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Sezione I: Il dibattito dottrinale ed il suo impatto sul diritto del lavoro europeo.

7. Il Purposive Approach

Il tema della crisi del diritto del lavoro, così come quello della necessità di modernizzarlo per affrontare le nuove sfide che caratterizzano l’attuale mercato del lavoro, è stato ampiamente trattato in dottrina ed è rimasto sullo sfondo anche nei precedenti paragrafi. In passato, molti autori hanno dato il triste annuncio di una morte precoce del diritto del lavoro466, schiacciato dal declino dell’impresa fordista; taluni hanno avvisato la platea di una fuga dallo stesso a causa delle sfide lanciate dalla globalizzazione e dalla crisi economica del 2008467. Altri, come Supiot, hanno ritenuto che il diritto del lavoro dovesse

rivedere i propri confini e le proprie “frontiere”, iniziando ad occuparsi non solo

466 Ewing K., The Death of Labour Law, in Oxford Journal of Legal Studies, 2, Vol. 8, 1988,

pag. 293.

467 Coutu M., Le Friant M., Murray G., Broken Paradigms. Labour Law in the Wake of

Globalization and the Economic Crisis, in Comparative Labour Law and Policy Journal, 34,

160 dei lavoratori subordinati ma anche di altre categorie, meritevoli di tutele468. Tra tutte queste proposte dottrinali, più o meno negative o propositive sul futuro del diritto del lavoro, una si è distinta per il suo differente ragionamento.

Per Davidov, a cui si deve la teoria del Purposive Approach469, il diritto del lavoro più che in crisi, è da considerare in difficoltà nel suo modo di affrontare le criticità che negli anni è stato chiamato a risolvere. Anzi, per l’Autore il diritto del lavoro è nato e vive in una situazione di crisi perenne, spinto da forze deregolative da una parte e da necessità di protezione dall’altra, cercando un difficile adattamento, non sempre possibile470.

Una proposta, che l’Autore non nasconde essere una rielaborazione del criterio di interpretazione teleologica471, e che sottolinea la necessità di articolare nuovamente gli obiettivi del diritto del lavoro verso gli scopi generali di quest’ultimo: aggiornare472, dunque, i mezzi/strumenti che esso possiede

(norme, interpretazioni giurisprudenziali, contrattazione collettiva) in linea con le sollecitazioni che riceve dalla realtà e con le necessità per cui esso è nato. Ovviamente, l’Autore, nella sua analisi, rimane ad un livello astratto di azione, allontanandosi anche da qualsiasi classificazione o tipizzazione generale degli

468 Il tema delle frontiere del diritto del lavoro è stato trattato da diversi giuslavoristi, soprattutto

a cavallo del nuovo millennio. Tra questi si sottolinea anche il lavoro di curatela di Davidov (autore a cui è dedicato questo paragrafo) e Langille, i quali si sono interrogati sull’impatto che tale summa divisio del diritto del lavoro ha sui lavoratori, che siano subordinati o autonomi, sull’ambito di applicazione delle tutele e se esistono differenze marcate in diversi Paesi con differenti culture giuridiche. Probabilmente, è stato questo approfondimento che ha dato via agli studi successivi di Davidov, con lo sviluppo della ricerca sui mezzi ed obiettivi del diritto del lavoro; si veda Davidov G., Langille B., Boundaries and Frontiers of Labour Law: Goals

and means in the regulation of work, Hart Publishing, Oxford, 2006.

469 Davidov G., A Purposive Approach, Oxford University Press, Oxford, 2016. 470 Davidov G., op. cit., 2016, pag. 1

471 Ibid., pag. 17.

472 Contrario a questa posizione, Perulli ritiene che sia troppo riduttivo pensare che il diritto del

lavoro possa risolvere i suoi problemi con una miglior articolazione di obiettivi e mezzi. Per Perulli, il problema del diritto del lavoro è il suo carattere ambivalente che lo rende anche ambiguo per certi versi. Da un lato, esso cerca di razionalizzare i poteri del datore di lavoro, svolgendo la sua funzione protettiva verso il lavoratore visto come parte vulnerabile; mentre dall’altro lato, legittima questi poteri del datore di lavoro perché necessari per avere un mercato del lavoro stabile. Alla luce di ciò, non si può negare la funzione capitalistica del diritto del lavoro, che interviene come freno alla competizione tra imprese e lavoratori, e che la sua funzione protettiva sia solo secondaria rispetto a questo. Dunque, tenendo a mente questa posizione, non si può asserire che il diritto del lavoro abbia soltanto come prerogativa quella protettiva, ma si dovrebbe ritenere che anche l’interesse dell’impresa nell’essere efficiente sia uno degli obiettivi del diritto del lavoro, perché senza di essa non avremmo lavoratori da proteggere. Così Perulli A., A Purposive Approach to Labour Law by Guy Davidov: A comment, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 4, 2016, pag. 761.

161 obiettivi, ma non per questo la sua provocazione risulta essere meno attuale. Davidov spiega questa “crisi” in termini di disallineamento473 tra gli obiettivi a

cui il diritto del lavoro mira e i mezzi con cui questo prova a raggiungerli, riconducendo il problema a due ordini di ragioni.

In primis, per Davidov, esiste un problema di copertura, cioè uno sbilanciamento tra coloro che sono tutelati e coloro che invece avrebbero bisogno di protezione. Un tema che l’Autore, già in passato, aveva approfondito, reputando necessaria una spinta del diritto del lavoro verso l’universalità delle tutele474. A maggior ragione nei casi in cui non sia agevole

qualificare il rapporto di lavoro, rintracciare il vero datore di lavoro o quando l’eccessiva esternalizzazione delle imprese comporti un trasferimento del rischio di impresa dall’imprenditore al lavoratore autonomo, con conseguente risparmio di costi che vengono addebitati a quest’ultimo. Situazioni, che anche D’Antona, Alleva e Freedland avevano precedentemente trattato alla base delle proprie proposte, in una sorta di fil rouge tra le varie posizioni dottrinali trattate.

In secondo luogo, il diritto del lavoro si trova in una situazione di costante obsolescenza, soprattutto per quanto riguarda le norme o le motivazioni alla base delle stesse. Alcune disposizioni appaiono spesso inattuali, quasi un retaggio del passato e non rispondono alle necessità dei lavoratori; altre invece vengono inserite nell’impianto normativo soltanto dopo il verificarsi di situazioni di sfruttamento. Un esempio, in tema, è rappresentato dal diritto alla disconnessione dei lavoratori digitali italiani: previsto soltanto in sede negoziale per i lavoratori agili ai sensi della L. 81/2017475 ma non per i gig-workers.

473 Davidov G., Re-matching Labour Law with their Purpose, in The Idea of Labour Law,

Davidov G., Langille B. (a cura di), Oxford University Press, Oxford, 2011, pag. 179 e segg.

474 Davidov G., Setting Labour Law's Coverage: Between Universalism and Selectivity, in

Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, Perulli A. (a cura di), Padova, Cedam, 2018,

pag. 49.

475 L’art. 19 della L. n. 81/2017 stabilisce che “l'accordo relativo alla modalità di lavoro agile

è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L'accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.

162 Davidov, date queste due criticità, sembra ritenere miope il diritto del lavoro attuale, spesso inadeguato a rispondere alle vulnerabilità del mercato del lavoro perché troppo legato al formalismo letterale delle disposizioni. A tal proposito, suggerisce che i giudici si interessino più alla voluntas legis rispetto al mero dato letterale della norma, cercando di adattare alla prescrizione la finalità che il legislatore ha inteso tutelare ciò in ragione del fatto che i mutamenti del mercato del lavoro sono in costante evoluzione. Tale provocazione - che l’autore definisce come una giustificazione normativa476 -

ha ricevuto critiche da parte della dottrina477, convinta che difficilmente possa essere richiesto ad un giudice nazionale478 di interpretare la norma contrariamente a quanto disposto dal Legislatore; tale compito, non privo di rischi, potrebbe infatti condurlo ad eccedere rispetto alle sue funzioni andando al di là di quanto formalmente regolamentato.

Un suggerimento che però lascia aperto uno spiraglio, rilanciato anche da Bogg con riferimento al sistema anglosassone479, percorribile dalla giurisprudenza e probabilmente meno rischioso rispetto alla personale interpretazione di una norma da parte di un giudice: cioè leggere la norma domestica sulla base di un nucleo di diritti fondamentali, di rango sovranazionale e prodotti da una fonte universalmente riconosciuta, come il diritto internazionale, o per riallacciarci alla nostra trattazione, il Diritto

476 L’idea di Davidov è quella di consegnare ai giudici e ai policymakers una “cassetta degli

attrezzi con cui interpretare teleologicamente il diritto del lavoro”. Davidov G., op. cit., 2016, pagg. 4 e 26.

477 Dukes R., Identifying the Purposes of Labour law: Discussion of G. Davidov, A Purposive

Approach to Labour Law, in Jerusalem Review of Legal Studies, 16, 2016, pag. 61. Dukes, pur

riconoscendo coraggio e preparazione negli scritti di Davidov, rimane molto distaccata dal risultato finale raggiunto dall’Autore. Per lei, il lavoro di Davidov è difficile da inquadrare perché rimasto ad un grado di astrazione e superficialità troppo elevato e perché alcune ipotesi alla base della sua teoria pongono diversi dubbi: tra queste, Dukes evidenzia l’errata scelta di Davidov di definire gli obiettivi generali del diritto del lavoro come immutabili, mentre di contro non recepisce, come elemento di complessità, la sfida lanciata dai datori di lavoro verso una maggior flessibilità, nonché la decisione di non focalizzare lo studio su un unico ordinamento giuridico. Anche Perulli, crede che non sia possibile per le Corti nazionali modulare in maniera estensiva gli effetti delle norme per farvi rientrare, per esempio, i lavoratori parasubordinati, soprattutto quando la nozione di subordinazione è disposta dalla legge, come avviene in Italia. Cosa diversa, invece, è nel Diritto Europeo dove questa raramente viene definita a norma di legge. Si rimanda a Perulli A., op. cit., 2016, pag. 770.

478 Davidov G., op. cit., 2016, pag. 45.

479 Bogg A., Common Law and Statute in the Law of Employment, 69, in Current Legal

163 Europeo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e la Convenzione Europea dei Diritti Umani. Alla luce di ciò, un giudice parrebbe, nell’ipotesi di Davidov, essere giustificato in una valutazione estensiva di una norma se basata su quanto disposto da questi ordinamenti sovranazionali, se ovviamente ratificati o recepiti da quello nazionale.

Per quanto concerne la nostra trattazione, l’ipotesi di Davidov pare coincidere con l’ispirazione di fondo della produzione legislativa europea, vincolante e non, degli ultimi due decenni in ambito di lavoro e di sicurezza sociale, nonché integrarsi con l’approccio interpretativo seguito dalla Corte di Giustizia Europea.

Come già visto in materia di non discriminazione e sicurezza sociale, il legislatore europeo ha dato nuovo slancio alle proprie finalità virando verso un maggior numero di beneficiari ed includendo nel proprio programma una maggior attenzione alle vulnerabilità dei lavoratori precari e atipici, tra cui ovviamente i lavoratori autonomi. Ciò a prova di una valutazione effettiva, fatta dalla Commissione Europea, di quelle che sono le vulnerabilità del mercato del lavoro e di come esso si sia evoluto negli ultimi anni. Ne sono un esempio la produzione legislativa recente con l’esperienza del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e la Raccomandazione sull’accesso alla sicurezza sociale per tutti i lavoratori: entrambe caratterizzate da una tendenza all’universalità delle tutele, pur avendo carattere non vincolante. Un netto cambio di passo rispetto al passato, dove solo i lavoratori subordinati erano al centro dell’agenda legislativa europea, privilegiati in quanto fattore produttivo necessario per l’instaurazione del mercato unico480, e che negli anni ha portato alcuni

miglioramenti per i lavoratori non inclusi in questa categoria.

Quanto invece alla Corte di Giustizia Europea, sin dalla sentenza

Lawrie-Blum la stessa ha cercato di interpretare le norme europee ben oltre il

dettato letterale, con la consapevolezza di garantire piena applicazione a quanto disposto dai Trattati anche a lavoratori subordinati non qualificati come tali nel Paese dove era sorta la controversia. Giova ricordare, infatti, la posizione della

480 Sulla centralità del lavoratore subordinato come fattore produttivo si veda Supra para. 1, cap

164 Corte di Giustizia Europea, che per ovviare a qualsivoglia restrizione da parte degli Stati membri, aveva riconosciuto, in Danosa e Balkaya, la qualifica di lavoratore pur in assenza di disposizioni che in tali materie ne designassero i confini. Un approccio teleologico che, intercettando la volontà del Legislatore e l’interesse per un’applicazione non difforme delle disposizioni europee, ha portato diverse innovazioni e ad una risposta più efficace da parte del Diritto Europeo. Questo, infatti, è il canone di interpretazione privilegiato di tutto il diritto europeo481, anche per la minor valenza data all’interpretazione letterale. Ciò si basa sulla criticità legata alle varie differenze linguistiche che caratterizzano l’Unione Europea e che rischierebbero di causare problemi di difforme applicazione delle norme europee in caso di errata traduzione. Inoltre, nel caso delle direttive europee, un approccio teleologico risulta essere più calzante per garantire un’armonizzazione nei diversi Paesi Membri, evitando errori linguistici, e portando la Corte di Giustizia Europea ad avere un “ruolo para-legislativo”, ben aldilà di quanto previsto dai Trattati 482.

La proposta di Davidov permette, quindi, di cogliere alcuni spunti preziosi, utili per il prosieguo della trattazione. In primo luogo, il diritto del lavoro dovrebbe cercare di inquadrare le vulnerabilità del mercato del lavoro così come le sfide derivanti dall’innovazione tecnologica e dal declino delle vecchie strutture su cui esso si basava. Su queste vulnerabilità dovrebbe ricalibrare il proprio intervento. Questo parrebbe essere maggiormente realizzabile a livello europeo, dove un’agenda legislativa, conscia dei rischi di uno sbilanciamento in termini di social dumping in caso di aumento del lavoro autonomo, potrebbe tendere verso un innalzamento del livello di tutele e diritti. E, a titolo esemplificativo, proprio l’azione della Commissione Europea, con le recenti dichiarazioni della Commissaria Europea alla Concorrenza Vestager, sembrerebbe in linea con quanto poc’anzi affermato, con la proposta di una

481 Rösler H., Interpretation of EU Law, in Basedow J., Hopt K. J., Zimmermann R. (a cura di),

The Max Planck Encyclopedia of European Private Law, Oxford University Press, Oxford,

2012, pag. 979; Joussen J., L’interpretazione (teleologica) del diritto comunitario, in Rivista

Critica del Diritto Privato, 4, 2001, pagg. 491-493; Fennelly F., Legal Interpretation at the European Court of Justice, in Fordham International Law Journal, 20, 1997, pag. 656.

165 deroga all’esclusione dei lavoratori autonomi - o parte di essi (platform workers) - dalla contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 101 TFUE483.

In secondo luogo, l’interpretazione giurisprudenziale della Corte, mirata ad ovviare ad eventuali restringimenti nell’applicazione del diritto europeo, potrebbe andare anche oltre quando espressamente disposto dalle norme dettate dai Trattati, valutando se ci siano, o meno, materie in cui i lavoratori autonomi possano essere inclusi; questo per evitare spiacevoli minacce alla concorrenza europea da parte di alcuni Paesi membri, prevalentemente dell’Est Europa, che sembrano incentivare il ricorso a forme di lavoro autonomo per essere maggiormente attrattivi sul mercato. Una situazione già avvenuta nella sentenza Fenoll in materia di ferie, che ha portato la Corte ad adottare un concetto di lavoratore più ampio di quanto fatto in passato; talmente esteso da far presupporre, in dottrina, la possibilità di includervi anche lavoratori autonomi caratterizzati da una dipendenza funzionale con il proprio committente484.

483 Comunicazione della Commissaria Europea alla Concorrenza Margrethe Vestager del 30

giugno 2020 all’interno del processo di consultazione del Digital Service Act Package:

https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_20_1237.

484 Menegatti E., Taking EU labour law beyond the employment contract: The role played by

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