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DEONTIC SCOREKEEPING MODEL E AGIRE POLITICO: PRATICHE AGONISTICHE E LEGITTIMAZIONE DEL POTERE NELLA PROPOSTA DI THOMAS FOSSEN

IL DIRITTO COME PRATICA DELIBERATIVA, ESPRESSIVA ED AGONISTICA, TRA GIOCO LINGUISTICO E DEONTIC SCOREKEEPING

5. DEONTIC SCOREKEEPING MODEL E AGIRE POLITICO: PRATICHE AGONISTICHE E LEGITTIMAZIONE DEL POTERE NELLA PROPOSTA DI THOMAS FOSSEN

Riveste un certo interesse l’applicazione di alcune tesi fondamentali brandomiane alla sfera politica da parte di Thomas Fossen349.

Secondo Fossen, l’istituzione degli status normativi attraverso la pratica del deontic scorekeeping non dipende nel sistema brandomiano da atti di istituzione, essendo riferibile ad una attività rispetto alla quale non è dato riscontrare una prospettiva sovrana o autoritativa. Non è una visione statica, bensì dinamica, e, più in particolare, agonistica: vi sarebbe una lotta perpetua per la determinazione di ciò che conta come corretto, i cui risultati sono sempre aperti e provvisori350.

Nella visione di Fossen, non solo l’eccellenza ma anche la correttezza e la verità emergono dalle interazioni tra i partecipanti alla pratica, in particolare dalle contestazioni reciproche: gli impegni assunti da ciascuno sono, infatti, sottodeterminati se riguardati staticamente, in quanto abbisognevoli di determinazione attraverso lo scontro agonale che trae alimento dalla pluralità di posizioni e dal disaccordo tra i partecipanti. Questo implica che a Brandom non può ascriversi alcuna forma di positivismo sociale351.

Nella lettura di Fossen, comunque, non è accettabile la conclusione secondo la quale almeno laddove vengano in rilievo convenzioni, la comunità nel suo complesso sarebbe infallibile, sia o meno questa posizione da attribuire senza residui a Brandom: “To take something to be a matter about which the community cannot be mistaken is to take it that there are no incompatible commitments on the matter, and hence to attribute an entitlement to the community to settle it in one way or another. So while the idea that a community is incorrigible on a certain matter may appear to collapse the tension between normative status and practical attitudes—and this is what fuels the charge of positivism—in fact it merely shifts this tension to the question whether the matter is arbitrary, or whether some other commitment is in place”352.

349 FOSSEN, Thomas, Politicizing Brandom's Pragmatism: Normativity and the Agonal Character of Social Practice,

“European Journal of Philosophy”, Vol. 22, N. 3, 2014, pp. 371-395.

350 Ivi pp. 382-4. Il paradigma agonistico è invocato da Fossen nei seguenti termini: “agonal contestation involves a

plurality of contestants continually striving for excellence—or rather, whatever counts as excellence according to the practice, according to the participants—while mutually holding one another within bounds of measure. Agonal contestation is inherently repeatable and open-ended; a definitive victory of one participant would be the end of the practice”. Ivi p. 384.

351 Ivi pp. 385-6. 352 Ivi pp. 387-8.

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In Taking Stances, Contesting Commitments, Fossen sostiene che si possa ripensare il concetto di legittimità politica attraverso la combinazione della pragmatica brandomiana con l’approccio normativo sulla legittimità, da un lato, e con l’approccio descrittivo-sociologico dall’altro353.

In particolare, la distinzione tra legittimità de jure e de facto sarebbe da reinterpretarsi pragmaticamente nei termini delle differenze di prospettiva sociale. L’autorità ha un ruolo espressivo in senso brandomiano e va, quindi, analizzata concentrando l’attenzione teorica su cosa sia trattare praticamente qualcosa come munito di autorità, ossia cosa si faccia quando si tratta qualcosa come autorità, e non cercando di comprendere il significato della nozione, vale a dire cosa significhi la legittimità predicata di una autorità.

La situazione pratica nel cui ambito la legittimazione assume una valenza politica riguarda la pretesa di governare, intesa in senso neutrale e sostanzialmente descrittivo o debolmente normativo: dalla prospettiva del soggetto, il governo si presenta come esercizio di potere che guida l’azione o conforma l’orizzonte pratico.

Scrive Fossen: “In Brandomian terms, taking a political stance is a matter of undertaking and attributing a particular pattern of commitments and entitlements. Authorities attribute commitments to obey or uphold their rule to their subjects. Subjects, in turn, attribute or withhold an entitlement to rule to authorities, undertake a commitment to treat it as appropriate to its status, and attribute such a commitment to fellow subjects. What such political commitments involve exactly depends on the specifics of the situation, but minimally it seems that recognizing authority as normative involves undertaking a commitment to comply with its demands or restrictions, or to endorse rather than to subvert the ways in which it shapes one’s sense of self and frames available courses of action—in short, to treat authority as a source of reasons”354.

La politica, per Fossen, va concepita primariamente, anche se non esclusivamente, come assunzione di un atteggiamento nei confronti del governo: in ogni caso, solo in prospettiva analitica questi atteggiamenti possono essere isolati, giacché, di fatto, essi sono parte di una pratica più ricca, all’interno della quale si trovano in interazione consuetudini, istituzioni e linguaggi di varia natura.

Nella sfera politica si assumerebbero degli atteggiamenti normativi impliciti che divengono espliciti nell’attribuzione della qualità di autorità legittima. Nella prospettiva di Fossen, il “punto” del discorso e dell’agire politico è l’alterazione degli impegni e dei titoli mutuamente attribuiti

353 FOSSEN, Thomas, Taking Stances, Contesting Commitments: Political Legitimacy And The Pragmatic Turn,

“Journal Of Political Philosophy”, Vol. 21, 2013, pp. 426-50.

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nella pratica sociale, in particolare nella prospettiva della dialettica pragmatica sussistente tra le autorità e i soggetti355.

Avanzare una affermazione di legittimità è un fare, una performance che altera il punteggio deontico delle parti coinvolte nell’interazione, con una modificazione consequenziale dei loro atteggiamenti e status normativi. Naturalmente, poiché i soggetti che di fatto esercitano autorità possiedono altri mezzi oltre a quelli discorsivi, la contestazione dell’autorità può esporre il partecipante alla pratica a rischi che trascendono le sanzioni inerenti alla pratica linguistica in sé e per sé considerata.

Fossen si riferisce alla contestazione attraverso atti linguistici che esplicitano l’atteggiamento dei soggetti, come azione che determina un momento critico. La performance di contestazione della legittimità e, più in generale, la performance con cui si esplicita un atteggiamento rispetto ad essa, implica quantomeno: “(a) undertaking a commitment to represent the political authority one faces in a certain way (as a democratic government, benevolent dictatorship, military- industrial complex, etc.); (b) attributing or withholding an entitlement to rule, and thereby undertaking a commitment to treat it in ways appropriate to its status; and (c) attributing similar commitments to certain others (i.e. those one counts as fellow members of the political community)”356.

La distinzione tra legittimazione de jure e de facto non dipende dal riferimento ad una posizione morale. La distinzione riflette una tensione insita nel carattere prospettico del gioco del dare e chiedere ragioni: in termini brandomiani, allora, assumendo come rilevante il punto di vista in prima persona, la legittimità di una autorità politica deve intendersi come l’appropriatezza dell’assunzione di legittimità da quella stessa prospettiva.

Questo non porta al collasso nel soggettivismo perché ogni assunzione di un certi tipo di atteggiamento è assoggettata alla critica da parte degli altri partecipanti. La chiave è nella distinzione tra l’assunzione esplicita di un impegno che il soggetto stesso riconosce, e gli impegni che gli si ascrivono come oggettivamente assunti: “Taking political stances to be appropriate or inappropriate involves drawing a distinction between, on the one hand, how others represent an authority; what they count as good reasons for treating it as entitled to rule; and who they count as its addressees, and on the other hand what one oneself takes to be an adequate representation of that authority; what reasons one takes to actually count as good in the present case; and who

355 Come spiega l’autore: “If subjects are to treat an authority as normative, it must at the very least act in such a way

that the subject can take it to be genuinely committed to rule, by presenting itself as entitled to compliance and treating subjects as committed to comply. This is the point of a legitimacy-claim made by (or on behalf of) authorities”Ivi p.

439.

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counts as a subject to that political authority. Moreover, since mutually holding and being held to account also involves a reflexive relation to one’s own acknowledged commitments, it brings into play a tension between the commitments with which one happens to find oneself, and whichever ones one ought to acknowledge. In this sense, the distinction between what is legitimate and what is merely taken to be so is interpreted as performative, understood not as a kind of ‘making,’ where the performance is a delimited occurrence leaving behind a finished product, but as situated in ongoing activity”357.

Quindi, l’utilizzo delle nozioni di legittimità de facto e de jure può essere utilizzare per indicare la prospettiva dalla quale si effettua il suo riconoscimento o la si contesta: dire che una autorità lo è de facto avrebbe il significato dell’attribuzione ad altri del riconoscimento di legittimità.

In questo senso, conformemente a quanto abbiamo visto più sopra, la legittimità politica si inscrive in pratiche sociali aventi carattere agonistico: essa non può ridursi ad una questione risolvibile da un punto di vista esterno, essendo sempre provvisoriamente stabilita attraverso le esperienze, dinamicamente connotate, delle pratiche di attribuzione e riconoscimento di status normativi358.

357 Ivi pp. 444.

358 Erman e Möller rilevano in chiave critica che il pragmatismo brandomiano sia, in definitiva, neutro rispetto ad una

pluralità di opzioni teoriche sostantive, rilevando esclusivamente per la comprensione delle pratiche di conferimento di significato. Ciò significa che Fossen non solo non riesce, a partire da questa prospettiva, ad articolare una teoria politica, e forse neppure è possibile, ma soprattutto, ciò che è il limite maggiore di questa proposta, fallisce nell’identificare almeno vincoli metateorici per una teoria politica che si appoggi alla modello brandomiano delle pratiche discorsive. In effetti, in Fossen, manca qualsivoglia tematizzazione del concetto di legittimità, essendo la sua attenzione concentrata su caratteristiche estrinseche dello scorekeeping. ERMAN, Eva; MÖLLER, Niklas, Brandom and

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