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Sezione I: Il dibattito dottrinale ed il suo impatto sul diritto del lavoro europeo.

6. La teoria della Personal Work Relation.

Anche al di fuori delle teorie italiane, il tema di una nuova concezione del diritto del lavoro e dei diritti da esso garantiti ha trovato terreno fertile nelle proposte e ipotesi di ben noti giuslavoristi. Oltre al citato Supiot, anche l’esperienza britannica454, in materia di rivisitazione della tradizionale

architettura del diritto del lavoro, è stata foriera di intuizioni che ancora oggi risultano essere attuali, o quantomeno, rimangono sullo sfondo del dibattito.

Una delle più controverse teorie alla base di un ripensamento del diritto del lavoro è quella che prende piede dai primi lavori di Mark Freedland, rivisti numerose volte dallo stesso autore ed infine rilanciata in collaborazione con

453 Senatori I., Tiraboschi M., Il position paper del Centro Studi Internazionali e Comparati

Marco Biagi sul Libro Verde, in Diritto delle Relazioni Industriali, 4, 2007, pag. 1039.

454 Un’ulteriore teoria britannica che ripercorre il problema del diritto del moderno è quella

proposta da Paul Davies. Secondo l’Autore, la distinzione tra lavoratore subordinato ed autonomo dovrebbe essere rivista, in quanto esiste una parte di quest’ultimo gruppo che, essendo caratterizzato da dipendenza economica e svolgendo prestazioni di natura esclusivamente personale, dovrebbe vedersi applicata gran parte del Diritto del lavoro europeo. Al contrario, agli autonomi puri, da leggersi come imprenditori secondo Davies, non dovrebbero essere garantite le tutele del lavoratore subordinato ma solo alcune garanzie in termini di preavviso sulla risoluzione dei contratti o forme di risarcimento in tali casi, seguendo quella via già tracciata dalla Direttiva 86/613/CEE relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti. Si rimanda a Davies P., Lavoro

157 Nicola Countouris455. Una teoria che, già dalle indicazioni degli autori, è volutamente provocatoria456 e che è stata influenzata di pari passo con i cambiamenti che il mercato del lavoro, nazionale ed europeo, ha subito dagli anni 90’ fino ad oggi in termini di nuove forme atipiche di lavoro e di nuove necessità ed istanze da parte dei lavoratori. Come base di partenza, anche in questa ipotesi, è possibile rintracciare una posizione negativa verso la tradizionale schematizzazione con cui il diritto del lavoro ha trovato, per anni, una stabilità, cioè quella autonomo/subordinato. Freedland non ha mai nascosto le sue critiche verso tale divisione, definendola come “falsa”457 e

“disfunzionale”458 se raffrontata all’attuale mercato del lavoro. L’Autore non

ha neppure mai dimenticato che questa sia stata effettivamente utile durante l’era fordista del lavoro e che sia stata “un’ottima politica legislativa”459 in tale

periodo storico per bilanciare la debolezza dei lavoratori dipendenti nei confronti dei datori di lavoro, ma ha riconosciuto anche la sua attuale inappropriatezza nel rintracciare una chiara e netta distinzione tra quei lavori svolti sotto il cappello della subordinazione e quelli invece prestati in maniera autonoma. Secondo Freedland, la distinzione tra lavoro subordinato ed autonomo è ormai talmente elusiva quanto lo è la “ricerca della pietra filosofale”460. Al netto del richiamo di questa figura mitologica, la posizione

dell’Autore, ricalcata anche da Countouris in seguito, percorre quel filone giuslavoristico, internazionalmente riconosciuto, che vede nella crisi delle storiche fattispecie il vero vulnus del diritto del lavoro.

La soluzione proposta da entrambi gli Autori, però, non segue quanto tracciato da Alleva, D’Antona o Biagi con la predisposizione di un nucleo fondamentale di diritti per tutti i lavoratori indipendentemente dal contratto, ma

455 Freedland ha dapprima approfondito il tema britannico del contratto di lavoro per poi

ricalibrare i propri studi sulla teoria del contratto di lavoro personale; quest’ultima alla base dell’ipotesi, di nostro interesse, del rapporto di lavoro personale soprattutto in ambito europeo. Si rimanda a Freedland M., The Employment Contract, Oxford, Oxford University Press, 1976; Freedland M., The Personal Employment Contract, Oxford, Oxford University Press, 2003; Freedland M., Countouris N., The Legal Construction of Personal Work Relations, Oxford, Oxford University Press, 2011.

456 Freedland M., op. cit., 2003, pag. 1.

457 Freedland M., Countouris N., op. cit., 2011, pag. 109 458 Ibid., pag. 107.

459 Freedland M., op. cit., 2003, pag. 22. 460 Ibid., pag. 22.

158 riscrive l’accesso alle tutele, tradizionalmente legate al lavoro subordinato, con una nuova categoria concettuale, quella del rapporto di lavoro personale (Personal Work Relation). Con Personal Work Relation gli autori indicano quell’insieme di relazioni che una persona ha con un’altra persona e con altre persone (intese anche come persone giuridiche o “employing entity”) in ragione della disponibilità ad impegnarsi in maniera esclusivamente personale per un altro o per altri461.

Non è da intendersi come la creazione di un tertium genus ma come lo spostamento nell’area del lavoro autonomo del tradizionale punto di confine, oltre il quale, normalmente, il lavoro tutelato lascia spazio ai contratti d’opera e talvolta a situazione di sotto-tutela. La traslazione del punto di confine, o di una delle due frontiere verso l’altra, porta parte del lavoro autonomo, precisamente quello maggiormente caratterizzato da situazioni di dipendenza economica ed operativa - chiamato “semi-dipendente”462 - a godere di protezioni e diritti di cui prima era sprovvisto, nonché di una maggior “dignità, professionalità e stabilità”463. Dunque, il lavoro tutelato, nell’accezione del

rapporto di lavoro personale, implica sia i lavoratori subordinati che parte del lavoro autonomo, parasubordinato o semi-dipendente464. Un atto dovuto, secondo gli Autori, per evitare situazioni di sfruttamento dei lavoratori, soprattutto quando questi svolgono una prestazione autonoma ma caratterizzata da mono-committenza, ordini e direttive ben più vincolanti e simile a quella di un lavoratore dipendente.

Un punto di vista che gli stessi Autori ritengono in linea con il dibattito aperto dal Libro Verde sulla modernizzazione del lavoro465, che secondo gli

461 Freedland M., Countouris N., op. cit., 2011, pag. 5

462 Tali lavoratori potrebbero essere definiti anche parasubordinati, riferendosi al caso italiano,

o “quasi-subordinate”, con riferimento ad una nozione internazionalmente riconosciuta.

463 Cruz Villalon J., Ferrari V., Razzolini O., A proposito di “The legal construction of personal

work relations” di Mark Freedland e Nicola Countouris, in Giornale di diritto del Lavoro e Relazioni industriali, 2, 2013, pag. 321.

464 L’idea di rivolgersi ad una realtà più eterogenea e complessa, ma bisognosa di tutele, è stata

apprezzata dalla dottrina italiana e spagnola. Si veda Cruz Villalon J., Ferrari V., Razzolini O.,

op. cit., 2013, pag. 317.

465 Un chiaro riferimento al dibattito lanciato dalla Commissione Europea con il Libro Verde è

rintracciabile in Freedland M., Countouris N., op. cit., 2011, pag. 402. Qui gli Autori pensano che nel Diritto Europeo ci siano tutti quei fattori utili per introdurre un quadro giuridico per il rapporto di lavoro personale.

159 stessi non può che prescindere da una chiara rivisitazione dell’impianto giuslavoristico e che non può non tenere in considerazione il carattere personale della prestazione di lavoro; caratteristica che, in passato, non ha mai trovato posto nella trattazione giuridica, né britannica che eurounitaria.

Pur non avendo lo stesso approdo finale, sia la teoria di Freedland e Countouris e che quelle precedentemente trattate hanno un chiaro punto di congiunzione tra loro. Le teorie italiane si impegnano a garantire a tutti i lavoratori, indipendentemente dal rapporto di lavoro, un insieme, seppur minimo, di istituti protettivi, mentre quella britannica mira a rendere accessibile ai lavoratori c.d. semi-dipendenti (parasubordinati) l’intero impianto protettivo “forte”, includendo, dunque, buona parte del lavoro autonomo in questo gruppo. Dunque, la totalità di loro, con diversi gradienti e campi di applicazione, sembra mirare a garantire una maggiore copertura in termini di tutela per i lavoratori, soprattutto per i lavoratori autonomi, reputati ad alto rischio economico e sociale: un punto di approdo ricorrente verso il quale anche le istituzioni europee sembrano pervenire negli ultimi anni.

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