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1. Chi è Hans Küng

1.2 Hans Küng a Roma

Uno spirito naturalmente combattivo che non ebbe però un'immediata occasione di combattere? Sicuramente così può apparire il giovane Küng, e del resto le sue battaglie erano non molto lontane dal cominciare. Nel 1948, la guerra è ormai terminata e l'Europa vive una difficile ricostruzione. Hans Küng è un giovane brillante di vent'anni con grandi doti intellettuali che ha appena conseguito la maturità classica al liceo ginnasio cantonale di Lucerna. Incoraggiato dal sacerdote viceparroco di Sursee Franz Xaver Kufmann e dalle informazioni del professor Alois Schenker, decide, con

l'amico Otto Wüst, di iscriversi al Pontificium Collegium Germanicum di Roma, uno dei seminari in assoluto più antichi e rinomati per la formazione dei sacerdoti cattolici, fondato nel 1552, regolato fin dall'inizio in base a una rigida e tradizionale disciplina gesuitica frutto dell'opera riformatrice di Ignazio di Loyola. Del resto, lo spirito di Küng non sembra per niente combattivo al momento della partenza:

“Sono andato a Roma in piena libertà ben sapendo quello che mi attendeva: un'educazione nel severo spirito tridentino, per sette anni interi, durante i quali avrei potuto ritornare a casa al massimo un paio di volte. Per quanto possa oggi apparire loro sorprendente, mi interessava proprio il contrario della vita mondana e della grande libertà, che fino ad allora avevo goduto. Volevo soprattutto una profonda educazione scientifica, che ritenevo mi avrebbe garantito la Pontificia Università Gregoriana in sei semestri di filosofia e otto di teologia”423

E questi anni trascorsi a Roma risulteranno più di ogni altra cosa determinanti nella formazione di

420 H. KÜNG, La mia battaglia per la libertà, cit., pos. 265 di 13667 421 Ivi pos. 336-344 di 13667

422 Ivi pos. 373 di 13667

Küng: “Le decisioni fondamentali non sono state prese, come spesso è stato detto, a Parigi o in Germania, ma a Roma”424. Dagli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, egli afferma di aver tratto i

tre insegnamenti fondamentali della propria vita: “la norma suprema del mio comportamento e del mio agire non può essere una qualsiasi autorità o disciplina terrena, mondana o ecclesiastica, ma soltanto - se mi concedono l'espressione patetica, ma molto precisa – la volontà di Dio nei miei confronti. Poi il cristocentrismo, cioè la crescente concentrazione sulla persona di Gesù Cristo, nella quale scopro concretamente la volontà di Dio […] Infine, per quanto riguarda la vita nel mondo e nella società di oggi: l'indifferenza attiva in tutte le cose terrene”425. Questo terzo principio risulta

comunque il più curioso. Che cosa significa indifferenza attiva? Küng la descrive come: “l'attribuzione di un uguale valore di fondo a tutte le cose del mondo, a tutto ciò – se vogliono – che non è Dio”426. Questa definizione sembrerebbe suggerire che il credente, o per lo meno il credente

Küng, riponendo la propria fondamentale fiducia in Dio, assume un atteggiamento di distacco dalle cose mondane, che certo osserva con positività e attenzione, accompagnate però anche da indifferenza e relativismo, cosciente del fatto che “esse possono e devono venire usate nella misura in cui ci aiutano a raggiungere il fine che ci siamo proposti, ma in certe circostanze, se costituiscono un impedimento, dobbiamo anche sapervi rinunciare”427.

Se guardiamo all'esistenza di Hans Küng non possiamo certo ritenere che abbia rinunciato ad alcuna delle sue convinzioni, né a nessuno dei suoi ideali. Ciò a cui eventualmente rinunciò fu la possibilità di avere un ruolo e una carriera all'interno della sua Chiesa, vedendosi invece revocare, nel 1979, dalla Congregazione per la dottrina della fede, la missio canonica, ovvero la possibilità di insegnare teologia cattolica. Il suo peccato? La critica alla Chiesa, certo rivolta con uno spirito costruttivo e riformista, e caratterizzata da un vivo interesse per le questioni ecumeniche, era sicuramente stata la cifra delle opere di Küng, già prima del Concilio: oltre alla tesi di laurea sulla giustificazione, si ricordino i testi Riforma della Chiesa e Unità dei cristiani (1960), e Strutture della Chiesa (1962). Nella primavera del 1963, forte dell'esperienza della prima sessione conciliare, Hans Küng prese un volo per gli Stati Uniti, dove lo aspettavano numerose conferenze e perfino un incontro con il presidente Kennedy. Particolarmente significativa, nei suoi ricordi, fu la conferenza che tenne al Boston College, il 17 marzo, di fronte a circa trecento persone. Il tema? La libertà nella Chiesa. “Molto interessante! So che c'è la Chiesa, so che c'è la libertà; ma non sapevo che ci fossero la Chiesa e la libertà insieme”428, commentò allora a caldo un professore di studi ebraici presso la Yale

University. Ma per Küng la questione della Chiesa non è risolvibile semplicemente sul piano superficiale della realtà dei fatti. Già in Strutture della Chiesa era comparsa la dicotomia tra la Chiesa così come dovrebbe essere, a partire dalla teoria, e la sua reale repraesentatio determinatasi nel corso della storia. Abbiamo poi considerato la differenza, posta da Barth, ancora una volta tra una Chiesa reale e una Chiesa possibile, la Chiesa di Esaù e la Chiesa di Giacobbe. Anche l'impostazione della conferenza di Küng al Boston College si orienta secondo questa prospettiva dialettica:

“tutto quello che nella chiesa si manifesta incontestabilmente come illibertà, non è la rivelazione della buona e luminosa essenza della chiesa, bensì la rivelazione della sua anti-essenza, malvagia e oscura. A partire dal messaggio su cui si fonda la chiesa dovrebbe piuttosto esserci, nella sua più intima essenza, uno spazio di 424 Ibidem

425 Ivi pp. 141-42 426 Ivi p. 142 427 Ibidem

libertà. […] In base alla mia esperienza sono consapevole che questa libertà nella chiesa è continuamente da conquistare. È per questo che parlo quindi della libertà come dono e come compito, un compito notoriamente difficile: infatti la minaccia della libertà che proviene dall'interno è molto più insidiosa della minaccia che proviene dall'esterno”429

Nel prosieguo del discorso, sempre per come ne riferisce nella sua autobiografia, questa libertà inizia a caratterizzarsi prima di tutto come libertà di coscienza, di parola e di azione, l'una come derivata dall'altra. L'obbiettivo polemico fondamentale è la Congregazione che allora si chiamava ancora Sant'Uffizio e i suoi metodi coercitivi: “è urgentemente necessario che la Chiesa si sbarazzi chiaramente dei metodi di uno stato totalitario”. Ritorna infine un richiamo all'unità, nel suo vero significato: “Unità, non uniformità, unitas non uniformitas; un centro, non il centralismo”430.

Nel concreto, Hans Küng delinea un programma che già ben chiarisce gli sviluppi successivi del suo pensiero e della sua opera:

– “Libertà in primo luogo nella liturgia: un solo Dio, un solo Signore, un solo battesimo, una sola eucarestia. Ma: diversi riti, diverse lingue, diversi popoli, diverse comunità, forme di religiosità, preghiere, canti, paramenti, stili artistici

– Libertà in secondo luogo nel diritto canonico: un solo Dio, un solo Signore, una sola chiesa, una sola guida. Ma: diversi ordinamenti ecclesiali, diversi ordinamenti giuridici, diverse nazioni, diverse tradizioni, sistemi amministrativi, consuetudini.

Libertà in terzo luogo nella teologia: un solo Dio, un solo Signore, un solo Evangelo, una sola fede. Ma: diverse teologie, diversi sistemi, diversi stili di pensiero, strumenti concettuali, terminologie, diversi teologi”431

Va considerato che questo discorso venne tenuto a Boston davanti ad una platea prevalentemente cattolica, che tuttavia contava anche esponenti di altri credo e confessioni, tra cui la non trascurabile presenza del patriarca metropolita Athenagoras. Il discorso di Küng si conclude con un appello:

“Quando negli ultimi secoli, il mondo ha avuto tante preoccupazioni e problemi come oggi? Quando negli ultimi secoli, la chiesa e il cristianesimo hanno avuto opportunità tanto grandi come oggi? Solo una chiesa libera, la chiesa cioè intesa come libera comunità dei liberi figli di Dio, è in grado di realizzare queste opportunità. La libertà nella chiesa non è una teoria, la libertà nella chiesa è realtà, è necessità. Quanta libertà sia reale dipende da te, da me, da noi tutti”432

Il teologo girerà diverse altre università statunitensi presentando questi stessi temi, in quei mesi frenetici, e verrà sempre accolto da un pubblico vasto e da larga approvazione. Naturalmente numerose furono anche le critiche: del resto, ancora prima di partire per gli USA, sulla base della sua fama, a Küng era stato vietato di tenere conferenze alla Catholic University of America di Washington D. C.. Il testo Riforma della chiesa e unità dei cristiani era infatti diventato un bestseller nel nuovo continente, ma aveva contemporaneamente suscitato forti critiche da parte delle

429 Ivi pos. 8329 di 13667 430 Ivi pos. 8366 di 13667 431 Ivi pos. 8374 di 13667 432 Ivi pos. 8381 di 13667

alte sfere ecclesiastiche. “Pure nonsense”433, così aveva definito il testo di Küng mons. Joseph

Fenton, direttore dell'American Ecclesiastical Review e professore all'università cattolica di Washington, nonché perito del cardinal Ottaviani al Concilio Vaticano II.

Una sua memoria del 26 novembre 1965 recita: “The day before yesterday I had dinner with O [cardinal Ottaviani]. On the way back I found that the Pope had written to O about [schema n°] 13. I saw the letter. It was a great mistake to let that one, the one on religious liberty, and the one on non- Christian religions get by the council”434

I testi a cui Fenton fa riferimento sono quelli che diverranno appunto i documenti conciliari Lumen

Gentium (De Ecclesia – noto anche come schema 13), Dignitatis Humanae (De Libertate religiosa)

e infine la stessa dichiarazione Nostra Aetate (De ecclesiae habitudine ad religiones non-

christianas).

A partrire da questi fatti si comprende bene perché Fenton avesse vietato ad Hans Küng di venire a parlare nella propria università. Questo tipo di critiche e divieti, erano in ogni caso tutt'altro che un ostacolo per la personalità combattiva di Küng, che difficilmente raccoglieva in senso costruttivo gli attacchi da parte conservatrice, anche se non era pregiudizialmente ostile ad ogni rimprovero e consiglio, come dimostrano i fatti seguenti:

“In parte giusta e in ogni caso importante mi parve invece la critica, non molto benevola, del Rabbi Arnold Jacob Wolf di Chicago sulla rivista The Chrisitian Century, e cioè che nel mio libro sul concilio non avevo riservato necessaria attenzione alla questione dell'ebraismo. Il mio libro, che condanna esplicitamente la persecuzione degli ebrei da parte della chiesa, e loda le correzioni di Giovanni XXIII alla liturgia del Venerdì Santo, si concentra di fatto su sull'accordo tra cattolici e protestanti. Tuttavia mi riprometto di studiare prima possibile la storia del rapporto tra la chiesa e gli ebrei”435