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Regolamento n 1390/81/CEE: l’estensione ai lavoratori non salariat

Sezione I – In materia di sicurezza sociale

3. Regolamento n 1390/81/CEE: l’estensione ai lavoratori non salariat

Dopo 23 anni dal primo Regolamento in materia di previdenza sociale, il Regolamento n. 1390/81 estendeva, per la prima volta, tali tutele anche ai lavoratori non salariati ed ai loro familiari. Un’estensione che sottolineava la crescente “tendenza espansiva dei sistemi nazionali di sicurezza sociale verso l’inclusione nel proprio ambito soggettivo di applicazione anche di talune categorie di lavoratori autonomi, a fronte della sopportazione, da parte di questi ultimi, di analoghi rischi”280.

Peculiare come sin dai primi considerando si percepisca il diritto alla sicurezza sociale, e quindi l´art. 51 TCEE, non come un diritto autonomo ma solo funzionale a rendere effettivo uno dei principi fondamentali della Comunità, cioè quello di garantire la maggior circolazione possibile all’interno dei confini europei. Il quarto considerando esplicitava, infatti, la necessità di “coordinare i regimi di sicurezza sociale applicabili ai lavoratori non salariati

al fine di conseguire uno degli obiettivi della Comunità”281. Solo e soltanto

279 Ibid, pag. 2.

280 Borzaga M., La libera circolazione dei lavoratori autonomi e le questioni previdenziali, in

Nogler L., Le attività autonome, 2006, pag. 147.

281 Regolamento (CEE) n. 1390/81 del Consiglio del 12 maggio 1981 che estende ai lavoratori

non salariati e ai loro familiari il regolamento (CEE) n. 1408/71 relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità.

86 tramite una adeguata protezione sociale, figlia del coordinamento tra Stati membri dei sistemi di sicurezza sociale, sarebbe stato possibile ottenere una completa libertà di stabilimento e di prestazione di servizi.

La strategia adottata dalla Commissione prevedeva, “per motivi di

equità”, di applicare, tramite il Regolamento n. 1408/71, parte delle norme

previste per i lavoratori salariati anche ai non salariati, adattandone le varie disposizioni, tramite la tecnica della novellazione. In tal senso andava letto il Regolamento attuativo n. 3795/81282 che andava ad integrare e modificare, pur

sottolineando le difficoltà inerenti a tale azione283, il precedente Regolamento attuativo n. 574/72.

L´art. 1 del Regolamento n. 1390/81 sostituiva l´omonimo nel precedente regolamento avvicinando le nozioni di “lavoratore salariato” e “non salariato”, per quanto concerne la sicurezza sociale, riconoscendoli in “qualsiasi persona coperta da assicurazione obbligatoria o facoltativa

continuata contro uno o più eventi corrispondenti ai settori di un regimi di sicurezza sociale applicabile ai lavoratori salariati o non salariati” ovvero in

qualsiasi persona coperta da assicurazione obbligatoria nel quadro di sicurezza sociale se questa era applicata a tutti i residenti o alla totalità della popolazione attiva284.

282 Regolamento (CEE) n. 3795/81 del Consiglio dell´8 dicembre 1981 che estende ai lavoratori

non salariati e ai loro familiari il Regolamento (CEE) n. 574/72.

283 Secondo Considerando del Regolamento (CEE) n. 3795/81 del Consiglio dell´8 dicembre

1981 che estende ai lavoratori non salariati e ai loro familiari il Regolamento (CEE) n. 574/72.

284 Ciò possibile solo quando le “modalità di gestione o di finanziamento di tale regime

permettano di identificare tale persona quale lavoratore salariato o non salariato” oppure “in mancanza di tali criteri, quando detta persona sia coperta da assicurazione obbligatoria o facoltativa continuata contro un altro evento” tra quelli previsti dal Reg. n. 1408/71 e

modifiche. Con riferimento alla nozione di lavoratore autonomo nel campo della sicurezza sociale, così come avvenuto con quella di lavoratore subordinato, l’applicabilità delle norme deriva sempre dal fatto che il prestatore d’opera rientri nella nozione di autonomo fatta propria dallo Stato membro di riferimento. Ciò, ovviamente, potrebbe comportare un’estensione a fisarmonica nei diversi Stati Membri: un problema che è da tenere in considerazione con la scelta del Legislatore di coordinamento e non armonizzazione. Nel 1986, però, la Corte di Giustizia ha comunque dato un’interpretazione assai estesa del concetto di lavoratore autonomo. Questi, nella sentenza van Rosmaalen, hanno ritenuto che in tale nozione rientrano non soltanto coloro che esercitano una professione indipendente o gestiscono un’impresa, bensì anche coloro che pur svolgendo una prestazione lavorativa non ne traggono profitto in senso proprio ma “ricevono prestazioni che consentano loro di sovvenire, in tutto o in parte, alle proprie

esigenze”; Corte di Giustizia Europea, 23 ottobre 1986, C-300/84, A. J. M. van Rosmaalen v. Bestuur van de Bedrijfsvereniging voor de Gezondheid, Geestelijke en Maatschappelijke Belangen, in Racc., 1986, p. 3097, para 22.

87 Oltre ad aver modificato l’ambito soggettivo di applicazione, il Reg. 1390/81/CEE aveva anche rivisto il campo di applicazione ratione materiae, prevedendo il coordinamento tra Stati in caso di prestazioni di malattia e maternità, invalidità, prestazioni di vecchiaia, superstiti, infortunio sul lavoro e malattie professionali, disoccupazione e prestazioni familiari. Non rientravano in tale campo di applicazione le disposizioni riguardanti l’assistenza sociale e quella sanitaria, “collegate normalmente alla situazione finanziaria e reddituale del soggetto beneficiario e sganciate da un meccanismo assicurativo”285.

Con riferimento invece a quanto effettivamente esteso agli autonomi, si precisa però che non vi era alcun obbligo per gli Stati, di garantire a questi lavoratori tali tutele, qualora non fossero previste nel proprio regime di sicurezza sociale. Primo fra tutti vi è il caso della disoccupazione per i lavoratori indipendenti che già nel 1981 era per lo più un miraggio per quest’ultimi, almeno fino alla sentenza Florea Gusa286.

La normativa prevedeva il cosiddetto diritto alla portabilità, cioè la possibilità per il singolo lavoratore di vedersi garantiti i diritti già acquisiti in un altro Stato membro e che potevano, in base al Paese in cui l’autonomo prestava servizio, portare al raggiungimento di determinate prestazioni, come nel caso dell’anzianità lavorativa necessaria per entrare in quiescenza. Altro caso era il riconoscimento di un precedente periodo lavorativo affinché fosse garantito alla lavoratrice gestante il diritto alle prestazioni di maternità. Su talune prestazioni a carattere non contributivo, come appunto quelle per maternità, l´art. 10 bis subordinava “il diritto alle prestazioni di cui al paragrafo

1 al compimento di periodi di occupazione, di attività lavorativa autonoma o di residenza, [tenuto] conto, per quanto necessario, dei periodi di occupazione, di attività lavorativa autonoma o di residenza compiuti nel territorio di ogni altro Stato membro, come se si trattasse di periodi compiuti nel territorio del primo Stato membro”.

285 Pizzoferrato A., La sicurezza sociale, in Carinci F., Pizzoferrato A. (a cura di), Diritto del

Lavoro dell’Unione Europea, Giappichelli, Torino, 2018, pag., 410.

286 Corte di Giustizia Europea, 20 dicembre 2017, C-442/16, Florea Gusa v. Minister for Social

88 L’innovazione rispetto al Reg. n. 1408/71/CEE va rintracciata nelle norme generali sulla determinazione della legislazione applicabile ai vari lavoratori. Il Titolo II, specificatamente con l´art. 13 comma 2 lett. b, disponeva che “la persona che esercita un'attività non salariata nel territorio di uno Stato

membro è soggetta, alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro”. Questa novità, pur se non impattante per i lavoratori

subordinati poiché, di norma, residenti nel Paese membro in cui la prestazione previdenziale era richiesta, diventava invece fondamentale per i lavoratori non salariati in quanto permetteva loro di evitare un cumulo di prestazioni simili in due diverse nazioni nonché le possibili dispute su chi, tra i vari Stati coinvolti, fosse tenuto a proteggere il lavoratore e quindi farsene carico.

Per rendere effettiva tale norma generale, l´art. 14 bis enunciava i diversi casi e le diverse soluzioni previste data la possibilità dei lavoratori autonomi di svolgere in differenti paesi la propria professione, anche simultaneamente. Ai sensi della lett. a dell´art. 14 bis, colui che “esercita un'attività non salariata

nel territorio di uno Stato membro e svolge un lavoro nel territorio di un altro Stato membro rimane soggetto alla legislazione del primo Stato membro, purché la durata prevedibile di tale lavoro non sia superiore a dodici mesi”.

Altro caso, lett. b., riguardava i lavoratori non salariati la cui prestazione superava i 12 mesi previsti in prima battuta ed ai quali si estendeva quanto disposto dalla lett. a fino a termine del lavoro.

In casi in cui la prestazione era sin dall’inizio ben più lunga di 12 mesi il Regolamento n. 1408/71/CEE, modificato dal Reg. 1390/81/CEE, seguiva il principio della “lex loci laboris”287, applicando la legge dello Stato in cui il

287 Anche il Libro Verde sugli Ostacoli alla Mobilità Transazionale del 2 ottobre 1996, il quale

aveva l’obiettivo di analizzare gli ostacoli giuridici, linguistici ed amministrativi che bloccano la mobilità europea, aveva sottolineato come il principio della “lex loci laboris” – applicato alla sicurezza sociale - favorisse lo spostamento dei lavoratori ma anche degli studenti. Questi ultimi erano stati aggiunti al campo di applicazione soggettivo del Regolamento 1408/71 dal Regolamento (CE) n. 307/1999 del Consiglio dell'8 febbraio 1999 recante modifica del regolamento (CEE) n. 1408/71 relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità e del regolamento (CEE) n. 574/72 che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71, in vista della loro estensione agli studenti.

89 lavoratore autonomo effettivamente svolgeva la prestazione288. Tale situazione poteva avvenire più facilmente in un caso di effettivo trasferimento del lavoratore indipendente nel nuovo Stato membro, avvalendosi della libertà di stabilimento, che in una mera e temporanea prestazione di servizi transfrontaliera. La scelta della “lex loci laboris” da parte della Commissione era in linea con le precedenti normative in materia e con la volontà dei Paesi membri di poter decidere sui lavoratori che effettivamente e non temporaneamente erano economicamente attivi, sia come autonomi che dipendenti, all’interno dei propri confini289. Tale criterio assolveva, quindi, sia la funzione di eliminare qualsiasi discriminazione sulla normativa applicabile per lavoratori subordinati o autonomi che stabilmente prestavano la propria attività nello Stato ospitante, sia quella di proteggere i vari regimi di “sicurezza sociale da pratiche distorsive del processo concorrenziale basate sul dumping sociale”290.

4. Il Regolamento n. 883/2004/CE: dalla nozione di lavoratore al concetto

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