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5. Essere Cristiani

5.2 Oltre Rahner e Barth

Questa breve, se pur significativa, presentazione delle principali altre religioni si conclude con una considerazione altrettanto importante: “la religione esiste realmente solo nelle religioni. E le religioni si dovrebbero conoscere quando si vuole parlare di religione”643. Hans Küng rivolge a

questo punto un’apera critica al “cristianesimo anonimo” di Rahner:

“Il problema è dunque risolto? Oppure è solo nella testa dei teologi che le masse degli aderenti alla religioni non cristiane stanno marciando verso la santa Chiesa romana? […]

La volontà di coloro che sono ‘al di fuori’ non va ‘interpretata’ secondo i propri interessi, va semplicemente rispettata”644

Küng vede in qualche modo la soluzione rahneriana come l’ultimo, estremo, tentativo da parte della Chiesa, di inglobare a sé coloro che sono fuori, di fronte al quale questi stessi appartenenti ad altre tradizioni religiose non potranno che ribellarsi e ribadire la propria peculiarità ed estraneità nei confronti del cristianesimo. Parlare di “cristiani anonimi” non è dunque un modo di venire incontro alla sfida delle religioni non-cristiane, quanto piuttosto di aggirare questo stesso problema tramite un espediente teorico: “Non si può sottacere che una dilatazione pseudo-ortodossa di concetti cristiani quali Chiesa e salvezza rappresenta tutto fuorchè un modo di raccogliere la sfida delle religioni universali”645. Inoltre, conclude Küng, un tale allargamento indifferenziato del messaggio

cristiano finirebbe per alterarlo nel proprio nucleo essenziale. Su questo punto sono del tutto legittime le preoccupazioni di stampo conservatore: ampliando teoreticamente in maniera così vasta il concetto del cristianesimo si rischierebbe di snaturarne l’essenza, finendo per equipare Gesù con uno dei profeti dell’Islam o con “l’Avatara degli induisti”646.

Il concetto di “cristiani anonimi” è dunque problematico in due sensi, in primo luogo perché non rispetta la peculiarità delle altre religioni, inoltre, perché finisce, in ultima analisi, per svilire la peculiarità del cristianesimo stesso.

Se fin qui l’obbiettivo della polemica era il pensiero di Karl Rahner, poco più avanti, Küng si pone criticamente anche nei confronti di Karl Barth:

“non si può semplicemente decretare, nel segno di una ‘teologia dialettica’ dogmatica, senza una più ravvicinata conoscenza e analisi del mondo reale delle religioni, che la religione non è altro che una teologia naturale, un orgoglioso e peccaminoso ergersi contro Dio, se non addirittura una forma di incredulità, e che il cristianesimo non è una religione”647.

In altre parole, è troppo facile tirare fuori il cristianesimo dalla partita affermando che non si tratta di una religione, e che, come scriveva Barth ne L’Epistola ai Romani, ogni religione è un tentativo fallito di costruire una via umana a Dio. Questa considerazione sommaria risulta inefficace nel momento in cui il confronto con le altre religioni, come avviene nella società contemporanea, diventa ineludibile.

Escluse dunque le diverse possibilità di evadere la sfida che gli viene rivolta dalle religioni, Hans

643 Ibidem 644 Ivi pp. 97-98 645 Ivi p. 98 646 Ibidem 647 Ivi p. 99

Küng invita a questo punto il cristianesimo a raccogliere come soggetto tale sfida, divenendo protagonista del dialogo interreligioso. Si instaura così, o sarebbe auspicabile che si instaurasse, secondo Küng, una “sfida reciproca”648, in cui ogni religione è certo consapevole delle proprie

ricchezze, del proprio “nocciolo”649, ma anche capace di autocritica rispetto ai propri punti deboli e

difettosi, ai propri problemi e alle proprie concezioni erronee. E qui il discorso passa dalla considerazione degli elementi comuni, all'analisi dei punti di discrepanza fra le diverse tradizioni religiose: vi sono differenze prima di tutto interne a quelli che potrebbero apparire delle similarità. Così se “figure profetiche” si possono ritrovare in ogni forma di religione, un occhio più attento vedrà che, tuttavia, l’asceta indiano presenta delle caratteristiche assai diverse rispetto al pensatore cinese o al profeta della tradizione ebraica. Anche il tema della liberazione/redenzione dell’uomo, viene risolto da ogni dottrina modo proprio e peculiare: l’esperienza del Nirvana si distingue infatti nettamente ad esempio dalla via del tao o dalla sottomissione islamica. Altre differenze sono poi rilevate da Küng su un piano pratico-rituale. Per esempio a proposito simbologia sessuale in cui troviamo da una parte, nell'induismo, la “prostituzione sacra del tempio” e dall'altra, nel cristianesimo la consacrazione del tempio”650, o ancora il simbolo fallico del lingam rispetto alla

croce di Cristo. Da questo punto in poi Küng inizia a presentare il cristianesimo come portatore di una tradizione positiva ed evoluta, che può costituire un esempio per altri sistemi religiosi. La ragione di questo si capisce forse a partire dalla polemica che qui rivolge al pensiero di Sarvepalli Radhakrishnan. Per presentare la propria visione di un induismo tollerante, il presidente indiano era solito usare la seguente, celebre parabola indù:

“C'era una volta, così racconta Buddha, un re di Benares che, per divertirsi, fece venire alla sua presenza alcuni mendicanti ciechi dalla nascita e promise un premio a colui che fosse riuscito a fargli la miglior descrizione di un elefante. Il primo mendicante che esaminò l'elefante inciampò in una sua zampa e riferì che l'elefante doveva essere un tronco d'albero. Il secondo, che s'era aggrappato alla proboscide, dichiarò che l'elefante era come una grossa gomena. Un altro, che l'aveva afferrato per un orecchio, assicurò che l'elefante assomigliava ad una foglia di palma, e così via. I mendicanti cominciarono a discutere litigando, mentre il re se la godeva un mondo”651

Questo racconto diviene un valido esempio per sostenere la legittimità del pluralismo nel dialogo interreligioso. Fuor di metafora, questi ciechi possono infatti rappresentare le diverse forme religiose umane, che tutte assieme si avvicinano al divino, o comunque ad una prospettiva di liberazione/salvezza, ognuna arrivando ad una differente conclusione: si tratta in fondo del medesimo fine a cui si tende, tramite una varietà di differenti vie.

“E se un cieco, prendesse un tronco d’albero per un elefante?”, ribatte tuttavia Küng. In altre parole, anche in questa visione è implicito un rischioso livellamento del valore di ciascuna delle religioni, nella varietà della loro tradizione: “illegittimo è semplificare questa concordanza, livellare le diversità, assolutizzare la complessa esperienza religiosa interiore”652.

La critica rivolta a Radhakrishnan è dunque, non diversamente da quella nei confronti di Rahner, di

648 Ivi p. 100 649 Ibidem 650 Ivi p. 106

651 H. KÜNG, Cristianità in minoranza, cit., p. 7 652 H. KÜNG, Essere Cristiani, cit., p. 103

passare da un possibile pluralismo a un effettivo inclusivismo, in questo caso di matrice induista. Si tratta, in altre parole, di una “tolleranza qualificata, appunto specificamente induista (fondata sull’autorità del vedanta)”, la cui conseguenza inidiretta finisce per essere che “l’induismo assorbe tutte le altre religioni”653

Infine Küng contrappone alla parabola indiana di Radhakrishnan un’acquisizione di Karl Jaspers secondo la quale “la storia dell’umanità è costellata di personalità determinanti, di ‘uomini normativi’”654, fra i quali Buddha, Confucio, Socrate e Gesù. Si tratta di figure normative in quanto

hanno “rivelato l’estrema ampiezza delle possibilità umane, fissando per l’esistenza dell’uomo nuovi incontrovertibili criteri, che nel corso dei millenni hanno influenzato l’atteggiamento interiore di molti uomini in misura e con una profondità straordinarie”655. Infatti, scrive Jaspers:

“Noi li penetriamo a fondo con il nostro sguardo. Ci educhiamo ad intenderli affinché essi ci educhino e ci conducano al nostro io autentico. Essi ci dicono ciò che risponde alle nostre domande e parlano con noi nel modo in cui cerchiamo di intrattenerci con loro. Essi divengono modelli e le loro idee possibilità preformate. Nel nostro slancio siamo spinti a conoscere quei grandi che sono anche gli uomini più originari, a cercar di percorrere insieme a loro il loro pensiero, a vederli di fronte a noi. Osserviamo come abbiamo imitato, dapprima senza accorgercene, quegli uomini venerati, come tendiamo a renderci loro pari”656

Questo perché, come spiega più avanti: “Gli uomini nella loro grandezza sono stati sempre visti come figure mitiche e hanno trovato un loro seguito”657.

Dalla riflessione di Jaspers possiamo desumere che tutte le grandi religioni e filosofie umane, non sono accomunate tanto da un medesimo fine, quanto piuttosto dal fatto di possedere sempre una figura umana di riferimento, in base alla quale orientarsi a partire dalla propria umanità. Questa concezione viene assorbita da Küng come passaggio fondamentale del proprio ragionamento. Ogni religione viene così a costituire un modello di umanità, anzi una via di umanizzazione. A partire da questo, non è possibile nessun livellamento fra le religioni: non siamo infatti di fronte a uomini ciechi che camminano verso una comune direzione, ma bensì a “uomini normativi”, che indicano, in tutta la loro peculiarità, un determinato cammino di umanità, radicalmente alternativo a qualsiasi altro: “l’uno accanto all’altro, difformi e incociliabili, nel singolo uomo che ripercorre contemporaneamente tutti i loro itinerari”658. Seguire l’uno, non è come seguire l’altro, “è

giocoforza, quindi, prendere una decisione”659.

A questo punto, si pone anche il tema della verità, con altrettanta importanza che quello della salvezza: “non solo tra le religioni dell’Occidente, ma anche tra quelle orientali, il problema della verità non può essere eluso o minimizzato”660. Dunque, conclude Küng, è necessario “un confronto

critico e autocritico con le altre religioni, il cui criterio non può risiedere nella compassione, ma esclusivamente nella verità: una diagnosi delle religioni universali, non per giudicare, ma per

653 Ibidem

654 Ibidem, riferimento a K. JASPERS, Die Grossen Philosophen, München, Piper, 1964, trad. it. di F. Costa, I Grandi filosofi, Milano, Longanesi, 1973

655 H. KÜNG, Essere Cristiani, cit., p. 103 656 K. JASPERS, I Grandi filosofi, cit., p. 120 657 Ivi p. 125

658 H. KÜNG, Essere Cristiani, cit., p. 104 659 Ibidem

aiutare”661.

In questo senso, il cristianesimo stesso può essere per le religioni orientali, specie per l’induismo uno stimolo a un’autoriflessione critica. In che direzione? Secondo un processo già avviato che mira “a rafforzare il monoteismo, a debellare l’idolatria, a impegnarsi per riforme sociali e per un moderno sistema educativo”662. Küng nota ad esempio come il concetto di “pace” proprio del

cristianesimo, sia venuto utile recentemente al mondo buddista nella sua propaganda. Inoltre, a costituire una sfida per le altre religioni, non è tanto la religione cristiana in generale, ma quanto sta avvenendo al suo interno nel momento presente, ovvero: “l’intero processo di riforma e di rinnovamento, ossia di concentrazione, approfondimento, interiorizzazione e al tempo stesso di apertura e di unificazione, in cui oggi è impegnata su vasta scala la cristianità”663.

Questo anche perché è stata la prima tradizione religiosa a dotarsi di una vera e propria teologia scientifica, della quale avrebbero bisogno anche le altre religioni, secondo Küng, “in chiave moderna”664. Questo per tendere verso una teologia che si faccia carico anche delle acquisizioni

provenienti dalla storia, dalla fenomenologia, dalla psicologia e dalla sociologia, e che a partire da .questo sia in grado di porsi in un dialogo interreligioso costruttivo. Insomma, conclude Hans Küng, dovrebbe trattarsi di “una teologia ecumenica, nella più ampia accezione del termine”665.