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Il Libro Verde del 2006: tra provocazione e dibattito dottrinale.

Sezione I: Il dibattito dottrinale ed il suo impatto sul diritto del lavoro europeo.

2. Il Libro Verde del 2006: tra provocazione e dibattito dottrinale.

Sulla falsariga del Rapporto Supiot416 del 1999, il Libro Verde –

Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo

sembra porsi in contrapposizione con il tradizionale modus operandi europeo di trattare la disciplina del diritto del lavoro. Questa non è trattata con il classico

storytelling della Commissione Europea, dove l’obiettivo precipuo è quello di

mostrare le diverse discipline nazionali con l’idea di promuoverne alcune a possibili “good practices” da seguire e possibilmente recepire nel proprio Paese. Al contrario, per la prima volta, la “Commissione [ha esteso] il focus della sua azione da alcuni profili tecnici e settoriali alla ratio della disciplina del diritto del lavoro nel suo complesso”417. Ciò, attraverso una vera e propria

416 Il rapporto “Trasformazioni del lavoro e il futuro della regolazione del lavoro in Europa”, a

cura di Alain Supiot e di un gruppo di esperti internazionali, è stato finanziato dalla Direzione Generale Lavoro e politiche sociali della Commissione Europea ed è stato pubblicato in diverse lingue ed edizioni: in Francese (Au-delà de l’emploi, Parigi, Flammarion, 1999), in inglese (Beyond Employment, Londra, Oxford University Press, 2001), in spagnolo (Trabajo y Empleo, Valencia, Tirant lo blanch, 1999) e la versione italiana, tradotta da Barbieri e Mingione, edita da Carocci Editore nel 2003.

417 Tiraboschi M., Il Libro Verde e il dibattito sulla modernizzazione del diritto del lavoro, in

142 provocazione che ha esortato gli Stati Membri e le parti sociali ad “elaborare una nuova progettualità sulle tematiche del lavoro e superare con essa le contro- indicazioni” di talune riforme registratesi in Europa agli inizi degli anni Duemila: figlie, queste ultime, dell’ampio dibattito dottrinale sulla modernizzazione di un diritto, quello del lavoro, talmente integrato con la vita delle persone da organizzarne gli “aspetti più quotidiani e più remoti da qualunque speculazione intellettuale” e capace di garantirne il sostentamento418.

La provocazione caratterizzante il Libro Verde del 2006, non risparmiata da critiche precise sia sulla forma che sui contenuti, è tutta basata sulla necessità - quasi lampante leggendo il testo - di dover rivedere, forse dalle fondamenta, alcune caratteristiche tradizionali del diritto del lavoro e, di conseguenza, del mercato del lavoro.

Questo non è il luogo per dedicarsi al commento della flessibilità e della sicurezza nelle transizioni lavorative, che da questo testo in poi vedrà l’ingresso in scena del noto concetto di “flexicurity”, né è possibile concentrarsi sul tema dei rapporti di lavoro triangolari o del lavoro non dichiarato; non si può nascondere, però, che la Commissione Europea abbia abbracciato un approccio nuovo per tentare di bilanciare alcune anomalie presenti nel mercato del lavoro. Un approccio che parte dalla volontà di concentrarsi su alcuni problemi che caratterizzano il mondo del lavoro e sui quali aprire un dibattito con le parti sociali e con i legislatori nazionali, secondo la logica partecipativa che ha caratterizzato l’azione europea negli ultimi anni.

Ovviamente, tale dibattito trova diverse spinte contrarie che cercano di criticare la tendenza verso l’assolutizzazione di alcune situazioni, tra cui la necessità di un mercato del lavoro più flessibile, a discapito di altre, come la precarietà che proprio dalla maggior flessibilizzazione potrebbe essere negativamente incentivata419. Non a caso da più voci si è alzata una barriera

418 Lyon-Caen G., Permanenza e rinnovamento del diritto del lavoro in una economia

globalizzata, in Lavoro e Diritto, 2, 2004, pag. 260.

419 Diverse critiche hanno riguardato la tesi affermata dal Libro Verde con riferimento alla

necessità di flessibilità. Secondo tale tesi, per favorire lo sviluppo e l’occupazione sarebbe utile ridurre le garanzie dei lavoratori occupati, a partire da quelle in materia di licenziamento, in nome di un ambiguo concetto di flexicurity, che Mariucci definisce come un “vero e proprio ossimoro”. Lo stesso, al contrario, supporta la tesi secondo cui sia necessario introdurre misure

143 verso questo Libro Verde, secondo cui questo sia il risultato di “un’analisi della situazione parziale e insoddisfacente” e che ha portato a “proposte che hanno il sapore dell’irrealtà”420 e che rischierebbero di modificare, in peius, quanto il

diritto del lavoro ha conquistato negli anni.

Per quanto concerne la nostra trattazione, è interessante notare come il Libro Verde cerchi di intercettare quelle spinte espansive che da più parti, nel panorama giuslavoristico europeo, stavano prendendo vigore. Infatti, nei diversi temi trattati dall’atto in commento, viene data ampia attenzione al problema dell’insicurezza dei lavoratori europei. Situazione che non riguarda solo i periodi di transizione da un lavoro all’altro o nei momenti di perdita dello stesso, ma che riguarda proprio la centralità del diritto del lavoro tradizionale: cioè la sua anima dicotomica attorno alla quale si applicano o meno le tutele di cui esso è portatore. Senza lasciare troppi dubbi, il Libro Verde evidenzia come questa “tradizionale distinzione binaria tra lavoratore dipendente e lavoratore

autonomo non [rifletta] più fedelmente la realtà economica e sociale del lavoro”421, ampiamente influenzata e modificata dai processi di avanzamento tecnologico e produttivo trattati nel precedente paragrafo. La motivazione principale addotta dal Libro Verde è la comparsa di forme di lavoro atipico diversificate che hanno reso meno chiare le frontiere tra il diritto del lavoro e il diritto commerciale. Tra queste nuove forme, la Commissione cita il “lavoro

economicamente dipendente”, fenomeno già affrontato nella trattazione, ma che

qui, prepotentemente, prende la scena. Attorno al problema del lavoro autonomo economicamente dipendente, la Commissione introduce la difficoltà di non riuscire a far rientrare questo fenomeno, ma anche altri lavori atipici, all’interno delle tradizionali nozioni di lavoro dipendente o autonomo, e proteggerlo, quindi, da eventuali sfruttamenti o false qualificazioni, il cui obiettivo finale è quello di dover garantire, a questi lavoratori, tutele minori. Ed è proprio su questa necessità di proteggere quei lavoratori che sfuggono dalle

mirate ad assicurare una flessibilità regolata anche attraverso “nuovi diritti e regole del lavoro finalizzati a condizionare la dinamica del mercato”. Si rimanda a Mariucci L., La modernità de

diritto del lavoro, in Diritto delle Relazioni Industriali, 4, 2007, pag. 982 e segg.

420 Garofalo M. G., op. cit. 2007, pag. 136.

421 Commissione Europea, Libro Verde – Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle

144 maglie del diritto del lavoro, che il Libro Verde si è garantito notorietà tra i giuslavoristi, pur non avendo portato, nell’immediato, risultati concreti. Questa notorietà deriva dalla decisione, presa dalla Commissione, di integrare nella sua proposta sul tema dell’insicurezza giuridica una parte di quelle teorie sviluppate dai giuslavoristi di diversi Paesi europei tra cui Italia, Gran Bretagna e Francia: non a caso i Paesi con le tradizioni giuslavoristiche più radicate.

La Commissione porta ad esempio il caso britannico con l’introduzione di una serie di diverse figure, dal lavoratore dipendente al cosiddetto “worker” fino all’imprenditore, alle quali vengono selettivamente garantite alcune tutele, potendo distinguere coloro a cui si estende l’intera gamma dei diritti del lavoro derivanti dai contratti di lavoro classici” da coloro i quali hanno bisogno di diritti minimi422. Allo stesso tempo, la Commissione ha rilanciato il tema dell’introduzione di un “nucleo di diritti relativo alle condizioni di lavoro”, universalmente garantiti, indipendentemente dalla forma del loro contratto di lavoro ed utile ad evitare una tendenza al ribasso a causa della competizione sul mercato del lavoro423. Un tema che, pur essendo un unicum all’interno degli atti dell’Unione Europea, è fortemente influenzato dalle diverse teorie giuslavoristiche che caratterizzavano il dibattito dottrinale dei primi anni 2000 e che saranno trattate nei prossimi paragrafi.

Non è un caso, infatti, che la Commissione ne sia stata influenzata, soprattutto perché alcune di queste teorie hanno avuto anche un proprio trascorso politico, incluse nell’agenda politica di diversi governi europei e discusse nei parlamenti nazionali.

Alcune teorie che hanno influenzato il Libro Verde, e che ancora oggi hanno i loro effetti sul dibattito giuslavoristico, sono facilmente individuabili; altre invece sono state pubblicate negli anni successivi o hanno avuto come base di partenza le stesse motivazioni economico-giuridiche. Allo Statuto dei lavori di Marco Biagi, discusso a cavallo del nuovo millennio, si deve il tema del nucleo di diritti universali da estendere ad ogni lavoratore. Parimenti dal

422 Per un maggior approfondimento si rimanda a Ministero britannico del Commercio e

dell’Industria, Success at Work: Protecting Vulnerable Workers, Supporting Good Employers, 2006.

423 Senatori I., Tiraboschi M., Il position paper del Centro Studi Internazionali e Comparati

145 “lavoro sans phrase” di D’Antona e Alleva, seppur con alcune differenze tra loro, si nota l’idea di garantire tali diritti, più o meno minimi, a tutti i lavoratori indipendentemente dal loro tipo di rapporto di lavoro. Altre teorie che si avvicinano al tema rilanciato dal Libro Verde, cioè quello di modernizzare il diritto del lavoro, sono quelle di Freedland, poi riprese con il supporto di Countouris, sulla Personal Work Relations, che essendo state pubblicate nel medesimo periodo ne sono state influenzate o, comunque, hanno preso il via dalle medesime motivazioni di fondo. In ultimo, un approccio diverso ed in ritardo di quasi dieci anni è quello di Davidov, con il suo “Purposive

Approach”, con il quale l’autore si confronta con la costante crisi del diritto del

lavoro e la necessità di ribilanciarne il campo di applicazione, cambiando totalmente il paradigma di partenza: un approccio teleologico che potrebbe trovare il proprio campo di elezione proprio nel diritto europeo contemporaneo.

Tutte queste proposte portano con sé il medesimo obiettivo: quello di riequilibrare il diritto del lavoro tramite una sua modernizzazione che tenga a mente le innovazioni tecnico-organizzative del mercato del lavoro, le implicite vulnerabilità, così come quelle economico-sociali che stiamo, tuttora, vivendo e che possa garantire tutele e diritti ad una platea maggiore di lavoratori, inclusi anche quelli autonomi o una parte di essi.

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