• Non ci sono risultati.

Sezione III – In materia di rapporto di lavoro

1. Le tutele antidiscriminatorie nel TCEE

Il principio di parità e non discriminazione fra sessi è uno dei contenuti del Diritto dell’Unione che ha maggiormente inciso sui diversi ordinamenti nazionali. Tale impatto deriva da un’iniziativa legislativa costante da parte delle autorità europee per adeguare i vari ordinamenti nazionali tramite direttive362,

raccomandazioni, programmi di azione ed il supporto della Corte di Giustizia Europea, con quest’ultima molto attiva in materia di parità di trattamento, soprattutto in ambito giuslavoristico.

In origine, il diritto antidiscriminatorio della nascente Comunità Economica Europea era limitato all’art. 119 TCEE363, il quale sanciva la parità retributiva in termini ben definiti. L’art. 119 disponeva che “ciascuno Stato

membro assicura” e “mantiene l’applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per

362 Come verrà visto in seguito, lo strumento legislativo della Direttiva è stato il più usato, dagli

anni Settanta in poi, in materia di parità di trattamento. Al suo fianco, la Corte di Giustizia ha svolto un ruolo chiarificatore, precisando ripetutamente la portata soggettiva ed oggettiva della normativa antidiscriminatoria.

363 Anche l’art. 49 TFUE riguardava la parità di trattamento tra lavoratori autonomi domestici e

migranti; similmente a quanto disposto dall’art 45 TFUE per i lavoratori subordinati. Tale parità di trattamento svolgeva il suo ruolo prevedendo la nullità di tutte quelle norme nazionali che avrebbero potuto discriminare, direttamente o indirettamente, i lavoratori stranieri sulla base della loro nazionalità. Dunque, la valenza antidiscriminatoria dell’art. 49 TFUE si occupa di un campo diverso da quello dell’attuale art. 157 TFUE, cioè quello della nazionalità. Una pronuncia in cui la Corte ha applicato il principio di parità di trattamento ai sensi dell’art. 49 TFUE è la sentenza Reyners. In tale pronuncia, la Corte riteneva contraria al diritto dell’Unione (art. 49 TFUE) una norma di diritto belga che limitava lo svolgimento della professione di avvocato solo per coloro che fossero di nazionalità belga. Cfr. Corte di Giustizia Europea, 21 giugno 1974, C-2/74, Jean Reyners v. Stato belga, in Racc., 1974, pag. 631. Si rimanda anche a Barnard C., The substantive law of the EU, 2016, pag. 271. Come riportato anche nella sentenza Commissione delle Comunità Europee c. Repubblica Italiana, dunque, la parità di trattamento non solo si occupava di vietare ogni trattamento differenziato incentrato sulla nazionalità del lavoratore autonomo, ma “anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata

che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, abbia in pratica le stesse conseguenze”; una

situazione ascrivibile al caso delle discriminazioni indirette, ben più difficili da inquadrare rispetto a quelle dirette e quindi meritevoli di maggior controllo da parte delle istituzioni. Corte di Giustizia Europea, 5 dicembre 1989, C-3/88, Commissione delle Comunità Europee v.

Repubblica Italiana, in Racc., 1989, pag. 4035. Per un’analisi della disciplina delle pari

opportunità in ambito di diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi si rimanda a Tizzano A., La libera circolazione dei servizi nella CEE, in Tizzano A. (a cura di)., Professioni

119

uno stesso lavoro”. Inoltre, delineava con chiarezza i caratteri della

retribuzione, sia a cottimo che a tempo.

Pur essendo un principio ben definito, questo aveva trovato una forte resistenza nella sua applicazione da parte delle diverse Corti nazionali, soprattutto negli anni Sessanta, restie a riconoscere discriminazioni soprattutto indirette da parte degli ordinamenti domestici. Tali ostacoli sono venuti meno a seguito di un intervento diretto della Corte di Giustizia Europea, con la nota pronuncia Defrenne del 1976, nella quale venne sancita l’efficacia diretta, verticale ed orizzontale dell’art. 119 TCEE, ritenuto principio fondamentale dell’ordinamento giuridico comunitario364.

La pronuncia Defrenne merita di essere ulteriormente ricordata in quanto, con essa, la Corte aveva evidenziato che la disposizione sulla parità retributiva rientrava negli scopi sociali fondamentali della Comunità Europea e che questa non si limitava solo alla nascente unione economica ma doveva “garantire al tempo stesso, mediante un’azione comune, il progresso sociale e

promuovere il costante miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro”365. Infatti, pur riconoscendo la predominanza delle disposizioni di carattere economico, l’art. 119 TCEE risulta essere un unicum nell’originaria versione del Trattato: un’area di costante intervento dove “il diritto dell’Unione e gli Stati membri [concordano] sull’idea che il liberismo economico [possa] essere combinato con il progresso sociale”366.

L’art. 119 TCEE, pur avendo portato a numerosi adeguamenti nelle diverse normative nazionali, aveva originariamente un campo di applicazione

364 L’art. 119, in quanto principio fondamentale dell’ordinamento dell’allora CEE e data anche

la chiarezza e precisione di tale obbligazione (parità retributiva), è stato definito dalla Corte di Giustizia come avente efficacia diretta, non solo nei confronti degli Stati, ma anche dei datori di lavoro. Secondo i Giudici, l’art. 119 era redatto “in modo chiaro e semplice” e non equivoco, dunque, poteva essere fatto valere dinanzi ai giudici nazionali”. Corte di Giustizia Europea, 8 aprile 1976, C-43/75, Gabrielle Defrenne v. Société anonyme belge de navigation aérienne

Sabena, in Racc., 1976, pag. 455, para. 40. Per un approfondimento sul principio di non

discriminazione in ambito giuslavoristico si rimanda a Piccone V., Il principio di non

discriminazione nella giurisprudenza sovranazionale, in DL – Rivista critica di diritto del lavoro privato e pubblico, 1, 2009, pagg. 9 – 32. Nel suo saggio, l’autrice definiva il principio

di non discriminazione come “un vero e proprio metaprincipio”, soprattutto dopo l’intervento della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europa con gli artt. 21 e 23.

365 Corte di Giustizia Europea, 8 aprile 1976, C-43/75, Gabrielle Defrenne v. Société anonyme

belge de navigation aérienne Sabena, in Racc., 1976, pag. 455, para. 7-11.

120 soggettivo ed oggettivo molto limitato. Per quanto riguarda quest’ultimo, era dichiaratamente confinato a prevedere una parità di trattamento solo nel campo della retribuzione, senza poter essere direttamente applicato ad altre materie; situazione, questa, che negli anni ha poi invece portato questo articolo ad occuparsi anche di finalità più generali, come il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro o il progresso sociale e che è stato poi ripreso dalla direttiva 75/117/CEE e da quelle successive.

Per quanto concerne invece il campo di applicazione soggettivo, l’art. 119 TCEE era riferito a lavoratori di sesso maschile e femminile, senza fornire precisazioni in merito alla definizione di lavoratore. Parimenti a quanto avvenuto nel campo della libera circolazione, è stata la Corte, con una sua pronuncia, a dirimere la questione. Questa, nella pronuncia Allonby367, ha introdotto nel campo della parità retributiva la nota formula derivante da Lawrie

Blum e Martinez Sala, precisando che tale nozione, avendo portata comunitaria,

non potesse essere interpretata restrittivamente. Doveva, dunque, essere considerato lavoratore “la persona che fornisce, per un certo periodo di tempo,

a favore di un’altra persona e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceve una retribuzione” (supra. par. 3, Cap. 1). Alla

luce di tale definizione giurisprudenziale, perciò, la parità retributiva, ai sensi dell’art 119 TCEE, doveva essere garantita solo a coloro i quali, ai sensi dell’ordinamento nazionale, fossero considerati lavoratori subordinati. È agevole, quindi, desumere che nel termine “lavoratore” in materia di parità retributiva non fossero inclusi i lavoratori autonomi, in quanto non soggetti ad alcun vincolo di subordinazione verso il committente. Deduzione ulteriormente supportata dalla pronuncia Allonby, in quanto i Giudici della Corte avevano evidenziato il caso in cui un lavoratore autonomo potesse, comunque, rientrare nel campo di applicazione dell’art. 119 TCEE se la sua indipendenza fosse soltanto fittizia e volta a celare un reale rapporto di lavoro subordinato368. Se

l’originario art. 119 TCEE avesse inquadrato anche i lavoratori autonomi non

367 Corte di Giustizia Europea, 13 gennaio 2004, C-256/01, Allonby v. Accrington & Rossendale

College and Others, in Racc., 2004, p. 873.

368 Corte di Giustizia Europea, 13 gennaio 2004, C-256/01, Allonby v. Accrington & Rossendale

121 sarebbe stato necessario questo inciso da parte della Corte, mirato, principalmente ad “applicare le tecniche di tutela antidiscriminatorie concepite per il lavoro subordinato alle forme non genuine di lavoro autonomo”369.

Alla luce di ciò, il divieto di disparità retributiva riferendosi soltanto ai lavoratori subordinati escludeva dal proprio campo di applicazione soggettivo i lavoratori autonomi, i quali hanno dovuto attendere la direttiva n. 86/613/CEE370 per vedersi riconoscere, per la prima volta, il divieto di

discriminazioni fondate sul genere371.

2. I primi interventi comunitari sul lavoro autonomo: dalla Direttiva n.

Outline

Documenti correlati