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La nozione euro-unitaria derivante da Lawrie-Blum in materie diverse dalla libera circolazione

Analizzando le parole della Corte nella sentenza Martinez Sala, in cui la stessa ha evidenziato come “la nozione di lavoratore nel diritto comunitario

non [sia] univoca, ma [vari] a seconda del settore di applicazione considerato”91, si potrebbe, in astratto, pensare alla presenza di numerose nozioni di lavoratore subordinato tali da poter essere applicate alle diverse materie trattate dal Diritto dell’Unione Europea. Tale analisi sarebbe alquanto superficiale ed erronea, sia per il tentativo dottrinale di razionalizzare tali nozioni sia per la successiva elaborazione giurisprudenziale della Corte. Una razionalizzazione che ha portato in principio ad una binaria distinzione della nozione di lavoratore92: una applicabile in materia di libera circolazione dei

91 Corte di Giustizia Europea, 12 Maggio 1998, C-85/96, María Martínez Sala v. Freistaat

Bayern, in Racc., 1998, p. 2691.

92 In questa fase della trattazione non viene presa in considerazione la nozione di lavoratore

subordinato valevole ai fini dell’applicazione del coordinamento dei regimi nazionali di sicurezza sociale. Questa, in origine, non era distinta da quella derivante dall’art. 45 TFUE ma ha guadagnato nel tempo un proprio grado di indipendenza. La nozione applicabile a tale materia, quindi all’art. 48 TFUE e al Reg. n. 883/2004/CE, non ricalca precisamente i caratteri di quella ricavabile da Lawrie-Blum, in quanto non univoca ma soprattutto è lasciata ampia soggettività al legislatore nazionale di definire l’ambito di applicazione dei rispettivi sistemi di sicurezza sociale, potendo questi includere o meno anche i lavoratori autonomi in taluni istituti previdenziali, andando ben oltre la classica distinzione salariato-non salariato. Tale nozione verrà trattata nel paragrafo di riferimento per la definizione di lavoratore autonomo e l’ambito previdenziale. Cfr. Borzaga M., La libera circolazione dei lavoratori autonomi e le questioni

29 lavoratori, “strumentale alla creazione di uno strato minimo di diritto uniforme negli Stati membri”93, ed una rinviata agli ordinamenti e prassi nazionali, destinata soltanto ad un’armonizzazione parziale e “funzionale all’applicazione di alcuni statuti garantistici del diritto comunitario del lavoro”94. Seguendo tale

razionalizzazione dottrinale si potrebbe dunque asserire che, nei settori regolamentati a livello europeo tramite direttive, diversi da quello della libera circolazione, la nozione di lavoratore applicabile sia solamente quella derivante dal principio di sussidiarietà e quindi definita dal legislatore nazionale.

Analisi dottrinale che però è stata confutata dalla costante elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia. Infatti, vi sono diverse aree del diritto dell’Unione Europea, in cui la Corte è intervenuta negli anni, nelle quali ha proiettato la sfera di influenza della nozione di lavoratore subordinato ex art. 45 TFUE ben oltre i confini della libera circolazione, non richiamando, come vedremo, alcuna definizione di natura sussidiaria e restringendo l’autonomia dei legislatori nazionali nell’ambito di applicazione delle stesse direttive. Queste aree riguardano, con leggere differenze di ragionamento da parte dei Giudici del Lussemburgo, discipline come la parità retributiva, salute e sicurezza, orario di lavoro e licenziamenti collettivi.

La parità di trattamento tra uomo e donna e la disciplina della tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro – due delle aree appena citate - furono definite da D’Antona, agli albori degli anni 2000, come ambiti di un’armonizzazione europea “coesiva”, tale da configurarsi come fondamenta di un “principio comunitario di tutela del lavoro, in grado di collocarsi di fronte alle tradizionali libertà economiche”95. Difatti, queste due discipline non mirano soltanto ad eliminare le distorsioni della concorrenza96 – in tal caso si parlerebbe di armonizzazione funzionalista che ha come principale obiettivo la piena

privato dell’Unione europea, diretto da Ajani G., Benacchio G. A., Torino, 2009, pagg. 140 e

segg.

93 Tosi P., Lunardon F., op. cit., pag. 94. 94 Ibid.

95 D’Antona M., Sistema giuridico comunitario, in Caruso B., Sciarra S. (a cura di)., Opere,

Scritti sul metodo e sulla evoluzione del diritto del lavoro. Scritti sul diritto del lavoro comparato e comunitario, Giuffrè, Milano, 2000, pag. 402.

96 Si veda Bellavista A, Armonizzazione e concorrenza tra ordinamenti nel diritto del lavoro,

in Plaia, A (a cura di), La competizione tra ordinamenti giuridici: mutuo riconoscimento e scelta

30 realizzazione del mercato comune - ma sono indirizzate ad una correzione del mercato e delle sue esternalità, mediante “l’imposizione di regole comuni ai vari ordinamenti nazionali del lavoro”97.

Con la prima tipologia, il legislatore euro-unitario rivolge la propria attenzione al livellamento delle “differenze di tutela nell’ambito comunitario per eliminare un potenziale fattore di distorsione della concorrenza”98, il ben noto dumping sociale. In tale tipologia rientrano le direttive citate nel precedente paragrafo, nel quale vige il principio di sussidiarietà per la definizione di lavoratore subordinato e per le quali l’obiettivo principale è un’armonizzazione parziale senza limitazioni all’autonomia dei legislatori nazionali.

Al contrario, l’armonizzazione coesiva ha come obiettivo quello di allineare gli ordinamenti nazionali su specifici principi condivisi e sanciti nei Trattati, come la non discriminazione, la parità retributiva tra uomo e donna ed il miglioramento dell’ambiente di lavoro e delle condizioni lavorative.

All’interno di queste tipologie di armonizzazione, sia coesiva che funzionalista, non può sottacersi il carattere sociale delle stesse. Esso è chiaramente rintracciabile nella prima, in quanto l’obiettivo primario della stessa è il raggiungimento di un nucleo di principi comunitari, mentre nella seconda viene indirettamente raggiunto come conseguenza dell’intervento regolativo delle direttive. Entrambe, comunque, sono indirizzi di un’integrazione di tipo positivo99 degli ordinamenti nazionali in materia di

lavoro: positiva perché capace di dettare standard comuni e inderogabili a livello comunitario. Nonostante tale intenzione, questa integrazione non è mai stata totalmente raggiunta. D’altronde, come sottolineato da ampia dottrina100,

97 D’Antona M., Armonizzazione del diritto del lavoro e federalismo nell’Unione Europea, in

Rivista Trimestrale di Diritto della Procedura Civile, 1994, pagg. 700 e segg.

98 Per un approfondimento sul fenomeno del Dumping Sociale ed i suoi effetti sul Diritto del

Lavoro, si veda Orlandini G., Mercato unico dei servizi e tutela del lavoro, 2014, Milano, pagg. 13 e segg.

99 Si differenzia da un’integrazione di tipo negativo, la quale ha come fine ultimo quello del

raggiungimento e sviluppo del mercato comunitario, con interventi regolativi mirati ad eliminare ogni ostacolo, sia sociale che economico, alla libera concorrenza. Cfr. Bellavista A,

op. cit. pag. 84

100 Treu T., Le regole sociali europee: quali innovazioni?, in Europa e diritto privato, I, 2004,

pag. 33; Barbera M., Nuove forme di regolazione: il metodo aperto di coordinamento delle

31 l’armonizzazione, e quindi anche l’integrazione, perseguita dal legislatore europeo non è mai stata capace di forzare gli Stati membri ad innalzare gli standard nazionali minimi di tutela, talvolta per la residualità di tali diritti sociali rispetto al raggiungimento dell’obiettivo mercantilistico, talvolta per l’esclusiva competenza dei Paesi membri nelle varie materie. Ciò posto, come anche evidenziato da Treu101, le uniche aree in cui gli standard di tutela minimi hanno visto un tangibile innalzamento unitario sono quelle della parità di trattamento e della protezione della salute.

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