• Non ci sono risultati.

INTENZIONALITÀ E SISTEMI INTENZIONALI: DIMENSIONE ONTOLOGICA ED ERMENEUTICA

7. L’EVOLUZIONE DELLA POSIZIONE DI DENNETT

La posizione matura di Dennett è espressa nel volume L’atteggiamento Intenzionale222, nel

quale vengono sviluppati ed approfonditi alcuni aspetti della propria teoria, anche in risposta alle sollecitazioni provenienti dal dibattito che le sue tesi hanno stimolato.

Dennett affronta la questione della natura della credenza rifiutando le posizioni realiste, secondo cui avere una credenza è un fatto interno oggettivo, per sostenere una forma di interpretazionismo: il fenomeno della credenza mantiene comunque un carattere oggettivo ma tale carattere può essere apprezzato solo dal punto di vista di qualcuno che adotti una strategia predittiva intenzionale. Di un sistema target di cui si riesce a prevedere con successo il comportamento può dirsi in senso proprio che abbia delle credenze223.

Una implicazione della strategia intenzionale, già più sopra evidenziata, consiste nella circostanza che le credenze esibite dai “veri credenti” sono credenze per lo più vere. La regola

220 Ivi p. 407-9.

221 Ivi pp. 428-9. Il saggio in esame contiene, peraltro, una interessante critica della posizione originaria elaborata da

John Rawls in A Theory o Justice in relazione al problema della attribuzione del carattere di persona.

222 DENNETT, Daniel C., L’Atteggiamento Intenzionale, Bologna, Il Mulino, 1993. 223 Ivi pp. 27-30.

73

che governa l’attribuzione intenzionale impone che si attribuiscano desideri relativi a ciò che il target crede che siano i mezzi migliori per conseguire altri fini desiderati. L’assunzione iniziale è quella della razionalità perfetta ma, poi, man mano che si scopre che in concreto il sistema non risponde a quello standard, si adottano standard via via più deboli224.

Tratto peculiare della proposta dennettiana matura è l’impossibilità in pratica di potere operare una distinzione tra i sistemi che possiedano genuinamente delle credenze da quelli che sono trattati come tali: nella prospettiva pragmatica in cui è immersa la teoria dell’interpretazione intenzionale questo non è affatto un limite, nella misura in cui essa funziona, ossia produce predizioni utili ed accurate che ci procurano un qualche vantaggio. È questo, anzi, il criterio che ci spinge ad interpretare certe entità come sistemi intenzionali ed altre no, proprio perché non ne trarremmo alcuna utilità. Peraltro, la strategia intenzionale è insostituibile, giacché non possono darsi i medesimi risultati con nessun altro tipo di atteggiamento.

Nonostante l’adozione dell’atteggiamento intenzionale dipenda esclusivamente da una decisione del soggetto interpretante, i fatti relativi al suo successo o fallimento hanno carattere pienamente oggettivo. Tuttavia, qui Dennett sottolinea che l’atteggiamento intenzionale è inevitabile rispetto a se stessi e ai propri simili in quanto esseri intelligenti, rispetto ai quali vi sono modelli oggettivi di razionalità, che comunque non escludono la presenza di modelli, anche culturalmente connotati, che si affiancano ad essi pur essendo imperfetti. In questo contesto, ciò che fa di una caratteristica interna una rappresentazione può risultare essere solamente il suo ruolo nel regolare il comportamento del target225.

Se ci si chiede perché la strategia intenzionale funziona, la risposta, per Dennett, è duplice: nel caso di artefatti umani, dipende dalla bontà del progetto; nel caso delle persone ciò deriva da meccanismi evolutivi che hanno portato l’uomo ad essere razionale, ossia a credere quel che dovrebbe credere e a desiderare quel che dovrebbe desiderare razionalmente. Per quanto il meccanismo soggiacente possa essere oscuro, il successo della strategia intenzionale è invece evidente226.

Dennett ritiene che la teoria dei sistemi intenzionali sia per alcuni aspetti affine alla teoria della decisione e dei giochi, rappresentando una forma di comportamentismo logico-olistico, in quanto la spiegazione si rivolge ad interi sistemi più che a sue parti. In un passaggio, che va qui adeguatamente evidenziato, egli sottolinea che target ascrizionale può anche essere un ente giuridico o, persino, la nazione. Inoltre, credenze e desideri sono attribuiti non isolatamente, ma sempre in relazione ad altre attribuzioni di credenze e desideri227.

224 Ivi pp. 30-40.

225 Ivi pp. 40-54. 226 Ivi pp. 54-8. 227 Ivi pp. 87-91.

74

Ancora, i sistemi intenzionali possono essere classificati in base al grado: un sistema del primo ordine è un sistema che possiede delle credenze di primo ordine (credo che “p”), ma non credenze sulle credenze di primo ordine (credo di desiderare che “p”). Qualora un sistema intenzionale possieda questo tipo di credenze, allora sarà di secondo ordine, e così via. Quindi tutto dipende dal grado delle credenze che il sistema riesce a gestire: per l’uomo forse si può parlare di credenze di quinto o sesto grado228.

Collegato alla distinzione di grado tra i sistemi intenzionali è il tema della intenzionalità originaria. Coloro che ritengono che vi sia intenzionalità originaria, distinguono le altre forme di intenzionalità come derivata: in altri termini, mentre l’uomo sarebbe portatore di intenzionalità originaria, altre creature e oggetti, creati o naturali, esibirebbero intenzionalità solamente in relazione a quella intenzionalità originaria. Tuttavia, Dennett nega ripetutamente che si possa parlare di intenzionalità originaria in questo senso, in quanto l’intenzionalità dipende sempre e comunque dall’atteggiamento intenzionale, dal quale non può sfuggirsi229. Non è allora

sorprendente che egli ritenga, infine, che anche l’intenzionalità umana sia derivata.

Nel saggio The Evolution Of ‘Why?’ Dennett afferma di sottoscrivere l’interpretazione che del proprio pensiero avanza Brandom, salvo che sulla questione dell’intenzionalità originaria230.

Secondo Brandom, i sistemi intenzionali semplici, o first class, derivano la propria intenzionalità dai sistemi intenzionali capaci di interpretazione intenzionale, o second class, i quali, a loro volta, traggono il carattere intenzionale dagli atteggiamenti reciproci. Il passaggio teorico ulteriore, in particolare, è oggetto di disaccordo: secondo Brandom, infatti, le comunità, anche se non i partecipanti al game of giving and asking for reasons in quanto individui, possono essere interpretate come portatrici di intenzionalità originaria.

Come si è visto, Dennett, per contro, nega la configurabilità di una intenzionalità originaria all’interno della sua teoria dell’intentional stance, ritenendo che anche l’intenzionalità umana sia derivata al pari di quella esibita dagli oggetti artificiali interpretati come sistemi intenzionali. Tale caratteristica dipende, in ultima analisi, dall’evoluzione e questo consente di arrestare un possibile regresso teorico ad infinitum.

Per Brandom l’intenzionalità originaria è una questione essenzialmente linguistica o che si fonde con la dimensione linguistica delle pratiche umane razionali: questa opzione non è per Dennett una alternativa autonoma o autosufficiente ad una fondazione in termini naturalistici; al contrario, Brandom sembra adottare una postura comportamentistica laddove sostiene che gli individui possano imparare a distinguere in pratica tra performance corrette e performance

228 Vedi Ivi pp. 326-335. 229 Vedi ad es. pp. 386-7.

230 DENNETT, Daniel C., The Evolution of ‘Why?’, in WEISS, Bernhard; WANDERER, Jeremy (a cura di), Reading

75

scorrette, in definitive secondo i modi del condizionamento stimolo-risposta. Il punto, secondo Dennett, è avere degli strumenti teorici che consentano di dare conto degli errori in quanto distinti da mutamenti estensionali delle categorie. La proposta di Brandom ha il vantaggio di fare appello alle pratiche a livello comunitario rispetto alla correttezza in relazione alle disposizioni che gli individui sviluppano, così illustrando cosa conta come performance corretta, ma ignora la questione del come ciò sia possibile ad un livello più profondo. Non si tratterebbe per Dennett di un problema da poco, giacché ad una analisi omessa a livello fondazionale corrisponde una analisi distorta al livello più alto, quello appunto delle pratiche discorsive colte nel modello brandomiano del deontic scorekeeping.

Outline

Documenti correlati