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La Direttiva 2006/54/UE in tema di parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego

Sezione III – In materia di rapporto di lavoro

3. La Direttiva 2006/54/UE in tema di parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego

L’accelerazione impressa negli anni Duemila dalle istituzioni europee in materia di parità di trattamento e di divieti di discriminazione è riuscita ad abbracciare, con il suo ampio campo di applicazione, la maggior parte degli aspetti che compongono la vita sociale e lavorativa dei cittadini europei. Questa produzione normativa, però, essendo figlia di interventi sporadici e frammentati ha richiesto un lavoro di consolidamento e ‘rifusione’ in un'unica Direttiva che rendesse anche possibile includere alcune modifiche e richiamare anche gli art. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione che di lì a poco sarebbe divenuta vincolante nell’acquis europeo. Tale opera di rifusione, che ha visto la luce nel 2006, è stata possibile tramite l’adozione, da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio, della Direttiva 2006/54/CE, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego382. La Direttiva ha incluso e quindi abrogato nel suo assetto normativo, alcune storiche direttive del diritto antidiscriminatorio comunitario come la Direttiva 76/207/CEE, la Direttiva 86/378/CEE, la 75/117/CEE e la 97/80/CE. Questa direttiva ‘ricomposta’ può essere definita come una sorta spartiacque dell’impegno europeo, di cui si è fatto portavoce il Parlamento383, per rendere ancora più effettiva ed inclusiva la tutela contro le discriminazioni.

382 Per un commento tout court della Direttiva 2006/54/CE si rimanda a Mulder J., Directive

2006/54/CE on the implementation of the principle of equal opportunities and equal treatment of men and women in matters of employment and occupation (recast), in Ales E., Bell M.,

Deinert O., Robin-Olivier S. (eds), International and European Labour Law, 2018, pagg. 547- 586.

383 Sin dai primi anni Duemila, il Parlamento Europeo si è fatto portavoce di una serie di

iniziative volte a controllare l’effettiva applicazione delle Direttive in materia di non discriminazione. Ne è un esempio le richieste del Parlamento, con la Risoluzione del 9 marzo 2004, per valutare meccanismi che agevolino la condivisione equa tra le donne e gli uomini

127 Inoltre, questa è stata ritenuta necessaria per integrare le continue sollecitazioni derivanti dall’uso costante e perfezionato del diritto antidiscriminatorio da parte della Corte di Giustizia Europea. Questa, infatti, è intervenuta molteplici volte per affermare la portata del diritto antidiscriminatorio europeo, rispondere a nuovi stimoli esterni che avrebbero potuto minare l’effettività di questo corpo di norme e supportare eventuali trattamenti differenti tra generi per garantire il reale raggiungimento delle pari opportunità384. Alla luce di ciò, appare rilevante sottolineare che già nei

considerando si faccia riferimento alla costante azione della Corte di Giustizia,

richiamando alcune rilevanti pronunce in materia, come la sentenza Barber in materia di pensioni professionali385.

La tecnica della rifusione mira principalmente a modernizzare, semplificare e riadattare le norme già esistenti, senza per questo riformare la materia386. La mancanza dell’anima riformatrice in questa tecnica legislativa è anche legata alla volontà di mantenere il corpus di pronunce della Corte di Giustizie sulle direttive originarie nonché la loro rilevanza giuridica.

nella gestione della vita familiare e che non precludano l’ingresso nel mercato del lavoro per le lavoratrici. Risoluzione che, nel breve termine non ha portato ad alcun risultato concreto, ma che può essere ritenuta una prima iniziativa nel lungo percorso per l’approvazione della recente Direttiva 2019/1158/UE relativa all’equilibrio tra vita professionale e vita familiare. Per un commento sulla Direttiva si rimanda a Chieregato E., Conciliazione vita-lavoro: la nuova

direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare, in il Lavoro nella Giurisprudenza, 2, 2020, pagg. 125-133.

384 L’art. 3 della Direttiva in esame è dedicato alle azioni positive, cioè l’adozione da parte dello

Stato membro di “misure volte ad assicurare nella pratica la piena parità tra gli uomini e le donne nella vita lavorativa”. La ratio che sottende alle azioni positive è quella di garantire de facto la parità di trattamento, cercando di avere un impatto sulla vita e condizione lavorativa delle donne nonché sulle possibilità di carriera. Ovviamente, come sostenuto dalla Corte di Giustizia Europea, queste politiche non devono però né essere legate a quote fisse destinate al genere femminile né garantire una preferenza incondizionata alle donne nei confronti di un uomo qualificato. Difatti, questi comportamenti sono totalmente contrari alla disposizione sulle azioni positive e sono da ritenersi discriminatorie sulla base del genere. Corte di Giustizia Europea, 17 ottobre 1995, C-450/93, Eckhard Kalanke v. Freie Hansestadt Bremen, in Racc., 1995, p. 3051. Per una lettura sulle azioni positive in materia di lavoro si rimanda a Burrows N., Robinson M., Positive action for women in employment: time to align with Europe?, in

Journal of Law and Society, 2006, pagg. 24 e segg.

385 Corte di Giustizia Europea, 17 maggio 1990, C-262/88, Barber v. Guardian Royal Exhcange

Assurance Group, in Racc., 1990, pag. 1889.

386 Comunicazione dalla Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato

Economico e Sociale Europeo e Comitato delle Regioni, Aggiornare e semplificare l’acquis

128 Dal punto di vista sostanziale e calandola nel tema del lavoro autonomo, la Direttiva 2006/54/CE è caratterizzata da diverse ambiguità, soprattutto per quanto concerne l’ambito di applicazione dei suoi diversi capi.

Se per quanto riguarda l’art. 4 sulla parità retributiva non ci sono dubbi sull’esclusione dei lavoratori autonomi, sugli artt. 6 e 14 ci sono diversi punti meritevoli di approfondimento.

Il primo capo, destinato alla parità retributiva, prevede all’art. 4 il divieto di discriminazioni basate sul sesso concernente un “qualunque aspetto o

condizione delle retribuzioni”. Questa chiaramente esclude il lavoratore

autonomo dall’applicazione della parità retributiva, in pieno accordo con l’art. 157 TFUE. Rimane, comunque, quanto previsto dalla già citata pronuncia

Allonby per coloro che sono caratterizzati una indipendenza soltanto fittizia e

quindi potrebbero rientrare nella nozione europea di “worker”.

Il secondo capo sulla parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale, invece, è caratterizzato da un diverso campo di applicazione soggettivo. L’art. 6, infatti, prevede che i lavoratori autonomi, in quanto parte della popolazione attiva, siano coperti dal divieto di discriminazione nei regimi professionali di sicurezza. Pur avendo un ambito di applicazione molto esteso, questo capo prevede una clausola di esclusione, nella quale sono elencate alcune tipologie di lavoratori, tra cui gli autonomi che hanno contratti di lavoro individuali o che appartengono ad un regime di sicurezza composto da un solo membro. Sulla portata di tale “deferral clause” ci sono diversi dubbi sul valore da assegnare al concetto di “contratti individuali

dei lavoratori autonomi” 387. Ad una prima lettura parrebbe che l’art. 8 possa

escludere dall’art. 6 ogni lavoratore autonomo388, andando a rendere ineffettiva

la parità di trattamento in materia di regimi professionali di sicurezza sociale gestiti da un datore di lavoro o da un committente. Difatti, come sottolineato da un’analisi comparativa sul diritto discriminatorio europeo, la possibilità di escludere alcune tipologie di lavoratori è stata per lo più usata nei confronti dei

387 Barnard C., Blackham A., Self-Employed. The implementation of Directive 2010/41 on the

application of the principle of equal treatment between men and women engaged in an activity in a self-employed capacity, in Equality Law, 2015, pagg. 4-5.

388 Countouris N., Freedland M., The Personal Scope of the EU Sex Equality Directives, Ufficio

129 lavoratori autonomi, mentre in altri Paesi membri hanno applicato tale norma nel loro ordinamento interno389. Vale, comunque, la pena sottolineare che i casi di regimi professionali di sicurezza sociale organizzati dal datore di lavoro o dal committente sono limitati, dunque, anche la portata di questa clausola di esclusione ha un effetto ristretto. Ciononostante, assume interessa evidenziare l’ondivago trattamento previsto per i lavoratori autonomi in questo secondo capo, dal momento che, da un lato questi sono inclusi nel campo di applicazione soggettivo in quanto parte della popolazione attiva e, dall’altro, viene valutata la loro esclusione dal diritto ad un equo trattamento nei confronti di altre tipologie di lavoratori.

Il terzo capo, invece, si occupa della parità di trattamento per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro. Su tale capo i dubbi convergono sul differente ambito di applicazione soggettivo. Specificatamente l’art. 14, primo comma, lett. a, vieta le discriminazioni per le condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo. Sullo stesso piano si pone anche la lettera d dello stesso comma che prevede il divieto di discriminazioni per “l’affiliazione e

all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, nonché alle prestazioni erogate da tali organizzazioni”. Con riferimento al lavoro

autonomo, questa disposizione va letta nella possibilità per questi lavoratori di iscriversi e partecipare in base a tale iscrizione ad organizzazioni e ordini professionali: situazione tradizionalmente rintracciabile nei vari ordini professionali di cui i lavoratori non salariati fanno parte.

Viceversa, le lettere b e c dell’art. 14 stimolano alcune necessarie considerazioni. Se per quest’ultima, sul tema delle condizioni di licenziamento e retribuzione con riferimento anche all’art. 141 TCE (ora art. 157 TFUE), non ci sono particolari dubbi sulla sua non applicazione ai lavoratori autonomi, in quanto si ripropone lo schema già visto nel primo capo, diverso è il caso della

389 Commissione Europea, A comparative analysis of gender equality law in Europe, 2016,

pagg. 52 e 65. Paesi come Cipro, Repubblica Ceca, Germania o Grecia hanno fatto uso di questa disposizione, andando a limitare la parità di trattamento nel campo degli schemi previdenziali professionali.

130 lettera b dell’art. 14390. Questa, infatti, non specifica il suo ambito di

applicazione, né richiama articoli dei Trattati o del diritto secondario che ne comprimano l’ambito soggettivo. Tale lettera si occupa dell’accesso a tutti i tipi di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali”. Dunque, sembra possibile estenderne i confini ben oltre il lavoro subordinato, includendo anche i lavoratori autonomi, soprattutto per quanto riguarda la formazione professionale e i tirocini professionali, momenti della vita lavorativa, spesso, necessari per l’accesso a talune attività di lavoro autonomo: consulenti del lavoro, giornalisti e professioni legali, come affermato dalla Corte nella pronuncia Schnorbus391.

Sebbene il tema del lavoro autonomo sia, in parte, trattato dalla Direttiva 2006/54/CE, questa non ha modificato quanto già previsto dalla Direttiva 86/613/CEE. Al contrario, sembra lasciare intatto quanto previsto da quest’ultima seppur iniziavano ad esserci pressioni per una sua modifica. Una modifica ritenuta necessaria dato che “i risultati da questa prodotti non sono stati considerati soddisfacenti”392, soprattutto per il rischio di contrastare, invece che supportare, le iniziative atte a promuovere l’imprenditorialità. Già dal 1997, infatti, era stato osservato che la Direttiva avesse mancanze sul punto di vista dell’accesso dei coniugi coadiuvanti alla parità di trattamento. Un “fallimento in parte dovuto alla complessità̀ che caratterizza lo status giuridico

dei coniugi che partecipano alle attività̀ [autonome], nell'ambito del quale entrano in gioco la normativa fiscale, il diritto matrimoniale, la normativa in materia di sicurezza sociale, il diritto del lavoro e il diritto societario degli Stati membri”393 e che rende necessario un intervento di modifica della Direttiva 86/613/CE. Questo dovrebbe essere rivolto a garantire un miglioramento delle tutele di maternità per le coniugi coadiuvanti, con modalità simili a quelle delle

390 Barnard C., Blackham A., op. cit., 2015, pag. 5.

391 Corte di Giustizia Europea, 7 dicembre 2000, C-79/99, Schnorbus v. Land Hessen, in Racc.,

2000, pag. 11105.

392 Gottardi D., op. cit., 2009, pag. 41.

393 Parlamento Europeo, Risoluzione sulla situazione dei coniugi che partecipano alle attività

131 lavoratrici subordinate, nonché un equo trattamento per l’accesso coperture assicurative in materia sanitaria e previdenziale.

Critiche che dal 1997, fino al 2008 non hanno portato ad alcun risultato concreto, se non quello di trattare la modifica della Direttiva 86/613/CE in un atto diverso da quello di rifusione, vista la necessità di modificare e rinnovare il diritto antidiscriminatorio dedicato al lavoro autonomo; obiettivo raggiunto, seppur con diverse critiche, con l’adozione della Direttiva 2010/41/UE.

4. La Direttiva 2010/41/UE e il suo interventismo antidiscriminatorio in

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