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5. Dalla crisi di ottobre alla dichiarazione Nostra Aetate

5.2 De Ecclesia habitudine ad religiones non Christianas

Successivamente al clamore suscitato dalla stampa, la situazione si calmò. Fu chiarito che i propositi del pontefice erano molto diversi da quelli che, forse per opera indebita di Cicognani e Felici, erano stati fatti sembrare. Vennero certo formate due nuove commissioni, con alcuni membri esterni al segretariato, che avevano però il compito di riscrivere i testi partendo da quelli già preparati. Per quanto riguarda il documento De Iudaeis et de non Christianis, il cui titolo era divenuto infine, De Ecclesiae habitudine ad religiones non-christianas, senza riferimento esplicito agli ebrei, un nuovo testo venne presentato il 19 novembre, cui contribuirono ancora una volta G. Baum e J. Osterreicher, oltre che p. Bruno Hussars, il card. Bea, il card. Willebrands, il card. Köning, il gesuita Y. Congar, il teologo Charles Moeller e i padri J. Neuner, esperto in induismo, e

197 Ivi pos. 11359-11364

198 G. ALBERIGO, Storia del Concilio Vaticano II, vol. 4, p. 210 – originale in latino in Acta Synodalia vol. V par. 2 p. 777

199 H. KÜNG, La mia battaglia per la libertà, cit., pos. 11114 di 13667 200 Ibidem

P. Pfister, studioso della religiosità giapponese.

Questo testo201 si componeva di cinque paragrafi. Nel primo si considerava che nel tempo presente,

ovvero appunto, stando all'originale latino, “nostra aetate”, gli uomini e i popoli tendono sempre più a congiungersi e riunirsi: per questo, anche la Chiesa desidera ripensare il suo rapporto con i non- cristiani, con gli appartenenti ad altre culture e religioni. Prima di tutto, il documento stabilisce, come già si affermava nella bozza di maggio del cardinal Bea, che tutti gli uomini sono figli di un unico Dio, al quale, in diversi modi, tutti si rivolgono.

Tutti gli uomini infatti, nota il testo, si ritrovano di fronte a questioni esistenziali a cui non riescono a dare risposta: che cos'è l'uomo? Qual è il senso e il fine della vita?

Partendo da qui, il paragrafo 2 afferma: “Iam ab antiquo apud diversas gentes invenitur quaedam perceptio illius arcanae virtutis, quae cursui rerum et eventibus vitae humanae praesens est, immo aliquando agnitio Summi Numinis ac Patris”202. Questo avviene nello specifico, come si continua a

spiegare, ad esempio nell'induismo e nel buddismo. Più avanti, viene allora sancito un vero snodo cruciale sulla questione del rapporto con le altre religioni:

“Ecclesia catholica nihil eorum, quae in his religionibus vera et sancta sunt, reicit. Sincera cum observantia considerat illos modos agendi et vivendi, illa praecepta et doctrinas, quae, quamvis ab iis quae ipsa tenet et proponit in multis discrepent, haud raro referunt tamen radium illius Veritatis, quae illuminat omnes homines”203

Queste affermazioni, riprese nell'approvazione finale, costituiscono in effetti un decisivo punto di svolta. Si pensi solo ai precedenti dell'Unam sanctam di Bonifacio VIII (1302 - DS -1351): “Siamo costretti a credere che la chiesa sia una, santa, cattolica ed apostolica […] al di fuori della quale non c'è né salvezza né remissione dei peccati”, e della già citata Mystici Corporis di Pio XII: “con animo riboccante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi a quelle attuali condizioni, sulle quali non possono certo sentirsi sicuri della propria salvezza”204.

Certo questa seconda espressione tiene conto dell'idea, portata avanti all'epoca del Concilio di Trento, per cui anche coloro che non conoscevano Gesù e il Vangelo potevano avere in sé un desiderio di fede e di salvezza, a partire dal quale potevano pervenire alla conoscenza di Cristo. Nell'ambito del Concilio Vaticano I, si faceva largo la cosiddetta “teologia naturale” che dava risalto alle possibilità razionali umane di pervenire al divino. Come vedremo meglio più avanti, era dunque presente da molti anni nella Chiesa un'ampia e graduale riflessione teologica in merito alle capacità naturali dell'uomo di conoscere Dio e rivolgersi a lui, di cui risente il paragrafo qui considerato

201 In ACTA SYNODALIA vol. III par. 8, pp. 637-642

202 Ibidem: “dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre”

203 Ibidem: “La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”

204 PIO XII, Lettera enciclica MYSTICI CORPORIS CHRISTI, in https://w2.vatican.va/content/pius- xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_29061943_mystici-corporis-christi.html

della Dichiarazione, che pure poco più avanti ribadisce che la Chiesa deve comunque annunciare Cristo come “via, verità e vita” nei termini del vangelo di Giovanni (Gv 14,6).

Al paragrafo 3 la dichiarazione si rivolge ai musulmani verso cui la Chiesa afferma di nutrire stima, sulla base della loro concezione di Dio per certi versi assai simile a quella cristiana, oltre che per il fatto che riconoscono Gesù Cristo come profeta e sua Madre Maria, a cui si rivolgono nella preghiera. Non solo, ma si invita alla pace e alla concordia tra questi due popoli, cristiano e islamico, che pure in passato, come si ricorda, erano stati avversari.

Il quarto paragrafo torna dunque sulla questione de Iudaeis. Viene ribadita ancora una volta la comune origine e la comune salvezza in Cristo di giudei e gentili. Si ricorda ancora che gli ebrei rimangono amati presso Dio Padre secondo la promessa e si fa cenno all'ebraicità di Gesù, di Maria e dei discepoli. Ritorna qui anche il richiamo a non presentare in maniera negativa il popolo ebraico, nell'insegnamento e nella predicazione della Chiesa. Anzi è ribadito l'impegno che il Concilio assume per promuovere la reciproca conoscenza cristiano-ebraica. Viene infine stabilito una volta di più che la causa della Passione di Cristo furono i peccati di tutti gli uomini, e che dunque sia ingiusto imputare tale colpa ai giudei, sia del passato che del presente.

L'ultimo paragrafo riprende nelle intenzioni quel passo dell'ultima redazione del card. Bea che s'intitolava Omnis species discriminationis damnatur. Si torna infatti a stabilire la fratellanza di tutto il genere umano sulla solida base della comune paternità dell'unico Dio. Si ammonisce dunque tutti gli uomini e in particolare i Cristiani, ad astenersi dal provocare odio e persecuzioni, tra le persone e tra i popoli.

Il testo definitivo della dichiarazione Nostra Aetate, è a questo livello quasi ultimato, ma subirà ancora, come subito vedremo, alcune decisive modifiche.