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2.1 Il deficit politico del nazionalismo galiziano

2.1.3 La dittatura Franchista, declino e rinascita del movimento politico nazionalista

La guerra civile spagnola, iniziata nel luglio 1936, si concluse nel 1939 con la vittoria delle forze golpiste guidate dal generale Franco. La dittatura franchista ebbe un effetto particolarmente deleterio sul nascente movimento politico nazionalista in Galizia. Maíz afferma che: “il franchismo implicò una radicale discontinuità, non solo nel consolidamento di un’organizzazione del nazionalismo galiziano stabile e radicata territorialmente e nella iniziale aggregazione del sostegno sociale propria degli anni della Repubblica, ma anche nella stessa fissazione e nello stabilimento di un quadro interpretativo equilibrato in termini di inclusione e di intensità. L’interruzione traumatica di un processo simile in fase iniziale, la correlativa inesistenza di una sub- cultura politica galleguista, di un hidden transcript racchiuso nell’ambito familiare o ecclesiastico, avrebbero ipotecato (a differenza della Catalogna e del Paese Basco) la sostantiva capacità di resistenza del movimento e implicato una drastica frattura

generazionale che si sarebbe tradotta nella perdita della memoria storica e della tradizione organizzativa ed ideologica del movimento, ridotto a circoli marginali e minoritari nel mondo della cultura” [Maíz, 2001: 294].

Il franchismo, soprattutto durante la prima fase, eliminò qualsiasi forma di dissenso al regime. Quest’ultimo si basava su un nazionalismo spagnolo di tipo conservatore e tradizionalista, ispirato a principi militaristi e fascisti. “La particolare concezione della nazione promossa dal regime era organicista; ovvero, la Spagna era intesa come un organismo vivente, un’entità naturale, la cui vera esistenza era stata minacciata dalla Seconda Repubblica” [Balfour e Quiroga, 2007: 37]. L’obiettivo del regime era quello di controllare e rinazionalizzare l’intera popolazione spagnola. Questo fu perseguito attraverso l’uso della violenza fisica e tramite una retorica costante, basata sui principi tradizionali dei fascismi di destra, quali la patria e la purezza. Naturalmente, tra coloro che venivano considerati nemici del regime rientravano i nazionalisti Catalani, Baschi e Galiziani. Contro ogni forma di espressione nazionalista sub-statale vennero attuate misure di eliminazione fisica e di omogeneizzazione culturale, basata sul divieto dell’utilizzo delle lingue minoritarie del Galiziano, del Catalano e del Basco [Balfour e Quiroga 2007, 38].

Come già accennato, l’impatto che il regime ebbe sul movimento nazionalista galiziano fu particolarmente deleterio, anche perché la Galizia fu uno dei primi territori ad essere controllato militarmente dalle forze franchiste. La repressione fu estremamente dura e selettiva [Maíz, 2001: 295]. Infatti le forze nazionaliste di destra, rappresentate dalla Dereita Galeguista, non subirono alcuna restrizione, mentre i progressisti furono perseguitati e, se non uccisi, costretti all’esilio.

A partire da quel momento, il nazionalismo sarebbe scomparso in Galizia, e ci sarebbero stati tentativi, da parte degli esiliati di mantenerlo vivo in America Latina. Tuttavia, già a partire dagli anni Cinquanta, il movimento galleguista in esilio, lontano e inconsapevole della reale vita politica in Galizia, avrebbe assunto posizioni massimaliste, giungendo a separarsi completamente dal movimento interno. Quest’ultimo avrebbe abbandonato qualsiasi forma di impegno politico, e guidato da Ramón Piňeiro, si sarebbe sempre di più concentrato sull’attività culturale, volta a recuperare e a trasmettere la memoria storica della cultura Galiziana. Maíz afferma che “il lavoro culturale si presentava così, non come complemento di una riorganizzazione politica del nazionalismo galiziano, bensì come sostituto della stessa: si abbandonava l’idea della costruzione di un partito nazionalista e anche la propria autodefinizione di

‘nazionalismo’ e si cercava, debilitando la dimensione politico-organizzativa del movimento, di ‘galleguizar’ la società” [Maíz, 2001: 295].

La riorganizzazione politica del movimento nazionalista galiziano sarebbe iniziata soltanto a partire dalla metà degli anni Sessanta, in concomitanza dell’indebolimento e della conseguente relativa apertura della dittatura franchista.

Il primo passo della mobilitazione politica era costituito dalla formazione del Concello da Mocedade (Consiglio della Gioventù), formato da correnti con ideologie tra loro estremamente differenti. Tale eterogeneità interna sarebbe stato il motivo della debolezza dell’organizzazione e all’origine della formazione di gruppi nazionalisti distinti, che avrebbero svolto attività politica in condizione di clandestinità [Maíz, 2001: 295]. “La breve esperienza del Concello da Mocedade sarebbe servita per far emergere e risolvere le tensioni esistenti tra la corrente culturalista, poco abituata ad una prassi politica antifranchista e orientata a favorire l’arrivo della democrazia, e quelle altre correnti, di segno maggiormente di sinistra, che anelavano la creazione di veri partiti clandestini, pronti a guidare e risolvere la fase di transizione dal franchismo alla democrazia” [Barreiro Rivas, 2003: 113]. Dallo scioglimento di questa organizzazione nascevano la Unión do Pobo Galego (UPG) e il Partido Socialista Galego (PSG), espressione delle due principali tendenze del nazionalismo galiziano interno [Maíz, 2001: 296].

L’UPG si affermava nel 1964 come organizzazione politica ispirata ai principi e all’ideologia marxista-leninista, espressione di un nazionalismo radicale ed esclusivo, orientato al raggiungimento dell’autodeterminazione della Galizia da realizzarsi tramite l’indipendenza della regione, o mediante la riorganizzazione in chiave federale o confederale dello stato spagnolo. In particolare, il partito dell’UPG considerava la Galizia come una nazione colonizzata e si proponeva come partito operaio marxista- leninista con il compito di organizzare le classi lavoratrici della Galizia, al fine di realizzare una rivoluzione nazional-popolare [UPG, 1999b: 49-51].

Il Partido Socialista Galego (PSG), invece, era orientato verso un’ideologia socialista, in aperta contraddizione con quella comunista e a favore del federalismo, inteso come alternativa al nazionalismo [Maíz, 2001: 296].

In realtà, l’organizzazione dominante in questo periodo era quella dell’UPG. Quest’ultima, al fine di allargare la sua base sociale, avrebbe dato vita alla Asamblea Nacional Popular Galega (AN-PG), un’organizzazione politico-sociale, aperta all’adesione dei diversi settori sociali. Quest’ultima sarebbe presto diventata il punto di

riferimento per nuove organizzazioni cultuali, ecologiste, femministe e pacifiste, nonché di sindacati, come il Sindicato Obreiro Galego, che a sua volta sarebbe risultato fondamentale negli anni successivi. La AN-PG avrebbe concorso nelle prime elezioni democratiche insieme all’UPG con la denominazione di Bloque Nacional-Popular Galego. Il suo funzionamento interno si basava su due elementi: un modello di decisione di tipo assembleare e l’inserimento di ciascun membro all’interno degli organismi sociali di base [Garcia Negro, 1999: 40-41]. Come sarà spiegato meglio in seguito, la AN-PG, però, sarebbe andata incontro ad una profonda crisi, dovuta sia all’egemonia esercitata dall’UPG, che alla trasformazione del contesto politico, che avrebbe fatto svanire l’idea di poter giungere alla definizione di uno stato apertamente plurinazionale.

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