). In quest’ottica vanno visti i programmi nazionali di trasformazione delle indennità di disoccupazione in contributi funzionali all’apertura della propria impresa imprenditoriale e diventare, così, lavoratore autonomo; tra cui si segnala l’esperienza italiana con la liquidazione

192 Corte di Giustizia Europea, 15 dicembre 2005, procedimenti riuniti C-151/04 e C/152/04,

Claude Nadin, Nadin Lux SA e Jean-Pascal Durrè, in Racc, 2005, pag. 775, Para 31.

193 Si veda il filone programmatico delle istituzioni europee derivante dalla Strategia “Europe

2020” come il “Programme for the Competitiveness of Enterprises and Small and Medium- sized Enterprises” oppure l’”Entrepreneurship 2020 Action plan”, indirizzato all’accesso per le

imprese e gli autonomi a fondi di finanziamento europei.

194 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Comitato Economico e

Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Piano d’Azione Imprenditorialità 2020. Rilanciare lo spirito imprenditoriale in Europa, COM(2012) 795 final, 2013, pag. 3.

195 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Comitato Economico e

Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, “Verso una ripresa fonte di occupazione”, COM(2012) 173 final, pag. 2.

59 in un’unica soluzione della Naspi, ai sensi dell’art. 8, primo comma, del D.lgs. n. 22/2015. Questo passaggio da disoccupato a lavoratore autonomo trova conferma nei dati statistici raccolti dall’Eurostat196, i quali ritraggono una situazione in cui i lavoratori disoccupati da più di tre anni sono coloro che hanno maggiormente sfruttato la possibilità di diventare lavoratore autonomo.

Occorre però precisare che, seppur la promozione del lavoro autonomo come possibile via di fuga dalla disoccupazione - agli occhi di un normale cittadino - possa apparire un’ottima politica occupazionale, un’analisi più approfondita di tale policy fa emergere diverse problematiche che remano in direzione opposta rispetto a quanto atteso dalla Commissione Europea. Difatti, una delle preoccupazioni principali, oltre alla mancanza di corrispondente domanda del mercato, è il livello di educazione e risorse finanziarie della nuova coorte di lavoratori autonomi entrati nel mercato del lavoro. Difatti, questi fattori impattano sulla capacità del lavoratore di posizionarsi sul mercato e sviluppare il proprio business: un aspetto che assume, come è evidente, maggiore rilevanza in alcuni settori, come quello dei servizi, caratterizzato da un’ampia concorrenza.

Da questo contesto nasce la definizione di lavoro autonomo involontario, cioè l’ingresso di nuovi lavoratori nel mercato, in qualità di operatori indipendenti, a causa della mancanza di altre – leggasi subordinate - possibilità lavorative197.

I lavoratori autonomi involontari, soprattutto quelli divenuti tali post- crisi del 2008, sono caratterizzati, come detto, da un basso livello di educazione, poche competenze tecniche, ridotte risorse economiche nonché una scarsa predisposizione – volontaria e quindi conscia delle possibili difficoltà e del rischio assunto – all’attività autonoma. Queste caratteristiche, secondo lo European Employment Policy Observatory Review del 2014198, sono barriere

196 Per un’analisi dettagliata del passaggio tra disoccupazione e lavoro autonomo si veda

Eurostat, Recent changes in self-employment and entrepreneurship across the Europe, Research notes no, 6, 2015, pag. 23.

197 Herman E., Working poverty in European Union and its Main Determinants: an empirical

Analysis, in Engineering Economics, 25, 2014, pag. 428.

198 Commissione Europea, European Employment Policy Observatory Review 2014,

60 per il posizionamento di questi lavoratori sul mercato ma sono anche fattori che possono portarli all’interno di una delle trappole del mercato del lavoro odierno: il c.d. lavoro povero.

I lavoratori poveri, come definito dalle istituzioni europee199, sono coloro che, pur lavorando per più di sei mesi all’anno, hanno un reddito annuo equivalente200 inferiore al 60 per cento del reddito mediano.

È ben noto in dottrina che i lavoratori autonomi senza personale, di cui si occupa la presente trattazione, e con bassa formazione siano più propensi a cadere nel fenomeno del lavoro povero. Questi, classificabili come lavoratori vulnerabili201, subiscono maggiormente i bassi e volatili compensi, soprattutto se derivanti da monocommittenza, e non vi sono, ad oggi, sufficienti politiche in grado di supportarne sia la transizione che i periodi a reddito basso o quasi nullo (infra. Capitolo 2).

Ciò che però spaventa sia le istituzioni europee che le associazioni di categoria – le quali da anni raccolgono le istanze dei lavoratori indipendenti202- è il dato riguardante il crescente rischio per tutti gli autonomi – dunque non solo quelli involontari – di trovarsi in una situazione di povertà lavorativa. Il rischio per questi è tre volte più alto di quello riguardante i lavoratori subordinati; a tale dato si collega la percentuale di autonomi a rischio di povertà nella categoria, il quale si aggira attorno al 40% dell’intera forza lavoro autonoma europea203.

Occorre evidenziare che il dato di cui sopra non riguarda soltanto lavoratori autonomi vulnerabili o involontari - la cui difficoltà nel percepire un adeguato reddito è stata anticipata poc’anzi - ma si estende anche a lavoratori autonomi ben integrati nel mercato del lavoro, come professionisti, free-lance

rispettano quanto analizzato anche nella precedente edizione dello studio nel 2010. Per una un approfondimento sulla situazione nel 2010 si veda Commissione Europea, Self-employment in

Europe, in European Employment Observatory Review, 2010.

199 Eurofound, In-work poverty in the EU, Eurofound, 2017, pag. 5.

200 Con il termine equivalente (dall’inglese equivalised) si intende la valutazione del reddito in

base alla composizione del nucleo familiare, avendo definito un determinato peso ad ogni membro: anziani 0,5, adolescenti 0,3 etc.

201 Eurofound, Exploring self-employment in the European Union, Ufficio pubblicazioni

dell’Unione Europea, 2017, pag. 18.

202 Etuc, Trade unions protecting self-employed workers, 2018.

203 Halleröd B., Ekbrand H., Bengtsson M., In-work poverty and labour market trajectories:

Poverty risks among the working population in 22 European countries, in Journal of European Social Policy, vol. 25, 5, 2015, pag. 484.

61 o, come definiti dagli studi statistici delle istituzioni europee, gli “stable own

account”204. Queste tipologie di lavoratori indipendenti, come ad esempio gli avvocati sono considerate per “antonomasia economicamente e socialmente forti ed anzi collocati tra i veri e propri notabili”205, in quanto abili nel poter

sfruttare la propria posizione nel mercato, la propria autonomia nei processi lavorativi206 e il corrispondente controllo dei mezzi di produzione207, siano essi fisici o intellettuali. Nonostante la loro posizione di potere – ormai meramente storica - questi lavoratori soffrono nuovi problemi, tra cui il sopracitato rischio di povertà lavorativa come anche quello relativo alla monocommittenza o lo scarso livello di autonomia208, che minano la loro stabilità nel mercato. Si pensi che secondo alcune stime del Censis per la Cassa Forense Italiana, nel 2018 più del 57% degli avvocati italiani – cioè coloro che secondo il ritratto di cui sopra dovrebbero essere economicamente stabili – hanno percepito redditi che variano dai 20.000 euro annui sino alla soglia di povertà di 10.300 euro o addirittura a reddito zero209.

Ciò posto, le istituzioni europee non possono non prendere in considerazione le istanze di questi lavoratori, che in passato si ergevano in una posizione stabile nel mercato del lavoro, ma che, dati gli innumerevoli cambiamenti dello stesso nonché la maggiore competizione dovuta alla sua apertura ben oltre i confini nazionali, risultano essere oggi privi di certezze e protezioni idonee a mitigare la loro situazione di instabilità. Situazione ancor più preoccupante se si guarda alla situazione di molti lavoratori autonomi che

204 Eurofound, Exploring self-employment in the European Union, Ufficio pubblicazioni

dell’Unione Europea, 2017, pag. 18.

205 Lassandari A., Oltre la “grande dicotomia”? La povertà tra subordinazione e autonomia,

in Lavoro e Diritto, 1, 2019, pag. 92.

206 Bögenhold D., Staber U., The Decline and Rise of Self-Employment, in Work Employment

Society, 5, 1991, pag. 224.

207 Per una precisa analisi della “petty bourgeoise”, l’attuale classe dei c.d. notabili, si veda

Wright E. O., Class, crisis and the state, 1985, pag. 41.

208 Sul tema si rimanda alla nozione di “Concealed self-employed workers”, cioè colui, che pur

non essendo propriamente un lavoratore vulnerabile, soffre, comunque, di una marcata dipendenza operativa dal cliente, un basso livello di autonomia, anche organizzativa, e una corrispondente incertezza economica. Sul punto si rinvia a Eurofound, Exploring self-

employment in the European Union, Ufficio pubblicazioni dell’Unione Europea, 2017, pag. 18.

209 Per un’analisi approfondita si veda Censis, Percorsi e scenari dell’avvocatura Italiana.

Rapporto 2018, 2018. La stessa analisi, comunque, pone l’attenzione sull’eventuale ingresso di

molti lavoratori autonomi nel mercato sommerso con l’ovvia difficoltà di svolgere accurate valutazioni statistiche non avendo dati su transazioni avvenute in modalità informale.

62 si ritrovano, oggi, in situazione di dipendenza economica dai propri committenti, i c.d. lavoratori autonomi economicamente dipendenti, vedendo limitata la propria autonomia organizzativa, alla stregua di un corrispondente lavoratore subordinato, ma senza poter approfittare delle tutele a questo estese (come malattia, ferie, orario di lavoro, salute e sicurezza e diritti sindacali). La situazione di questi lavoratori, autonomi solo per tipo contrattuale ma non dal punto di vista della debolezza nella negoziazione, riporta in auge il dibattito, sia nazionale che europeo, sui limiti della tradizionale dicotomia tra lavoratore subordinato ed autonomo, continuamente indebolita dalla crisi economica, dalla nascita di nuove forme di occupazione flessibile nonché dai mutamenti organizzativi intervenuti nel contesto post-industriale.

6. Segue. La riflessione europea sul lavoro autonomo economicamente

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