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Lo Statuto dei Lavori e lo “zoccolo duro” e inderogabile di diritti fondamental

Sezione I: Il dibattito dottrinale ed il suo impatto sul diritto del lavoro europeo.

5. Lo Statuto dei Lavori e lo “zoccolo duro” e inderogabile di diritti fondamental

Pur avendo come obiettivo principale quello di rimodulare le tutele verso una platea di beneficiari più grande, la proposta di Biagi si discostava di molto da quelle di Alleva e D’Antona. Biagi, infatti, era conscio della necessità di superare il tradizionale approccio regolatorio (subordinato/autonomo) che

154 ormai si traduceva in una netta differenza tra lavoro tutelato e non tutelato e condivideva con i precedenti autori l’idea che “alcuni diritti fondamentali [dovessero] trovare applicazione, al di là della loro qualificazione giuridica, a tutte le forme di lavoro rese a terzi”445. Di contro, però, non approvava la loro

rigida proposta di “sommare al nucleo esistente delle tutele previste per il lavoro dipendente un nuovo corpo normativo a tutela dei nuovi lavori”446 né le proposte, ivi non trattate, di individuazione di un tertium genus.

L’autore, al contrario, era convinto della necessità di allontanarsi da ogni “intento definitorio e classificatorio di una realtà, quella del lavoro, in rapido e continuo mutamento”447. Con la sua proposta, finalizzata nel Libro Bianco sul

mercato del lavoro del 2001448, mirava a superare la tradizionale contrapposizione binaria tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, partendo da un nuovo punto di osservazione: affrontando, cioè, la questione “dalla parte delle tutele” piuttosto che dalla parte della qualificazione del rapporto449.

Questo ribaltamento di prospettiva, totalmente nuovo rispetto alle precedenti proposte impegnate a collegare al contratto di lavoro - e alle sue eventuali pattuizioni aggiuntive – i diritti, puntava a classificare le tutele per gruppi di istituti omogenei, quali salute e sicurezza, diritti sindacali, equa retribuzione e dignità e riservatezza, dando a ciascuno di essi un campo di applicazione sempre più circoscritto, che nell’ultima declinazione avrebbe riguardato il lavoro dipendente: importando, dunque, nell’ordinamento italiano l’esperienza di cerchi concentrici adottata nel Regno Unito.

Questa rimodulazione delle tutele doveva essere portata a termine grazie ad una nuova modalità di assegnazione delle stesse, la quale avrebbe rifiutato il tradizionale collegamento alla subordinazione come criterio necessario per beneficiare dell’intero impianto protettivo - visto, dunque, soltanto come

445 Biagi M., Sacconi M., et al., Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia: Proposte per una

società attiva e per un lavoro di qualità, 2001, pag. 39.

446 Ibid., pagg. 39-40.

447 AA. VV., Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, in Quaderni di Diritto del

Lavoro e Relazioni Industriali, Torino, Utet, 1998, p. 368.

448 Biagi M., Sacconi M., et al., op. cit., 2001, pag. 39.

449 Biagi M., Tiraboschi M., Le proposte legislative in materia di lavoro parasubordinato:

tipizzazione di un “tertium genus” o codificazione di uno “Statuto dei lavori”, in Lavoro e Diritto, 4, 1999, pag. 586.

155 elemento non più esclusivo450 - ma tramite la creazione di Testi Unici dedicati ai gruppi di istituti omogenei di cui sopra, “che oltre a ridefinire il campo di applicazione – soggettivo e oggettivo – di ogni tutela [avrebbero potuto] anche concorrere alla semplificazione e razionalizzazione della normativa esistente”451. Alla base di questa modulazione sistematica delle tutele, avrebbe

trovato posto uno zoccolo duro di diritti inderogabili, rintracciati da Biagi anche nell’esperienza sovranazionale e formalmente presenti anche nella Costituzione italiana, tra cui il diritto alla salute e sicurezza sul lavoro, tutela della liberà del lavoratore, eliminazione delle forme di discriminazione, equo compenso, tutela della maternità, diritto alla privacy e libertà sindacale. Uno zoccolo di diritti che nell’ipotesi di Biagi avrebbe costituito la base di un moderno “Statuto dei lavori” da intendersi come supplementare allo Statuto dei lavoratori del 1970, ma con la stessa forza innovatrice che aveva contraddistinto quest’ultimo. Oltre a rispondere alle istanze di tutela che si innalzavano dai lavoratori precari e meno tutelati, questo zoccolo duro avrebbe anche svolto un’azione di garanzia dei regimi di concorrenza tra i soggetti economici, “arginando forme di competizione basate su fenomeni di dumping sociale”452 o di fuga verso il lavoro sommerso, dove l’eccessiva rigidità del diritto del lavoro tradizionale e l’incertezza dello stesso sulla questione qualificatoria rischiava di traghettare molti lavoratori.

Per ciò che concerne la nostra trattazione, la prospettiva di redistribuzione delle tutele prospettata da Biagi, includendo anche il lavoro autonomo, è forse quella che maggiormente sembra collegarsi alla proposta, successiva, della Commissione Europea con la pubblicazione del Libro Verde. Non a caso, una delle risposte italiane alla consultazione pubblica sul futuro del diritto del lavoro, promossa dalla Commissione Europea nel 2006 nel quadro del Libro Verde, era principalmente incentrata sulla proposta di Biagi. Questa

450 Al fianco del criterio della subordinazione, la proposta di Biagi inseriva altri criteri

qualificanti ed utili per realizzare quel lavoro di modulazione delle tutele sulla base di cerchi concentrici sempre più dettagliati; tra questi si rintracciano il grado di dipendenza economica, l’anzianità continuativa di servizio, la tipologia del datore di lavoro, le modalità di esecuzione della prestazione e le finalità del contratto. Si rimanda a Biagi M., Tiraboschi M., Istituzioni di

diritto del lavoro, 4° ed., 2007, Giuffrè, Milano, pag. 139.

451 Biagi M, Sacconi M, op. cit., 2001, pag. 40. 452 Ibid., pag. 39

156 risposta alla consultazione, redatta dal Centro Studi Internazionali e Comparati Marco Biagi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, aveva dapprima sottolineato come la tradizionale distinzione binaria subordinato/autonomo non consentisse più di “rappresentare e regolare i moderni modi di lavorare e produrre”, ed in un secondo momento aveva rilanciato, a livello europeo, l’ipotesi dello Statuto dei Lavori di Biagi, vista come antesignana delle proposte di Supiot con le quali condivideva “la necessità di istituire un corpo di diritti universali destinato a tutti i lavoratori […] in modo da superare una volta per tutte quel dualismo tra ipertutelati e precari riconducibile ad una cattiva e miope distribuzione delle tutele del lavoro”453.

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