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5. Essere Cristiani

5.1 La sfida delle religioni universali

Riguardo a questa seconda sfida, le riflessioni presenti in Essere Cristiani dimostrano una grande maturità e apertura all’orizzonte mondiale da parte di Küng. Il discorso inizia anche qui trattando il tema della salvezza al di fuori della Chiesa. Come nella conferenza di Bombay del ’64, ancora una volta Küng parte dal presupposto che la missione cristiana nel mondo è andata incontro ad un colossale fallimento, specie in Oriente, e che nessuna religione può oggi vivere più in uno “splendido isolamento”619.

Certo, constata anche che, a partire dal Vaticano II, si è iniziato a mettere in crisi l’idea che si potesse portare il messaggio cristiano, con i suoi connotati europei, indistintamente presso tutti i

popoli del mondo:

“si è registrata nei confronti delle religioni universali una svolta positiva, per cui, senza particolari rimorsi o atti di contrizione, si è passati dal precedente disprezzo a una stima almeno di principio, dal disinteresse alla comprensione, dalla propaganda allo studio e al dialogo”620

E questo è avvenuto in due modi in particolare registrati da Küng: da una parte, viene ridato valore al messaggio universale della Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Da questa rivalutazione esce una precisa immagine di Dio: “Dio creatore e conservatore di tutti gli uomini, Dio ovunque operante, Dio che ha stretto un patto di alleanza con l’umanità intera (Patto di Noè), Dio che secondo il Nuovo Testamento vuole la salvezza di tutti gli uomini indistintamente”621.

Proprio sulla questione della salvezza si gioca poi il secondo passo fondamentale che coinvolge non soltanto la figura di Dio, ma il ruolo delle diverse religioni, in una considerazione più universalista da parte della Chiesa:

“le si riconosce come vie di salvezza – se ‘straordinarie’ oppure ‘ordinarie’, è quanto i dotti discettano tra loro – per un numero incalcolabile di uomini, anzi forse per la maggioranza dell’umanità.

Religioni ‘legittime’, dunque, che in una determinata situazione sociale rappresentano di fatto l’unica possibilità religiosa; religioni le cui forme di fede e di culto, i cui concetti e valori, simboli e ordinamenti, esperienze spirituali ed etiche, hanno una ‘validità relativa’, un ‘relativo, provvidenziale diritto all’esistenza’”622

Fin qui, si tratta di quanto è stato già elaborato dalla riflessione contemporanea. Possiamo già cogliere un chiaro riferimento al pensiero di Rahner. Küng inizia a questo punto a presentare il suo punto di vista e lo fa, cominciando col rilevare “la ricchezza delle religioni”. L’analisi verte fin da subito sull’individuazione degli elementi comuni.

Il primo punto, rimane sulla linea della Nostra Aetate: rileva infatti che tutte le religioni si configurano come tentativi di risposta alle domande profonde e radicali dell’umanità, circa il destino di vita e di morte del singolo e l’origine e la fine del mondo. Oltre a riconoscere quindi ogni forma religiosa come espressione del comune anelito dell’uomo alla ricerca di senso, Küng afferma anche che “tutte le religioni, al di là di un’interpretazione del mondo, intendono anche tracciare una via pratica che dalla miseria e dallo strazio dell’esistenza conduca alla salvezza”623.

In ogni religione vi è dunque un tentativo di risposta, non semplicemente teorica, ma anche strutturata e organizzata a partire dalla problematicità della condizione umana in direzione di una possibile redenzione e salvezza.

Inoltre, Küng rileva una significativa comunanza sul piano morale, fra le diverse religioni:

“Tutte considerano peccato la menzogna, il furto, l’adulterio, l’omicidio e tutte enunciano una sorta di ‘regola aurea’ come criterio di validità generale: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”624. 620 Ivi p. 89 621 Ibidem 622 Ivi p. 90 623 Ibidem 624 Ibidem

Questa riflessione sugli elementi comuni, presenta due ulteriori punti conclusivi. Küng ritiene infatti che si possa trovare d'accordo tutte le religioni su una visione della divinità come “lontana e nascosta”, come qualcosa, in altre parole, che non si fa avvicinare dall’uomo nella sua naturale innocenza, ma soltanto tramite un processo di “purificazione e riconciliazione” e che per espiare le proprie colpe sono richiesti sacrifici, infine, che “solo attraverso la morte si raggiunge la vita”. Non solo, l’autore riconosce come comune a tutte tradizioni religiose anche la presenza di figure profetiche, in quanto “modelli di sapienza e di condotta” che da una parte conducono gli uomini verso una maggiore forza e una più profonda conoscenza della verità, e dall’altra, sono anche ispiratori per il “rinnovamento nella tradizione religiosa”625.

Su quali basi Küng fa queste affermazioni? E soprattutto, a quali religioni si riferisce?

Ciò viene subito chiarito nel prosieguo del discorso, in cui non si manca di notare che “è evidente, comunque, che ogni religione conserva i suoi caratteri distintivi e una sua particolare ricchezza”626.

Evidente certo, ma non scontato: la visione decisamente positiva che ha qui Küng delle religioni non-cristiane si presenta non solo come un grande lavoro di approfondimento fatto da un teologo cattolico su questo tema, che certo non era nuovo, ma già proprio di grandi teologi come ad esempio Ernst Troeltsch e Henri de Lubac, ma anche con toni di rispetto e considerazione che si erano sentiti raramente.

Hans Küng prosegue a questo punto, all’interno di un’opera il cui titolo, vale la pena di ricoradarlo, è Essere Cristiani, con una breve presentazione dei punti essenziali, o almeno da lui ritenuti tali, delle principali religioni diffuse nel mondo. Si inizia con quelle originatesi in India, cioè l’induismo da una parte e il buddismo dall’altra. Viene anzitutto individuato un nucleo comunque a queste tradizioni, costituito dal tentativo di superare la condizione di dolore e sofferenza in cui l’uomo vive attraverso un percorso di “liberazione/redenzione”.

L’induismo viene poi definito da Küng un “sistema religioso aperto, in divenire” caratterizzato da una “sconfinata apertura e tolleranza”, che lo rende capace di “accettare ed assimilare idee estranee”627. Possiamo qui riscontrare un implicito riferimento al pensiero del celebre filosofo

indiano contemporaneo Sarvepalli Radhakrishnan, presidente dell’India dal ’62 al ’67, con il quale Hans Küng aveva già avuto modo di confrontarsi personalmente alla conferenza di Bombay. Radhakrishnan, in numerosi suoi scritti, riflette sulla differenza tra oriente e occidente giungendo proprio alla considerazione che la tolleranza, anche in campo religioso, sia la principale la caratteristica del mondo orientale rispetto all'occidentale che ha derivato dai greci e dai romani un’attitudine, al ragionamento dogmatico ed esclusivo, una tendenza alla separazione piuttosto che all'unità e una prevalenza dell'agire sulla riflessione contemplativa. Nel saggio East and West in

religion, la prima valutazione di Radhakrishnan è che “Among living religions, still further, there is

none which has a Western origin”628, inoltre, fra oriente e occidente vi è una radicale differenza di

mentalità: da una parte, a occidente, prevalgono la razionalità e l’etica, il pensiero positivo e pratico, dall’altra invece, in oriente, si privilegiano l'interiorità e la spiritualità, il pensiero intuitivo

625 Ivi p. 91 626 Ibidem 627 Ivi p. 92

628 S. RADHAKRISHNAN, East and West in Religion, in D.W. MCKAIN (ed.), Christianity: some non-christian appraisals, Toronto, McGraw-Hill Book C., 1964, p. 19: “Tra le religioni viventi, fino a più lontano, non ce n'è nessuna che abbia un'origine occidentale”

e creativo. Di qui deriva secondo Radhakrishnan il fatto che il cristianesimo, diffusosi in occidente tramite la mediazione del pensiero greco, abbia assorbito da esso una “anxiety for definition and form”629 che l'ha portato a perdere la purezza della religione nel senso orientale: “In the East

religion is more the life of spirit. It is the perception of the oneness of man with the spirit of truth, love and beauty in the universe”630. Il cristianesimo ellenizzato è divenuto invece “an intelligent

religion [which] confuses pictures with proofs, mysteries with dogmas. For it, the objects of knowledge are ever the same, unvarying myth and symbol are only masks”631. La conseguenza di

questo è, secondo Radhakrishnan, che “absolutism results with its corollary of organization on the basis of a creed or a ritual”632. In questo modo, con l’integrazione all’interno del sistema imperiale

romano, la religione in occidente è divenuta un semplice strumento di controllo e organizzazione sociale, una sorta di instrumentum regni, qualcosa insomma, sembra suggerire l’autore, più attinente alla dimensione pubblica che alla sfera privata e interiore. Per provare il suo pensiero Radhakrishnan ritiene che basti confrontare l’insegnamento di Gesù con la prima forma di confessione cristiana, il Credo di Nicea (325 a. C.): si coglie qui subito questa necessità di canonizzare profonde verità religiose in dogmi logicamente complessi come quello della Trinità. Il risultato è quello di avere da una parte un Gesù che insegnava semplicemente un nuovo stile di vita, legato all’amore per il prossimo e al distacco dalle cose terrene, e dall’altra una Chiesa costruita sull’autorità del proprio magistero. La conclusione cui perviene il discorso, è comunque decisamente interessante: “When one religious faith becomes confused with dogmatic creeds, exclusiveness and intolerance become inevitable”633. Assolutismo e intolleranza occidentali, si

contrappongono allora all’apertura e alla tolleranza della religione così come sono concepite nel mondo orientale, che non sente il bisogno di dotarsi di una teologia definitoria, ma si accontenta dell’apertura indeterminata e creativa all’universo che ci circonda.

Küng tornerà più avanti nel testo a dialogare con questa concezione di Radhakrishnan. Prima però continua la sua presentazione della “ricchezza delle religioni” prendendo in considerazione il buddismo, “la religione più consistente al di fuori dell’area cristiana”634. Rilevante per questa

tradizione religiosa è l’individuazione di una “via mediana”, tra gli estremi del piacere e del dolore umani. Secondo l’insegnamento del Buddha la sofferenza umana è generata dal desiderio egoistico di autoaffermazione che deve dunque tendere ad estinguersi. Per fare questo il buddismo suggerisce una ottuplice via di liberazione, la quale da una parte, secondo Küng, si configura come una

theologia negativa, nella misura in cui tende ad un annullamento di sé, o per lo meno, della parte

del sé che costituisce la fonte di piaceri e delle sofferenze. In ultima analisi, questo percorso negativo si traduce tuttavia in una finale dimensione positiva: una sorta di Assoluto che si configura come una condizione di felicità nella meditazione.

629 Ivi p. 21: “ansia per la definizione e la forma”

630 Ivi p. 22: “In oriente la religione è più una vita dello spirito. È la percezione dell'unicità dell'uomo con lo spirito della verità, dell'amore e della bellezza”

631 Ivi p. 21: “una religione intellettuale [che] confonde le raffigurazioni con le prove, i misteri con i dogmi. Per essa, gli oggetti della conoscenza sono sempre gli stessi, invariati e i simboli sono solo delle maschere”

632 Ivi pp. 21-22: “ l'assolutismo ne risulta con il suo corollario di organizzazione a partire delle credenze e dei rituali” 633 Ivi p. 28: “Quando una fede religiosa si confonde con un credo dogmatico, l'esclusività e l'intolleranza diventano

inevitabili”

Il pensiero cinese, invece, stando alla presentazione di Küng, mette al proprio centro “l’armonia dell’universo”635 e questo lo fa nelle sue due principali forme storiche: il confucianesimo e il

taoismo. L’etica confuciana appare in questa presentazione come concentrata sui rapporti interumani e improntata a seguire il tao, la via. Il tao si compone poi di una parte maschile, yang, che rappresenta appunto il cielo, e di una parte femminile, yin, che rappresenta la terra, i quali costituisicono le “forze polari del mondo”636. Il cielo rappresenta “la personificazione dell’ordine

cosmico” a cui deve tendere la via (o tao). Le virtù confuciane per eccellenza sono la “pietà religiosa”637, la rettitudine, il decoro, la sapienza, ovvero la conoscenza del volere del cielo, e la

lealtà. Infine, il perseguimento della regola aurea che in Confucio suona: “quello che tu stesso non desideri, non farlo neppure agli altri uomini” (Dialoghi 15,23). Küng apprezza anche la dimensione pubblica del confucianesimo, fatta di sacrifici e altre funzioni sacre.

Se il confucianesimo offre una posizione centrale all’uomo, il taoismo, che pure concorda sulla concezione del tao come formato dai principi polari yin e yang, prescrive invece “l’integrazione dell’uomo nel cosmo”638, al fine di trovare in esso la propria posizione, piccola o grande, e così

vincere la morte.

Küng nota infine che il taoismo viene praticato in Cina a fianco del buddismo e che, tuttavia, entrambe queste tradizioni sono in crisi rispetto all’emergere dell’ideologia maoista (l’opera risale infatti al 1974).

Passa poi a trattare dell’Islam, che giudica “la più giovane, la più elementare, ma anche la meno originale delle religioni abramitiche”. Questo a partire dal fatto che il nucleo fondamentale della sua dogmatica è costituito dalla professione di fede: “Non c’è altro Dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo profeta”639 e su cinque prescrizioni di ordine etico-religioso: la stessa professione di fede, la

preghiera quotidiana, l’elemosina verso i poveri, il digiuno nel mese di Ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca. Infine, va considerato anche l’elemento della completa sottomissione al volere di Dio cui lo stesso nome “islam” rimanda. A questo va aggiunta una concezione del divino che, a parere di Küng, è “capace di scavalcare le barriere razziali e […] di casta”640. In questo testo del ’74 Hans

Küng descrive la religione islamica anche come sostanzialmente immune da scissioni e spaccature interne, “eccettuata la scissione, risalente alla generazione dopo Maometto, in tre (oggi soltanto due) confessioni (ai sunniti, la stragrande maggioranza, si contrappone la piccola setta degli sciiti, soprattutto in Persia)”641. Infine, vengono riconosciute all’islam eccezionali doti di coesione,

resistenza ed espansione. Questo comunque rende tale religione importante sul piano politico: Küng non manca di notare che è in atto una “riscossa nazionale degli stati arabi”642.

635 Ivi p. 93 636 Ivi p. 94 637 Ibidem 638 Ibidem 639 Ivi p. 95 640 Ibidem 641 Ibidem 642 Ivi p. 96