• Non ci sono risultati.

Quali spazi per il lavoro autonomo nel diritto del lavoro europeo?

Sezione II: Il ruolo dell’Unione Europea: prospettive future

1. Quali spazi per il lavoro autonomo nel diritto del lavoro europeo?

Nell’ultimo decennio, la dinamica di crescita del lavoro autonomo in Unione Europea è stata in linea con quanto prospettato dal Libro Verde del 2006. Questo presupponeva, da una parte, un maggior numero di lavoratori impegnati in attività non salariate; dall’altra, un corrispondente ed incrementale grado di insicurezza giuridica. Allo stesso tempo, però, la “modernizzazione del lavoro” attesa e incentivata dallo stesso Libro Verde non ha mai visto la luce, pur avendo avuto discreta attenzione sia sul piano politico che accademico.

Come visto nei paragrafi precedenti, diversi Autori si sono impegnati in una organica e, talvolta estrema, ricostruzione dei problemi che caratterizzano il lavoro autonomo, quali l’insicurezza giuridica, il rischio di sfruttamento, la discontinuità di reddito ed il limitato accesso al sistema di sicurezza sociale. Le teorie trattate, infatti, sono state enormemente critiche circa la necessità di riconsiderare il lavoro, e quindi la sua regolazione giuridica, la sua organizzazione ed il suo senso sociale. Condivisibile è la loro critica nei confronti della dogmatica contrapposizione tra lavoro subordinato ed autonomo, non più capace di valutare, e quindi regolamentare, situazioni a cavallo tra queste due categorie; una situazione ampliata dalle nuove sfide portate dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione nei tradizionali processi industriali, acuendo ancora di più il già delicato equilibrio nella qualificazione del rapporto di lavoro. Di questo problematico quadro e delle difficoltà nella qualificazione ne è consapevole anche Perulli, il quale ha evidenziato che “il confine tra subordinazione e autonomia, da sempre incerto e poroso […] tenda sempre più a sfrangiarsi e i materiali contenuti nell’uno come nell’altro universo si muovano, trascinati dai fattori della produzione”485, con il necessario

impegno, non sempre ottimale, da parte del legislatore nazionale di “rintracciare

485 Perulli A., Capitalismo delle piattaforme e diritto del lavoro. Verso un nuovo sistema di

tutele?, in Perulli A. (a cura di), Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, Milano,

167 una bussola razionale di regolazione”486. Questa bussola, ad oggi, sembra

indicare una direzione ben diversa da quella percorsa tradizionalmente dal diritto del lavoro, dove a categorie di lavoratori tutelati hanno sempre fatto da contraltare gruppi di lavoratori sotto-tutelati.

Infatti, sta prendendo piede una maggior consapevolezza, influenzata dal dibattito dottrinale, di dover modificare lo status quo legato alla binaria divisione tra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi; o quantomeno, riconsiderare coloro che, pur appartenendo a quest’ultimo gruppo, sono caratterizzati da dipendenza economico-funzionale con il proprio committente, da alienazione rispetto al mercato e dal rischio di esclusione da quest’ultimo.

Una direzione che, negli ultimi anni, sembra essere percorsa con maggior determinazione dall’Unione Europea, sia con i lavori della Commissione che con le pronunce della Corte di Giustizia. La Commissione Europea, infatti, pare ben conscia del problema del lavoro autonomo sia dal punto di vista giuslavoristico che da quello concorrenziale. Per quanto concerne il punto di vista giuslavoristico, la Commissione reputa inaccettabile che diversi lavoratori si possano trovare in un limbo qualificatorio tra lavoro subordinato e autonomo, noto come “zona grigia” (grey zone). Tale difficoltà classificatoria causa “situazioni di incertezza del diritto e ostacoli all’accesso alla protezione

sociale”487 rischiando “di creare precarietà e/o mercati del lavoro a due livelli,

segmentati, che ostacolano la produttività e portano all’esclusione”. Non a caso

l’esistenza di contratti di lavoro al limite tra lavoro subordinato ed autonomo porta ad un sempre più frequente tentativo da parte dei datori di lavoro di eludere le tutele ed i costi legati al lavoro dipendente, facendo registrare un abuso di queste tipologie contrattuali. In tale zona grigia, per la Commissione, vi rientrano sia i lavoratori autonomi fittizi (bogus self-employed) sia i “lavoratori autonomi con vincoli di dipendenza”. Se per i primi il problema è un’errata ed illecita qualificazione del rapporto di lavoro, risolvibile attraverso

486 Ibid., pag. 122.

487 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato

Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Avvio di una consultazione su un

168 il ricorso al Giudice del Lavoro488, per i secondi la questione è ben più rilevante. Come trattato in precedenza nel paragrafo sul lavoro autonomo economicamente dipendente in Europa, questi lavoratori si trovano in condizione di dipendenza economica o funzionale da un committente (c.d. monocommittenza), in favore del quale prestano “servizio in modo quasi esclusivo, continuativo e fortemente integrato all’interno dell’organizzazione produttiva”489, senza offrire contemporaneamente i propri servizi sul mercato.

Questi lavoratori si trovano, dunque, in una situazione ambigua. Da un lato, condividono con i lavoratori subordinati alcune caratteristiche come la “debolezza contrattuale”490, la semi-esclusività491 della prestazione e la

dipendenza operazionale e funzionale dal committente, il quale dà loro indicazioni su come svolgere l’attività lavorativa, impattando anche sulla loro libertà di svolgere la prestazione; dall’altro lato, qualificati come autonomi sono esclusi dal campo di applicazione di diverse tutele, con un trasferimento dei rischi sociali dall’azienda al singolo lavoratore492.

Proprio questo trasferimento di rischi e costi dall’impresa al lavoratore autonomo economicamente dipendente è alla base delle preoccupazioni dell’Unione Europea sotto il profilo concorrenziale. Secondo la Commissione Europea ed il Comitato Economico e Sociale Europeo, questi lavoratori si prestano ad essere causa di distorsioni della concorrenza, andando ad alimentare il fenomeno del “social dumping”493. Un fenomeno che mette a rischio la leale

concorrenza tra aziende e Paesi europei494 e la stabilità del mercato unico europeo, presupponendo uno sfruttamento dei lavoratori con bassi salari, o bassi

488 Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema “Abuso della qualifica di

lavoratore autonomo”, Parere di iniziativa, 2013/C 161/03.

489 Pallini M., Il lavoro economicamente dipendente, 2013, Padova, Cedam, pag. 16. 490 Ibid., pag. 16.

491 Ibid., pag. 19.

492 Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema “Abuso della qualifica di

lavoratore autonomo”, Parere di iniziativa, 2013/C 161/03, pag. 3.

493 Ibid., pag. 3.

494 Il supporto a contratti di lavoro autonomo al limite con il lavoro subordinato, con il solo

scopo di rendere maggiormente attrattivo il mercato del lavoro, è una delle strategie perseguite dai Paesi del c.d. Blocco di Visegrad. Per un approfondimento si rimanda a Gyulavári T., A

bridge too far? The Hungarian regulation of economically dependent work, in Hungarian Labour Law e-Journal, 1, 2014, pag. 21.

169 compensi, e trattamenti deteriori in termini di protezione sociale495. Siffatta qualificazione dei lavoratori nella c.d. zona grigia come autonomi garantisce numerosi vantaggi alle aziende, forniti dal risparmio in termini di costi, con il corrispondente rischio di esclusione sociale, precariato e povertà per questi lavoratori. Ciò spiega la posizione delle istituzioni europee, preoccupate per il costante ricorso a tali rapporti di lavoro al limite tra autonomia e subordinazione. Proprio sull’onda di tali preoccupazioni si colgono nuove prospettive o “possibili compromessi tra soluzioni a breve e a lungo termine”496

a supporto di questi ‘lavoratori di frontiera’.

Muovendosi all’interno del quadro di regole delimitato dai Trattati, l’Unione Europea sembrerebbe perseguire una tendenza all’estensione di alcuni diritti verso questi lavoratori, sia per proteggere il mercato del lavoro che per garantire il buon funzionamento del mercato interno e una positiva concorrenza tra aziende, non incentrata tanto sulla corsa al ribasso sul costo del lavoro ma piuttosto su produttività ed efficienza. Una tendenza rilanciata da diverse azioni messe in pratica dalla Commissione Europea - dal Pilastro europeo dei diritti sociali alle comunicazioni dei Commissari all’Occupazione e alla Concorrenza - che però pongono alcuni nodi da sciogliere: occuparsi soltanto del fenomeno del lavoro autonomo economicamente e funzionalmente dipendente oppure della totalità del macrocosmo del lavoro non salariato e poi, quali diritti estendere ai destinatari prescelti.

495 Sul tema del social dumping, la Commissione Europea si è sempre mostrata molto attenta.

Nel 2015, il Commissario all’Occupazione e Affari Sociali Marianne Thyssen, in risposta ad un’interrogazione dinanzi al Parlamento Europeo, aveva sottolineato l’impegno dell’Unione nell’affrontare i rischi e le conseguenze del social dumping. Pur riconoscendo la centralità di tale problema, il Commissario Europeo aveva, comunque, sottolineato la mancanza di una nozione europea di social dumping, ritenuto come “una competizione sleale dovuta all’applicazione di differenti salari e differenti norme in materia di protezione sociale tra le diverse categorie di lavoratori”. Davanti a tale difficile qualificazione di questo fenomeno, l’Unione, sempre secondo la Thyssen, avrebbe dovuto vigilare sul mercato del lavoro con maggior attenzione, compatibilmente con le competenze ad essa garantite dai Trattati. Audizione Parlamentare del 27 maggio 2015, E-008441-15.

496 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato

Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Avvio di una consultazione su un

170

Outline

Documenti correlati