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Il lungo percorso di armonizzazione del lavoratore autonomo al lavoratore subordinato nel diritto della sicurezza sociale europea:

Sezione I – In materia di sicurezza sociale

1. Il lungo percorso di armonizzazione del lavoratore autonomo al lavoratore subordinato nel diritto della sicurezza sociale europea:

l’originaria esclusione dal Reg. n. 3/1958/CEE

La nozione di lavoratore, al contrario di quella di lavoratore autonomo, è da sempre stata utilizzata nel quadro del diritto dell’Unione Europea come chiave di accesso ad una moltitudine di tutele e diritti. Se tale dicotomia, come si è osservato, non ha impattato sulla libera circolazione di lavoratori subordinati e autonomi258 – ma piuttosto l’interesse del legislatore e della Corte si è rivolto a definire il confine di chi è economicamente attivo e chi non lo è – diverso è stato il processo di inclusione dei lavoratori autonomi nelle tutele in materia di sicurezza sociale.

Sin dal 1957, anno del Trattato di Roma, era chiaro che eventuali condizionamenti di carattere previdenziale avrebbero potuto incidere sull’effettiva circolazione dei lavoratori all’interno dell’allora Comunità Economica Europea. Già con l´art. 51 TCEE, oggi trasposto nell´art. 48 TFUE e dedicato alle misure necessarie in materia di sicurezza sociale utili per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori259, si poteva osservare

258 Si rimanda a Menegatti E., Taking EU labour law beyond the employment contract: the role

played by the European Court of Justice, in European Labour Law journal, 11, 2020, pag 26-

47; Menegatti E., The Evolving Concept of “workers” in EU Law, in Italian Labour Law e-

Journal, 1, Vol. 12, 2019, pagg. 71-83.

259 L´art. 51 TCEE disponeva che “il Consiglio, con deliberazione unanime su proposta della

Commissione, adotta in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per l'instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti e ai loro aventi diritto: a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste; b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri.”

78 come il legislatore comunitario ritenesse la sicurezza sociale funzionale al raggiungimento dell’obiettivo principale, cioè la circolazione dei lavoratori, questi ultimi visti come fattore produttivo fondamentale all’interno del mercato europeo260. In poche parole, la sicurezza sociale veniva intesa come strumento, proiezione o “corollario indispensabile”261 della libera circolazione dei

lavoratori subordinati. Difatti, l´art. 51 TCEE era inserito nel Capo I dedicato ai lavoratori ed alla loro libertà di circolazione. Un coordinamento della sicurezza sociale nei vari Stati Membri avrebbe permesso ai lavoratori subordinati di spostarsi liberamente all’interno dei confini europei senza perdere, a causa del loro trasferimento, alcun diritto acquisito in termini di previdenziali e conservando i periodi di contribuzione presso uno regime diverso da quello in cui successivamente avrebbero svolto la propria attività lavorativa.

Per tale motivazione e per rendere effettivo l´art. 51 TCCE, nel 1958, la CEE aveva adottato il Regolamento n. 3/1958 per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti262. In tal modo la Comunità Economica Europea mirava ad eliminare le differenze di trattamento tra lavoratori domestici e quelli provenienti da un altro Paese membro in materia di previdenza sociale, con l’obiettivo precipuo di “evitare che tali differenze pregiudicassero le libertà

economiche affermate nei Trattati, ed in specie la libera circolazione di lavoratori”263.

Il rapporto tra previdenza sociale e circolazione dei lavoratori è lampante. Senza la certezza di una qualche minima forma di riconoscimento di quanto già versato presso una cassa previdenziale nazionale, difficilmente il lavoratore avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di trasferirsi in un altro

260 Pocar descriveva la sicurezza sociale non “come oggetto di un separato e autonomo

intervento comunitario, bensì come parte integrante dell’intervento destinato a garantire il libero spostamento delle forze di lavoro nel territorio degli Stati Membri e unicamente in relazione ad esso”. Si veda Pocar F., Diritto Comunitario del lavoro, Cedam, Padova, 1983, pag. 123.

261 Arrigo G., Il diritto del lavoro dell’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 1998, pag. 297. 262 Regolamento n. 3/1958 per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti, in Gazzetta Ufficiale

1958, il 16 dicembre 1958, p. 563.

263 Di Federico G., Protezione della salute e cittadinanza europea nella direttiva 2011/24/UE

sulla mobilità transfrontaliera di pazienti, in Rossi L. S., Bottari C. (a cura di), Sanità e diritti fondamentali in ambito europeo e italiano, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2013,

79 Stato membro. Ciò avrebbe comportato un ulteriore freno al progetto europeo di mobilità dei lavoratori e di interscambio tra i diversi paesi. Una situazione che è emersa ripetutamente in svariate sentenze della Corte di Giustizia sul tema della sicurezza sociale e libera circolazione di lavoratori, mostrando la criticità del tema. In particolare, la Corte di Giustizia, nella sentenza Spruyt in materia di prestazioni previdenziali, aveva evidenziato che “lo scopo degli artt. da 48

a 51 [TCEE] non sarebbe raggiunto se i lavoratori, come conseguenza dell’esercizio del diritto di libera circolazione, dovessero essere privati dei vantaggi previdenziali garantiti loro dalla legge di uno Stato Membro”264. Sempre secondo i Giudici della Corte, nel procedimento congiunto Lepore-

Scamuffa, una simile conseguenza “potrebbe dissuadere i lavoratori comunitari dall’esercitare il diritto alla libera circolazione e costituirebbe, pertanto, un ostacolo a tale libertà”265. Aspetto, quest’ultimo, che fa emergere il già citato obiettivo di evitare che ogni restrizione alla libertà di circolazione possa mettere in serio pericolo il raggiungimento delle finalità del Trattato.

Sotto questa luce va letto l’originario Regolamento n. 3/1958/CEE che garantiva ai lavoratori subordinati un primo coordinamento dei regimi di sicurezza sociale dei vari Paesi, disponendo il cumulo dei periodi maturati nonché la previsione di tutele in caso di malattia, vecchiaia e maternità nello Stato Membro ospitante, come disposto dall´art. 2.

Meritevole di attenzione appare il campo di applicazione di questo primo Regolamento. All´art. 4 è disposto che quanto presente nel Regolamento n. 3/1958 sia applicabile ai lavoratori subordinati o assimilati (nella versione originale in francese si riporta la nozione di “travailleurs salariés”), escludendo in via di principio sia i lavoratori autonomi che coloro che si spostavano verso un Paese Membro con l’obiettivo di cercarvi lavoro. La decisione di escludere i lavoratori non salariati deriva dalla preoccupazione dei Paesi fondatori di una possibile diaspora economica dei lavoratori autonomi nel mercato unico

264 Corte di Giustizia Europea, 25 febbraio 1986, C-284/84, L. A. Spruyt v. Bestuur van de

Sociale Verzekeringsbank, in Racc., 1986, p. 685, para 19. Si veda anche Corte di Giustizia

Europea, 4 ottobre 1991, C-349/87, L. A. Spruyt v. Bestuur van de Sociale Verzekeringsbank, in Racc., 1986, p. 685, para 22.

265 Corte di Giustizia Europea, 9 dicembre 1993, cause riunite C-45/92 e C-46/92, Elissavet

80 europeo, a causa della maggior reattività di questi nel muoversi e perseguire vantaggi economici rispetto ai lavoratori dipendenti, tradizionalmente abituati ad un lavoro stabile con poche modifiche (lifetime jobs). Inoltre, alla base di questa esclusione si potrebbe anche asserire la volontà della nascente Comunità Economica Europea di controllare lo sviluppo del mercato unico europeo266,

prevenendo possibili squilibri socioeconomici nei Paesi di destinazione. Inoltre, i vari Paesi membri avevano diversi sistemi di sicurezza sociale, con diverse modalità di finanziamento e partecipazione (obbligatoria o su base volontaria), dunque, prevedere sin da subito il coordinamento previdenziale anche per i lavoratori autonomi non sarebbe risultato agevole.

2. Dal Regolamento n. 1408/71 al Regolamento n. 1390/81: prime

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