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5. Essere Cristiani

5.3 Un nuovo senso all'ecumenismo

Non più dunque un ecumenismo che cerchi semplicemente di porre in accordo la dottrina della giustificazione della più recente teologia dialettica protestante con le assunzioni della tradizione cattolica sulla redenzione divina: quanto tentato e in buona parte riuscito ad Hans Küng con la sua tesi di dottorato su questo tema, nel 1957. Non più nemmeno un’accezione di ecumenismo come quella coniata da Barth nel 1966, e indicata già prima dal Segretariato per l’Unità dei cristiani sullo stimolo di Giovanni XXIII, in base alla quale il vero problema ecumenico per il cristianesimo, era in effetti il suo rapporto con l’ebraismo. Questa seconda possibilità era stata accolta da Küng nel testo La Chiesa.

Dalle pagine di Essere Cristiani emerge invece una nuova prospettiva: quella di un ecumenismo che sappia cogliere la sfida delle religioni universali. In questa nuova teologia ecumenica, secondo Küng, il cristianesimo, o meglio, “l’esistenza cristiana”, può divenire un “catalizzatore critico”666,

ovvero un luogo di confronto e arricchimento, a partire dalla propria esperienza. Questo per difendere ogni religione dall’indifferentismo, dai pericoli interni ed esterni che la minacciano nel contesto del mondo moderno. Per percorrere questa strada, come viene ribadito ancora una volta, si devono escludere sia “l’arrogante dominio di una religione che con una mentalità missionaria, esclusiva, disprezzi la libertà”, sia “una sincretistica mescolanza di tutte le religioni tra loro inconciliabilmente divergenti”667. 661 Ivi pp. 104-105 662 Ivi p. 105 663 Ivi p. 106 664 Ibidem 665 Ibidem 666 Ivi p. 112 667 Ivi p. 113

La via di Küng, è invece la seguente:

“Un autonomo e altruistico servizio cristiano per gli uomini che vivono nelle religioni, propiziato da un’apertura che sia ben più di un condiscendente accomodamento: un’apertura che non rinneghi le proprie convinzioni di fede, ma neppure imponga determinate risposte; che dalla critica esterna tragga spunto per un’autocritica, appropriandosi nel contempo ogni elemento positivo; che non distrugga nulla di ciò che c’è di valido nelle religioni, ma neppure assimili acriticamente qualcosa che sia destituito di valore. Il cristianesimo deve svolgere il suo servizio tra le religioni del mondo operando una sintesi dialettica tra riconoscimento e rifiuto: come catalizzatore critico e punto di cristallizzazione dei loro valori religiosi, morali, meditativi, ascetici, estetici”668

Sono numerosi gli elementi significativi presenti in questa formulazione conclusiva. Anzitutto il tema del servizio, che abbiamo visto essere centrale nella riflessione di Küng. Un servizio reso all’uomo, che tiene conto della profonda dimensione umana che sta alla base di ogni fenomeno religioso: un’umanità che non può essere dimenticata a scapito di una religione eccessivamente dogmatica e soprannaturale, che rischia di non reggere al confronto con l’umanesimo moderno capace di offrire una speranza apparentemente molto più concreta per il miglioramento delle condizioni di vita. Karl Barth avrebbe sicuramente ribattutto a questo punto che la religione non deve abbassarsi al livello delle ideologie e scendere a patti con il loro tentativo di soddisfare i desideri umani. Küng è certamente consapevole di questo problema, e tuttavia, ritiene che il messaggio cristiano possa mostrare la propria peculiarità e anche la propria superiorità, facendosi contemporaneamente portatore e “catalizzatore”, delle diverse aspirazioni dell’umanità e delle sue varie forme di religiosità. Il cristianesimo dovrebbe infine, secondo Hans Küng, rivendicare, non tanto la propria “esclusività”, quanto la propria “unicità”, in una ricerca della verità che si fa a questo punto “comune”.

In questa prospettiva, suggerisce Küng, il cristianesimo potrebbe anzitutto essere utile all’islam nel condividere i risultati della propria esegesi storico-critica come metodo per una nuova analisi e una rinnovata scoperta del Corano. E ancora, potrebbe essere d’aiuto al mondo induista per superare la sua visione fatalista della realtà, data dalla concezione ciclica che ha, per tradizione, della storia e del mondo. Questo dovrebbe portare anche un superamento, già auspicato da Gandhi, del sistema politico-religioso delle caste, ormai inconciliabile sia con il modello di sviluppo capitalistico sia con la promessa comunista di liberazione delle classi lavoratrici. Un confronto fecondo con il cristianesimo potrebbe essere utile ancora al buddismo per andare oltre il suo “pessimismo cosmico”669 che vede la realtà in maniera sempre sostanzialmente negativa, considerandola la

superficie apparente della vera essenza delle cose, secondo la celebre concezione del velo di maya. Infine, l’esperienza cristiana potrebbe suggerire al confucianesimo una strada per superare il proprio rigido tradizionalismo che lo rende inerme nei confronti della spinta maoista degli ultimi anni in Cina.

“Non v’è dubbio che da tale incontro critico-costruttivo le religioni asiatiche rimaste maggiormente isolate nel corso della storia potrebbero trarre molteplici atteggiamenti. D’altra parte anche il cristianesimo non avrebbe che da guadagnare”. L’islamismo, ritiene Küng, potrebbe ad esempio

668 Ivi p. 114 669 Ivi p. 110

riportarlo ad una maggiore considerazione dell’unicità di Dio, rispetto a tutta una serie di divnità secondarie e “paradivinità” che la tradizione cristiana è andata assumendo nel corso della sua storia. Ancora, il cristianesimo potrebbe trarre vantaggio dall’immagine di Dio “trasparente”670,

indeterminata che presentano le religioni dell’Oriente, allo scopo di attenuare la sua, a volte eccessivamente paterna e personalistica, visione del divino. Inoltre la centralità dell’umano propria del confucianesimo cinese sarebbe utile al pensiero cristiano per lenire la sua natura metafisica di derivazione ellenica che lo porta spesso a privilegiare le concezioni teoriche sulla concreta opera di servizio all’umanità. L’islam potrebbe anche, secondo Küng, insegnare ai cristiani una miglior gestione del “problema razziale”. Questa idea deriva sicuramente all’autore della prevalenza che per gli islamici ha la fede in Dio su ogni appartenenza geografica.

Infine, anche un confronto costruttivo tra il concetto di Nirvana e quello di Regno di Dio porterebbe sicuramente a risultati fecondi per entrambe le tradizioni religiose coinvolte.

Del resto, la conclusione di Küng è che l’errore più grande sarebbe quello di legare il cristianesimo in maniera esclusiva al cattolicesimo romano:

“il cristianesimo non è semplicemente la religione dell’Occidente. Agli albori della Chiesa cristiana si ebbe un cristianesimo palestinese e greco, romano e africano, copto ed etiopico, spagnolo e gallico, alemanno e sassone, armeno e georgiano, irlandese e slavo […] Forse che l’Oriente non offre categorie di pensiero e di atteggiamento, strutture e modelli su cui il cristianesimo non offre categorie di pensiero e di atteggiamento, strutture e modelli su cui il cristianesimo, fin qui pensato e vissuto in base a schemi occidentali, si adagerebbe altrettanto bene? […] Non si dovrebbe fondamentalmente e praticamente distinguere, nell’induismo, nel buddismo, nel confucianesimo, nel taoismo e nell’islamismo, tra i contenuti religiosi, inaccettabili per il cristiano, e quelli culturali, pienamente accettabili? Non si dovrebbe ammettere che certe forme di induismo, di buddismo, di mistica islamica hanno penetrato in modo incomparabilmente più profondo dei greci o anche della ‘teoria critica’ le verità neotestamentarie [?]”671

In conclusione, ribadisce Küng, “ci occorre una Chiesa ecumenica non più e non solo in senso strettamente ecclesiale-confessionale, ma anche cristiano-universale”672. Il senso di tale

ecumenismo dovrà andare nella direzione della critica e autocritica finora presentate, con un’ultima, fondamentale indicazione metodologica: “più che i semplici concetti, le idee, i sistemi, contano gli uomini con le loro esperienze vissute”673. Questo proposito dev’essere attuato secondo due

principali direzioni. Anzitutto, per comprendere se stesso, il cristianesimo, come qualsiasi altra religione, non potrà più fare riferimento soltanto alla tradizione e ai testi classici, ma dovrà porsi a confronto con il contesto in cui vive, con il mondo moderno: “le religioni non sono monumenti storici che solo pochi eruditi possono studiare e intendere […] Sono invece vitali atteggiamenti di fede che uomini reali rivivono in forme sempre nuove nel corso della storia”674

In conseguenza di questa riflessione, il secondo punto metodologico suggerito da Küng è di non orientare il confronto e il dialogo su un piano teorico, “a tavolino”, che ricerchi elaborate soluzioni astratte, quanto piuttosto, proprio partendo dal contesto umano e storico di appartenenza, dalle

670 Ivi pp. 110-111 671 Ivi pp. 115-16 672 Ivi p. 116 673 Ivi p. 118 674 Ibidem

“esperienze concretamente vissute”: “Senza simili esperienze un ripensamento creativo è impossibile, una nuova sintesi ecumenica rimane pura teoria, un cristianesimo veramente universale si riduce a un elegante postulato”675.