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Segue Un’estensione modulata: quali beneficiari?

Sezione II: Il ruolo dell’Unione Europea: prospettive future

2. Segue Un’estensione modulata: quali beneficiari?

Ogni ipotesi dottrinale o proposta di legge che si è impegnata a rivedere il campo di applicazione delle tutele derivanti dal diritto del lavoro, domestico o europeo che sia, si è sempre confrontata con due diversi interrogativi: quali tutele e quali beneficiari. Questioni che hanno impegnato anche le teorie discusse nella precedente sezione.

Per quanto concerne la questione dei beneficiari da integrare in un più esteso campo di applicazione del diritto del lavoro, le proposte di Alleva, D’Antona e Biagi sembrano perseguire l’ipotesi di includervi la quasi-totalità dei lavoratori “senza aggettivi”, escludendo soltanto gli imprenditori che, per svolgere la propria attività di impresa, si avvalgono di un’organizzazione di persone e mezzi. Dunque, nel nuovo campo di applicazione da loro proposto, vi rientrerebbero i lavoratori subordinati e i lavoratori autonomi che svolgono la prestazione in modo esclusivamente personale.

A simili conclusioni sono pervenuti anche Freedland e Countouris con la loro idea di affiancare, al lavoro subordinato, il lavoro autonomo semi- dipendente (parasubordinati, quasi-employee), perché entrambi sono caratterizzati dal carattere personale della prestazione, che permette di distinguerli dal lavoro autonomo puro, svolto tramite il ricorso ad altri lavoratori.

Un punto di congiunzione di queste teorie è la modalità con cui è stato trattato il tema dei beneficiari delle tutele. Ognuna di esse è stata ben lontana dalla creazione di una nuova ed aggiuntiva categoria di lavoratori a cui estendere la totalità o parte delle tutele tradizionalmente garantite al lavoro subordinato. Al contrario, l’opera ricostruttiva degli Autori trattati ha cercato di incorporare, in un unico genus, sia i lavoratori subordinati che parte del lavoro autonomo, che potremmo definire ‘dipendente’ o parasubordinato. Con tale azione, gli Autori hanno semplicemente traslato la linea di demarcazione tra le due categorie classiche del diritto del lavoro all’interno del lavoro autonomo. Ciò avrebbe permesso loro di poter garantire a una parte dei lavoratori autonomi, caratterizzati da una dipendenza economica e da una integrazione

171 funzionale con il committente, l’accesso ad alcuni istituti protettivi del lavoro subordinato, senza doverli modificare e rivedere totalmente. Un percorso probabilmente più facile rispetto alla creazione di un tertium genus a cavallo tra lavoro subordinato ed autonomo.

Inquadrando tali ipotesi a livello europeo, però, la strada finora prospettata, pur se avvalorata in parte dal Libro Verde del 2006, sembra non essere quella percorsa dalle istituzioni europee. Queste, infatti, paiono sempre più interessate al fenomeno del lavoro autonomo economicamente dipendente studiato come unicum, rispetto alla mera inclusione di questi lavoratori nel macrocosmo del lavoro subordinato, ponendo in particolare l’attenzione sia sul piano giuslavoristico che su quello concorrenziale. La crescente attenzione al fenomeno del lavoro autonomo economicamente dipendente così come la preoccupazione legata ad eventuali distorsioni del mercato interno sembrerebbe avvalorare l’ipotesi di un’elevazione di questo gruppo di lavoratori a categoria a sé stante, a metà strada tra il lavoro autonomo puro e il lavoro subordinato, creando un vero e proprio tertium genus di matrice eurounitaria. Questo porterebbe alla tipizzazione di una nuova fattispecie che necessiterebbe anche di caratteristiche proprie, utili sia per descriverne i confini ma soprattutto a renderne possibile l’intervento qualificatorio da parte del giudice del lavoro.

Proprio a tal scopo e prendendo spunto dalla vivacità dottrinale che sta permeando la materia negli ultimi anni ed intersecandola con le azioni delle istituzioni europee, questa nuova fattispecie potrebbe prendere la forma del lavoro autonomo dipendente497. La caratteristica principale, da cui deriva anche il nome, è la modalità con cui valutare il carattere “dipendente” della prestazione. Questa dipendenza, infatti, è dettata da una integrazione funzionale all’interno dell’impresa, mirata a “contribuire al raggiungimento degli obiettivi designati dal committente, il quale si assume il rischio”498 e dove l’operatività

497 Ales E., Subordination at Risk (of “Autonomisation”): Evidences and Solutions from Three

European Countries, in Italian Labour Law e-Journal, 1, 12, 2019, pag. 65; Menegatti E., Taking EU labour law beyond the employment contract: The role played by the European Court of Justice, in European Labour Law Journal, 11, 2020; Février V., The Concept of ‘Worker’ in the Free Movement of Workers and the Social Policy Directives: Perspective from the Case Law of the Court of Justice, in European Labour Law Journal, 1, 2020, pag. 1.

172 del lavoratore è legata a quella dell’unità produttiva. Un’operatività assoggettata al ‘coordinamento’ del datore inteso - usando le parole di De Luca Tamajo, Persiani e Flammia in una loro storica proposta per l’introduzione di un tertium genus codicistico in Italia - come “individuazione delle caratteristiche del risultato, idonee, volta per volta, a realizzare il concreto interesse del creditore”499.

In tale fattispecie, quindi, il carattere economico della dipendenza non risulterebbe più centrale come nell’esperienza spagnola del trabajador

autónomo económicamente dependiente, o in quella fallimentare italiana delle

partite iva economicamente dipendenti. Una scelta piuttosto basata su motivi di carattere giuridico ed economico. Il primo risiede nella tradizionale reticenza nell’inquadrare la dipendenza economica come concetto giuridico, in quanto volatile e facilmente eludibile, avente più che altro un valore descrittivo. Come riportato da Supiot, la dipendenza economica in passato non è mai stata ritenuta un valido elemento qualificatorio, utile da solo per inquadrare un lavoratore in una categoria o in un’altra, in quanto caratterizzata da “imprecisione”500,

portando a risultati insoddisfacenti. Non a caso in passato, le teorie giuslavoristiche basate su tale criterio furono “accusate di essere più sentimentali che giuridiche”501 o di inquadrare più l’aspetto sociologico che

giuridico dell’individuo502; al contrario del criterio oggettivo del concetto di

subordinazione tecnico-funzionale che negli anni ha caratterizzato il diritto del lavoro tradizionale.

Il secondo motivo deriva dalla difficoltà di fissare un determinato tetto oltre il quale classificare un lavoratore autonomo come economicamente dipendente nei confronti di un unico committente. Sia la dottrina economica che

499 De Luca Tamajo R., Persiani M., Flammia R., La crisi della nozione di subordinazione e

della sua idoneità selettiva dei trattamenti garantistici. Prime proposte per un nuovo approccio sistematico in una prospettiva di valorizzazione di un tertium genus: il lavoro coordinato, in Lavoro e Informazione, 1996, pag. 75 e segg.

500 Supiot A., Lavoro subordinato e lavoro autonomo, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2,

2000, pag. 221.

501 Perulli A., Lavoro autonomo e dipendenza economica, oggi, in Rivista Giuridica del Lavoro

e della Previdenza Sociale, 2003, pag. 223.

502 Virassamy G. J., Les contrats de dépendance: essai sur les activités professionnelles

exercées dans une dépendance économique, Librairie générale de droit et de jurisprudence,

173 le esperienze nazionali in materia mostrano, infatti, una diversa interpretazione di questa soglia: ne sono un esempio le due diverse quote di reddito da lavoro applicate in Italia (80%) e in Spagna (75%). Inoltre, ponendo il caso di previsione di un tetto minimo oltre il quale garantire l’accesso ad un insieme di tutele lavoristiche e previdenziali, ciò potrebbe essere facilmente eluso dal committente andando a perpetrare la situazione di precarietà vissuta dal lavoratore autonomo, parasubordinato o semi-dipendente che sia. Se questo tetto fosse molto basso potrebbe comportare una riduzione dei compensi per questi lavoratori pur di non attivare diritti e protezioni; oppure troppo alto e rendere quasi impossibile ogni tentativo di qualificazione. Parimenti, sarebbe difficile per il giudice del lavoro valutare situazioni reddituali caratterizzate da alti livelli di volatilità nei pagamenti, soprattutto quando l’orizzonte temporale su cui valutare la dipendenza economica da un committente ha un orizzonte temporale troppo breve o troppo esteso nel tempo.

La scelta di non usare la dipendenza economica come unico criterio qualificatorio, ma preferire quella funzionale all’interno dell’impresa, non presuppone, comunque, l’inutilità di questo criterio. Al contrario, la dipendenza economica potrebbe svolgere il ruolo di un criterio indiziario, utile per il giudice del lavoro nel suo intervento qualificatorio per ricostruire il caso di specie o essere inteso come campanello d’allarme per il lavoratore.

L’introduzione di una nuova categoria a livello europeo sarebbe, almeno in parte, suffragata dalle diverse esperienze di categorie intermedie già previste in diversi Paesi dell’Unione; quali Italia, Spagna, Svezia, Germania e Regno Unito, seppur non più membro. Non sarebbe, dunque, una totale novità nel panorama europeo ma, al contrario, potrebbe essere ben vista dai diversi Paesi che si sono allontanati, già da anni, da quel sistema “tutto o niente” che ha da sempre caratterizzato la dicotomia subordinato-autonomo503. Avere Paesi che

hanno già introdotto tutele e diritti per una categoria intermedia potrebbe anche essere un ottimo punto di partenza per l’Unione Europea, consentendo una valutazione delle esperienze tangibili da parte di questi Stati Membri. Ciò

503 Davidov G., Setting Labour Law's Coverage: Between Universalism and Selectivity, in

Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, Perulli A. (a cura di), Padova, Cedam, 2018,

174 permetterebbe infine una migliore comprensione di quali istituti siano necessari e le modalità con cui estenderne i confini.

3. Il lavoro autonomo dipendente e la cristallizzazione della nozione

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