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Organigramma del BNG

1979 1984 1989 Federazione Union

3.3 La Lega Nord

3.3.4 Dall’invenzione della Padania al federalismo

La dimostrazione della flessibilità dell’identità politica della LN era confermata dall’ulteriore trasformazione che avrebbero subito i suoi discorsi e la sua dottrina nazionalista a partire dal 1996. È a partire da questo periodo, infatti, che diventava sempre più evidente il ricorso al nazionalismo come dottrina necessaria per l’invenzione della nazione [Gellner, 1997]. Tuttavia, essa dava luogo più che ad una “comunità immaginata” [Anderson, 1991] ad una “comunità immaginaria” [Albertazzi, 2006: 23].

Sin dalla metà del 1995, Bossi aveva già iniziato a riferirsi alla comunità di riferimento con il termine di Padania, “territorio virtuale e inesistente” [Diamanti, 1996: 81], ma che presentava un particolare vantaggio rispetto al concetto di Nord. Attraverso questo termine, infatti, egli riusciva ad imporre un’unica identità a territori tra loro molto differenti, suscitando così la formazione di sentimenti di appartenenza ad una sola comunità. La mitologia utilizzata non era più legata alla lettura revisionista della battaglia di Legnano e delle Leghe, quanto piuttosto alle presunte origini celtiche che, già precedentemente, erano servite per identificare l’intero Nord. In particolare, secondo uno degli ideologi del partito in quegli anni, Gilberto Oneto, geograficamente la Padania aveva dei confini precisi. Essa coincideva con la parte dello stato italiano non peninsulare, limitata dal fiume Po. La differenza rispetto al resto dello Stato Italiano, il cui inizio poteva farsi coincidere con gli Appennini, era dimostrato anche dal fatto che le popolazioni delle regioni settentrionali avevano da sempre orientato i propri commerci e i propri contatti culturali verso le zone al di là delle Alpi. In secondo luogo, le popolazioni cosiddette Padane, sempre secondo Oneto, avevano un’eredità genetica derivante dalle tribù celtiche, quindi, differente rispetto a quella dell’Italia centrale, di derivazione Etrusca, e da quella del Mezzogiorno, derivante dagli antichi Greci. Ma questo più che generare una differenza ‘razziale’, secondo l’ideologo, dimostrava una differenza culturale tra le diverse aree geografiche dell’Italia, che, nonostante i secoli, aveva mantenuto un carattere piuttosto marcato [Oneto cit. in Cento Bull e Gilbert, 2001: 113-121].

L’introduzione di una nuova comunità nata dal nulla implicava naturalmente il ricorso alla simbologia tradizionale del nazionalismo. Pertanto, il quotidiano del partito, che serviva come organo ufficiale delle sue comunicazioni, si trasformava da Lega Nord in Padania. Ma l’evento che rivestiva la maggiore importanza simbolica consisteva nella creazione di un Parlamento del Nord, che dopo le elezioni del 1996, sarebbe diventato Parlamento della Padania, con sede a Mantova, “scelta per la sua posizione geopolitica al centro del Nord” [Gomez Reino, 2002: 161]. Esso serviva per “[…] decidere la precisa natura del federalismo voluto dalla Lega e per redigere una costituzione per uno stato del nord” [Cento Bull e Gilbert 2001, 106]. In realtà, le riunioni in tale sede erano sporadiche e consistevano più in comunicazioni che in vere e propri dibattiti [Tambini, 2001: 130]. Tuttavia il vero ruolo di questo pseudo-Parlamento non era tanto quello di avere una funzione concreta, quanto piuttosto quello di suscitare l’interesse pubblico e mediatico e favorire una maggiore identificazione dei leghisti con la nuova comunità di

riferimento. Inoltre, esso serviva a “legare più strettamente i principali membri della Lega alla causa e ricordare ai membri della sua élite dominante che il loro dovere principale, indipendentemente dalle loro credenze politiche, era quello di lottare per ‘l’indipendenza del Nord’, non per la Sinistra o la Destra del sistema politico italiano” [Bossi, 1996 cit. in Cento Bull e Gilbert, 2001: 106]. In sostanza, esso “[…] era il tentativo più sistematico di creare un framework istituzionale simbolico per legittimare le richieste del partito” [Gomez Reino, 2002: 161], che dal federalismo si orientavano progressivamente verso l’indipendenza, da raggiungere tramite la secessione prima del Nord, poi della Padania, dal Paese.

In questo periodo si erano incrementate anche le manifestazioni e i raduni, espressione della mobilitazione di leghisti nostalgici di una patria inesistente. In particolare, in seguito alla vittoria registrata nelle elezioni del 1996, si svolgeva un raduno alle foci del Po, durante il quale Bossi dichiarava l’indipendenza della Padania. Tale dichiarazione era accompagnata da una cerimonia folkloristica e priva di qualsiasi precedente storico, che, però rivestiva un forte impatto mediatico. Il rituale era consistito nel riempire un’ampolla con l’acqua del Po, che per l’avvenimento veniva indicata come simbolo sacro della Padania, e pochi giorni dopo, attraverso una serie di ulteriori raduni, veniva versata nella laguna di Venezia. Era naturalmente una cerimonia che aveva suscitato la derisione di molti osservatori esterni, ma, allo stesso tempo, anche timore riguardo agli obiettivi che il partito realmente si poneva e che contribuiva al consolidamento dell’identificazione degli aderenti alla Lega con la nuova patria di riferimento. Essa simbolizzava il “[…] necessario processo di rigenerazione che i Padani avevano bisogno di intraprendere al fine di iniziare la loro nuova vita ed assumere il controllo della loro terra promessa” [Destro, 1997 cit. in Albertazzi, 2006: 31]. Durante la medesima manifestazione era stata letta la dichiarazione dell’indipendenza della Padania. Quest’ultima recitava così:

“La storia dello Stato Italiano è diventata la storia dell’oppressione coloniale, dello sfruttamento economico e della violenza morale.

Lo Stato Italiano ha, tramite i suoi apparati burocratici, sistematicamente occupato il sistema economico e sociale della Padania.

Lo Stato Italiano ha sistematicamente annullato ogni forma di autonomia e di governo dai nostri comuni, dalle nostre province e dalle nostre regioni.

Lo Stato Italiano ha compromesso la sicurezza delle future generazioni della Padania, sprecando enormi risorse nella corruzione, nel clientelismo e nelle operazioni criminali che hanno portato la Padania e l’Italia sull’orlo della bancarotta.

Lo Stato Italiano ha costretto le popolazioni della Padania in una situazione in cui i prodotti del lavoro quotidiano sono sistematicamente sfruttati e sprecati nella mafia e nell’assistenzialismo clientelare del Sud.

Lo Stato Italiano ha deliberatamente tentato di sopprimere le lingue e le identità culturali delle popolazioni della Padania attraverso la colonizzazione del sistema pubblico scolastico” [Dichiarazione dell’Indipendenza della Padania, settembre 15- 1996, in Tambini, 2001: 131].

È evidente che il nazionalismo della Lega sperimentava una decisa radicalizzazione. Tuttavia, esso si manteneva fedele a quei temi che in passato erano serviti già alla costruzione del Nord come soggetto politico e che avevano sollevato la questione settentrionale. Ma cosa ancora più importante, se era dominante soprattutto un riferimento agli interessi economici come fattore unificante delle popolazioni della Padania, era presente, però, anche un marginale richiamo a presunte peculiarità culturali e linguistiche delle popolazioni del Nord. Infine, era evidente il mantenimento dei nemici, necessari per rafforzare l’identità collettiva, come lo Stato ed il Sud.

Oltre alla dichiarazione di indipendenza e alla trasformazione del “Parlamento del Nord” in ‘Parlamento della Padania’, la Lega introduceva particolari simboli identificativi della nuova “nazione” e intraprendeva una serie di altre iniziative al limite della legalità. Il simbolo prescelto per l’identificazione della Padania era quello del “sole delle Alpi”. Quest’ultimo aveva un forte impatto simbolico. Infatti, secondo Oneto, sia il sole che il cerchio entro cui era delimitato erano due elementi presenti sia nella simbologia Celtica che in quella Cristiana [Oneto cit. in Albertazzi, 2006: 29]. Inoltre, il partito creava un nuovo organismo denominato Comitato di Liberazione della Padania e una sorta di milizia della nuova ‘patria’, ovvero le cosiddette camicie verdi. Nel maggio del 1997, infine, la LN avrebbe promosso un referendum riguardante l’indipendenza del Nord, in cui si chiedeva: “vuoi che la Padania diventi una repubblica federale, sovrana e indipendente?”. Il fatto che fossero rari i commenti riguardo alla mancanza di una coerenza nell’istituzione di un referendum per la secessione, successivo ad una dichiarazione di indipendenza, indica, secondo Tambini [2001: 132], che queste azioni avevano un carattere soprattutto simbolico ed erano finalizzate a mantenere elevato il livello di mobilitazione del movimento. Infatti, questo referendum

non aveva alcun tipo di valenza reale ma soltanto simbolica. D’altro canto tutte queste iniziative, a metà tra il folkloristico e l’illegalità, erano finalizzate soltanto a trasformare la Padania da “terra promessa” in “nazione reale” [Diamanti, 1996]. Infatti, come ricorda Smith [1971], i simboli, ma anche i miti comuni, le memorie condivise non fanno altro che rafforzare i confini della nazione, permettendo l’inclusione di alcuni e l’esclusione di altri. Non è poi importante che essi abbiano un fondamento storico, ma soltanto che riescano a suscitare sentimenti di identificazione tali da garantire una mobilitazione anche politica.

La fase di radicalizzazione del nazionalismo, però, sarebbe terminata nel 1998, anno in cui la Lega Nord avrebbe nuovamente moderato i suoi discorsi politici e le sue richieste costituzionali, sostituendo l’obiettivo della secessione con quello di devolution e successivamente di federalismo.

Questo nuovo obiettivo costituzionale si ricollegava al processo di decentramento, avvenuto in quegli anni in Gran Bretagna, che aveva condotto a riconoscere alla Scozia e al Galles maggiori poteri di autonomia. Tuttavia, la Lega non precisava bene i contenuti di questa sua nuova ambizione riformistica, che rimanevano, in maniera simile alle precedenti richieste del partito, del tutto ambigui. Essa, infatti, definiva la devoluzione in termini molto generali, come un processo che implicava “un trasferimento di poteri e di competenze legislative dal centro […] alla periferia” e che avrebbe potuto condurre “ad una trasformazione del sistema unitario in una nuova entità statale modellata sui principi federalisti” [Segreteria Politica Federale LN, 2002: 15]. Questo termine, però, ancora una volta aveva soprattutto un carattere simbolico, in quanto esso veniva associato prevalentemente al nazionalismo scozzese, che la Lega ricordava, in maniera del tutto utilitaristica, attraverso la “immagine marziale e celtica dell’eroe medievale scozzese William Wallace” [Huysseune, 2004: 228]. Non a caso, Bossi affermava: “Il programma della Lega prevede la devolution alla scozzese […] con la garanzia che una volta data quelle competenze restino al nord, garantite da un loro parlamento, così come avvenuto in Scozia” [Bossi cit. in Vandelli, 2002: 88]. Come sottolinea Vandelli “[…] l’equivocità lessicale e sintattica vale a tenere aperta l’ambiguità di fondo: la proposta di devolution in favore delle regioni esistenti sembra stemperarsi in una prospettiva futura incentrata sul parlamento del nord” [Vandelli, 2002: 88]. Inoltre, il termine devolution aveva anche un valore innovativo e tranquillizzante. Innovativo, perché veniva ricollegata alla riforma introdotta da Blair in Gran Bretagna, che aveva fondato il suo progetto politico sull’innovazione e la

modernizzazione; tranquillizzante, perché a tale termine non poteva essere associato alcun tipo di divisione traumatica del paese, visto che veniva adottata in una consolidata e coesa democrazia europea [Vandelli, 2002: 25-26].

In questo periodo, la LN riproponeva, con maggiore incisività, l’opposizione agli immigrati e introduceva anche le critiche alla globalizzazione e, come si vedrà meglio nella seconda parte della tesi, all’Unione Europea. In particolare, secondo il partito, gli immigrati e il processo di globalizzazione determinavano lo stesso tipo di problema, minavano l’omogeneità culturale della Padania. Se nei primi anni di esistenza, il partito era sempre stato il principale interprete del liberismo, adesso si rifaceva ad una sorta di “capitalismo protezionista”, in quanto si poneva come difensore degli interessi delle imprese del Nord dall’invasione dell’economia globalizzata e dall’attività delle multinazionali.

Negli ultimi anni, il partito avrebbe mantenuto sostanzialmente inalterati i contenuti dei suoi discorsi politici.

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