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4. Verso la dichiarazione Nostra Aetate

4.1 Il documento De Iudaeis et non Christianis

La prima versione di un testo allargato De habitudine christianorum ad iudaeos et ed universam

familiam umanam (sul rapporto dei cristiani con i giudei e l'intera famiglia umana) viene preparata

da Bea già tra aprile e maggio del '64. In questo testo, scompare del tutto il riferimento alla riconciliazione del popolo ebraico e al suo ruolo nella Passione di Gesù, anche per come appariva nella stringata versione dell'appendice di marzo: “Credit insuper Ecclesia Christum, Pacem nostram, propter peccata omnium hominum passionem suam et mortem voluntarie obiise.”165. Si accoglie

inoltre il consiglio di eliminare la locuzione “vel deicidi arguant”. Il documento si compone poi di due parti aggiuntive, che rispondono alla volontà di fare menzione dei musulmani e del rispetto dovuto a tutte le altre religioni universali:

163 Ivi pp. 285-88 164 Ivi p. 292 165 Ivi p. 283

Omnes homines Deum unum patrem habeant

Dominus Iesus ominum hominum Patrem esse Deum, sicut iam Scripturae Veteris Testamenti stabiliunt et ipsa innuit ratio, luculenter confirmavit. Nequimus vero Deum omnium Patrem vocare vel orare si erga qualecumque ex hominibus, ad imaginem Dei creatis, fraterne nos gerere renuimus. Ita enim arcte connectuntur habitudo hominis ad Deum Patrem et eiusdem habitudo ad homines fratres, ut omnis negatio humanae fraternitatis negationem ipsius Dei, apud quem non est acceptio personarum (cf. 2 Par. 19,7; Rom. 2. 11; Eph. 6, 9; Col. 3, 25; 1 Pet. 1,17), importet vel ad eam ducat. Nam primum mandatum cum altero ita coalescit ut nobis non dimittantur debita nostra si non ex corde debitoribus nostris dimittamus. Iamvero in Lege Veteri dicitur: “Numquid non Pater unus omnium nostrum? Numquid non Deus unus creavit nos? Quare ergo despicit unusquisque nostrum fratrem suum?' (Mal. 2,10); et in Nova Lege clarius affirmatur: “Qui non diligit fratrem suum quem videt, Deum quem non videt quomodo potest diligere? Et hoc mandatum habemus a Deo ut qui diligit Deum diliget et fratrem suum' (1 Io. 4, 20-21).

Hac caritate erga fratres nostros compulsi, magna cum observantia consideremus opiniones et doctrinas quae quamvis a nostris in multis discrepent, tamen reflectunt radium illius Veritatis quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum.

Sic amplectamur imprimis etiam Musulmanos qui unicum Deum personalem atque remunerantem adorant et ex eventibus historiae ac permultis humanae culturae communicationibus propius ad nos accesserunt.

Omnis species discriminationis damnatur.

Fundamentum ergo tollitur omni theoriae vel praxi quae inter virum et virum, inter gentem et gentem discrimen quoad humanam dignitatem et iura exinde dimanantia introducunt.

Abstineat ergo necesse est Christiani a quacumque cuiuslibet alius hominis discriminatione aut vexatione propter stirpem eius, colorem, condicionem vel religionem. E contra eos Sacra Synodus ardenter obsecrat ut 'conversationem inter gentes habentes bonam' (1 Petr. 2, 12) si fieri potest, quod in eis est, cum omnibus hominibus pacem habeant (cf. Rom. 12, 18). Immo eis prescribitur ut diligant, non tantum proximum suum, sed et inimicos, si quos habere censentur ut sint filii Patri sui qui in coelis est et qui solem suum oriri facit super omnes (cf. Mt. 5, 44-45)166

Di che cosa si tratta? Si potrebbe riassumere dicendo che la prima parte è di natura più teorica e stabilisce, in buona sostanza, che tutti gli uomini sono figli di un unico Dio e devono comportarsi come fratelli gli uni verso gli altri. La seconda parte, in conclusione, ha invece uno spirito più pratico nella misura in cui indica ai fedeli cristiani di avere comportamenti di rispetto, stima e bontà verso ogni altro uomo, verso il “prossimo”, amico o nemico, riprendendo gli insegnamenti evangelici. Riserveremo maggior spazio a tali questioni una volta preso in esame il testo definitivo

166 Ivi p. 572: TUTTI GLI UOMINI HANNO DIO COME PADRE – Il Signore Gesù conferma chiaramente che Dio è il padre di tutti gli uomini, così come già era stabilito dalle Scritture dell'Antico Testamento ed è intuito dalla stessa ragione. E in vero non possiamo invocare e pregare Dio come padre di tutti se rifiutiamo di comportarci

fraternamente nei confronti di alcuni uomini, creati ad immagine di Dio. È infatti così strettamente connesso il comportamento degli uomini verso Dio al medesimo comportamento nei confronti dei propri fratelli in umanità, che ogni negazione della fraternità tra gli uomini, comporta o conduce alla negazione stessa di Dio, presso cui non vi è preferenza di persone. ( 2 Par. 19,7; Rom 2,11, Ef. 6,9; Col. 3, 25; 1 Pet. 1,17). Infatti il primo comandamento si lega con il secondo in modo tale che non sono rimessi a noi i nostri debiti se noi non rimettiamo di cuore ai nostri debitori. Viene infatti stabilito dall'Antica Legge: “Non abbiamo forse tutti un solo padre? Non ci ha forse creati un solo Dio? E perché allora ognuno di noi agisce perfidamente verso il suo fratello?” (Mal. 2,10); e nel Nuovo Testamento è ancor più chiaramente affermato: “Chi non ama il suo fratello che vede, come può amare Dio che non vede?”(1 Gv. 4, 20-21). Mossi dall'amore verso i nostri fratelli, consideriamo con grande attenzione quelle opinioni e dottrine che anche se differiscono in molte cose dalle nostre, riflettono comunque il raggio di quella verità che illumina ogni uomo che viene a questo mondo. Così anche e prima di tutto abbracciamo i musulmani che adorano un Dio unico e personale da cui sono ricompensati ed erano pervenuti alla nostra conoscenza tramite gli eventi della storia e molti canali della cultura umana.

OGNI GENERE DI DISCRIMINAZIONE VIENE CONDANNATA - È dunque destituita di fondamento ogni teoria o prassi che introduca discriminazione tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, per quanto riguarda la giustizia e la dignità umana. È perciò necessario che i Cristiani si astengano da qualunque discriminazione e vessazione nei confronti di qualunque degli uomini, a causa della sua origine, condizione sociale, religione, o del suo colore di pelle. Al contrario, questo Sacro Sinodo prega ardentemente [i cristiani] affinché “la loro condotta presso i pagani sia buona” (1 Pt, 2,12) e se possibile per quanto li riguarda mantengano la pace con tutti gli uomini (Rom. 12,18). Viene infatti comandato loro di amare, non soltanto il loro prossimo, ma anche i nemici, se ne hanno, al fine di poter essere figli del loro Padre che è in cielo e che fa sorgere il suo sole sopra tutti.

della dichiarazione Nostra Aetate che qui vede, potremmo dire, il proprio stato embrionale. Significativa è comunque l'allocuzione “omnis negatio humanae fraternitatis negationem ipsius Dei, apud quem non est acceptio personarum”167, corredata da numerosi passi scritturistici che

certificano proprio questa assenza di differenze nell'atteggiamento divino. Si tratta di un concetto che va fortemente a incidere sull'idea dei cristiani come popolo eletto e privilegiato presso Dio, rispetto agli ebrei e agli altri popoli. Si colpisce indirettamente l'assioma extra ecclesiam nulla

salus, affermando che l'elezione di Dio non fa differenze tra gli uomini. Possono dunque anche i

non-cristiani ottenere la salvezza al pari dei cristiani? Questo non è qui ancora affermato. Tuttavia già in sede di discussione di questo testo alcuni vescovi lamentano la necessità di indicare un qualche privilegio dei cristiani nell'elezione divina, a sottolineare quanto si sia di fronte ad un passaggio affatto scontato. Il card. M. Browne afferma:

“Il paragrafo 33 naturalmente è, in sé, vero, però uno rimane colpito dal fatto che non contiene nessun accenno alla maniera particolare infinitamente più alta, in cui Dio è il padre del Cristiano figlio di Dio per grazia. Anche il paragrafo 44 lascia perplesso. Quello che dice è vero, enunziato dell'uomo come tale. Ma come si può applicarlo quando si considera il Cristiano rispetto alle persone di altre religioni? O quando si considera il Cristiano Cattolico rispetto ad altre forme, in sé erronee, di Cristianesimo?”168

Questo testo fu supervisionato da Paolo VI che lo restituì al card. Bea il 21 maggio con alcune, significative, considerazioni169. Suggeriva anzitutto un nuovo, più semplice titolo: Declaratio de Iudaeis et de non Christianis (dichaiarazione sui giudei e i non cristiani). Chiedeva inoltre di

emendare la locuzione “sive anteactis sive nostris temporibus” riferita all'odio e alla persecuzione degli ebrei, per non dar luogo a “recriminazioni senza fine desunte dalla storia”170. Il pontefice si

dimostrava poi soddisfatto del riferimento ai musulmani, anzi, riteneva che piuttosto che fare riferimento agli “eventibus historiae”, che ancora una volta sono considerati “sempre di difficilissima comprensione per gli uomini moderni”171, valesse la pena di esaltare maggiormente le

loro virtù, tra cui “la tenacia del senso religioso, la capacità di diffusione della professione religiosa...”. Viene suggerito anche di riferire l'”abstineat...a quocumque...discriminatione” non solo ai cristiani, ma a tutti gli uomini, “praesertim Christianorum”.

4.2 “I am ready to go to Auschwitz” - il caso di Paolo Rom. 11,25 e il tema del deicidio La più significativa modifica papale a questo testo, risulta tuttavia dalla volontà di Paolo VI di “riprendere le parole dello schema primitivo circa la speranza della futura conversione d'Israele”, quelle parole che il card. Bea aveva progressivamente limato, sino ad eliminare: saranno ora aggiunte di nuovo alla dichiarazione, con questa proposizione scritta dal pontefice in persona:

“Memoria insuper dignum est adunationem populi Iudaici cum Ecclesia partem spei christianae esse. Ecclesia enim docente Apostolo Paulo (cf. Rom. 11,25), fide inconcussa ac desiderio magno reditum huius populi exspectat ad plenitudinem populi Dei”172

Quando arrivò all'orecchio dell'opinione pubblica il testo completo di questa aggiunta, si alzarono forti proteste da parte ebraica. Il New York Times pubblicò questo documento l'1 settembre 1964.

167 Ibidem: “ogni negazione dell'umana fraternità è negazione di Dio stesso, presso cui non vi è preferenza di persone” 168 Ivi p. 645

169 Ivi pp. 572-73 170 Ibidem 171Ibidem

172 Ivi p. 574: "È inoltre degno di memoria che la riunione del popolo ebraico con la Chiesa è parte della speranza cristiana. La Chiesa infatti, secondo l'insegnamento dell'Apostolo (Rom. 11,25), attende con fede immutata e grande desiderio il ritorno di questo popolo alla pienezza del popolo di Dio"

La reazione più decisa fu ancora una volta del Rabbino Abraham Heschel che affermò: “I am ready to go to Auschwitz any time, if faced with the alternative of conversion or death”; “Any declaration, no matter how well intended, whose effect would mean the elimination of Judaism as a religion would be received with resentment”173. Prospettare una finale riconciliazione di Israele con la

Chiesa era insomma, secondo il suo modo di vedere, un'indebita richiesta agli ebrei di abbandonare la propria fede, o ancora peggio, un riferimento al fatto che la religione ebraica in quanto tale avrebbe dovuto finire. Si trattava dunque di affermazioni inaccettabili.

Heschel riuscì ad avere un incontro con Paolo VI, se pur molto breve, il 14 settembre. Il papa rimase fermo nelle proprie posizioni, sottolineando che un documento della Chiesa non poteva essere influenzato da questioni esterne e che la futura conversione degli ebrei era parte delle Scritture e dell'insegnamento della Chiesa, anche se per gli ebrei potesse risultare irricevibile. Il Rabbino fu comunque in parte convinto dalle parole del papa e stilò un memorandum in cui moderava le proprie posizioni chiedendosi: “"Why is so much attention paid to what Vatican II is going to say about the Jews? Are we Jews in need of recogniton? God himself has recognized us as a people. Are we in need of a 'Chapter' acknowledging our right to exist as Jews? Nearly every chapter in the Bible expresses the promise of God's fidelity to His Covenant with our people”174

Se da parte ebraica si levarono le proteste e lo scontento, non meno critica era la situazione all'interno delle mura vaticane. Qui, come sottolinea G. Miccoli, continuava a serpeggiare una ostilità anti-ebraica presente in diversi prelati cattolici e la discussione tornò a farsi viva intorno al delicato tema del deicidio, ovvero di chi dovesse essere considerato colpevole della morte di Cristo. Il card. Bea aveva scritto al papa chiedendo di aggiungere, alle raccomandazioni per il catechismo e la predicazione, uno specifico riferimento “in Passione et Morte Domini explicanda” che affermasse, in riferimento ad At 3, 15-17, che i capi del popolo agirono in quest'occasione “per ignoranza”. Questa proposta non convinse né il papa né Cicognani che la rimisero alla discussione della commissione. Qui il card. Lercaro propose, in sostituzione alla proposta di Bea, una proposizione che affermasse, anzitutto, che la morte di Cristo era imputabile ai peccati di tutta l'umanità175 e poi che agli ebrei delle successive generazioni non potesse essere imputato questo

crimine. Il cardinale Ciappi ritenne questa proposta inopportuna: “potrebbe dar l'impressione che si voglia richiamare l'attenzione sulla causa remota, universale della morte di Cristo, per lasciare in ombra la causa morale prossima e la più efficace storicamente: l'invidia del popolo ebraico”176. Il

card. Browne, d'altra parte, era d'accordo ad attribuire la causa della morte di Cristo ai peccati di tutti. Esprimeva però preoccupazione rispetto alla possibilità di discolpare il popolo ebraico dal deicidio: “bisogna che il complesso dei testi che citiamo non lasci un'impressione che vogliamo dire che la loro perseveranza nell'ebraismo sia senza colpa”177.

Di tale questione in fine non se ne fece nulla e il testo rimase tale, senza alcuna aggiunta relativa al tema della Passione di Cristo. Ma la discussione riportata indica bene quale fosse il clima all'interno del Concilio.

173 M. H. TANENBAUM, National Interreligious Affairs Director of the American Jewish Committee, cit., pp.17-18 : “Sono pronto ad andare ad Auschwitz in ogni momento, se messo di fronte all'alternativa tra la conversione e la morte – qualsiasi dichiarazione, non importa quanto in buona fede, i cui effetti potrebbero significare l'eliminazione dell'ebraismo come religione, dovrebbe essere ricevuta con risentimento”

174 Ivi p. 19: “Come mai c'è così tanta attenzione su quello che il Vaticano II ha intenzione di dire sugli ebrei? Sono forse gli ebrei in cerca di riconoscimento? Dio stesso ci ha riconosciuti come popolo. Abbiamo forse bisogno di un 'Capitolo' che riconosca il nostro diritto a esistere come ebrei? Quasi ogni capitolo della Bibbia esprime la promessa della fedeltà di Dio verso la Sua Alleanza con il nostro popolo”

175 ACTA SYNODALIA, vol.V par. 2, p. 639 176 Ivi p. 644