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L’ELABORAZIONE DI M LA TORRE: L’ISTITUZIONE COME AMBITO DI AZIONE E DI SENSO

Tra gli autori italiani, e non solo, che maggiormente si sono cimentati nell’esegesi del pensiero neoistituzionalistico, va considerato Massimo La Torre, la cui interpretazione del concetto di istituzione aggiunge elementi di sicura rilevanza per apprezzarne la portata teorica454.

La Torre rifiuta la tesi secondo la quale le norme costitutive sarebbero condizione necessaria ed insieme sufficiente perché si produca un certo stato di cose, giacché la norma dovrebbe allora possedere di per sé dei poteri creativi indipendentemente dalla sfera volitiva degli individui che ne sono fruitori e destinatari: questo, però, implica sottoscrivere assunzioni metafisiche radicali che si scontrano inevitabilmente con le nostre intuizioni e che generano tensioni teoriche non facilmente addomesticabili. Da una norma intesa come entità linguistica o, meglio, semantica, caratterizzata proposizionalmente da un elemento rappresentativo di uno stato di cose, non può dedursi l’esistenza di un corrispondente ambito di azione.

Occorre, piuttosto, che vi sia almeno un campione d’azione riconducibile a quello spazio normativo definito dalla norma affinché di questa si possa predicare l’efficacia costitutiva rispetto all’istituzione. Ed allora, per La Torre, una norma costitutiva di una istituzione “è la condizione di concepibilità (ex ante) e di percepibilità (ex post), e quindi di possibilità, di una sfera d’azione”. L’istituzione può definirsi come una sfera d’azione, fondata nei termini anzidetti su norme costitutive, “allorquando le possibilità di azione in essa contenute siano nel tempo effettivamente sfruttate (o realizzate)”455.

Da ciò discende, quale corollario sul piano della validità, che una norma “fondamentale” o costitutiva sarà valida se ed in quanto la sua formulazione o enunciazione sia condizione di possibilità di una istituzione e, inoltre, l’istituzione esista realmente nel senso che si diano le azioni particolari rese possibili da quella norma, ovvero, se si tratta di una norma “inferiore”, se essa sia da quella autorizzata o logicamente deducibile456.

Nella proposta di La Torre, i concetti di norma e di istituzione, pur indubbiamente connessi, restano concettualmente distinti. Onde evitare esiti tautologici o metafisici, occorre evitare di sovrapporre le possibilità di azione e le azioni effettivamente poste in essere: solo rispetto a queste

454 LA TORRE,Massimo, Norme, Istituzioni, Valori: Per Una Teoria Istituzionalistica del Diritto, Roma, Laterza, 1999,

in particolare pp. 139 ss.

455 Ivi p. 142. 456 Ivi p. 144.

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può giudicarsi l’esistenza dell’istituzione; l’istituzione, detto altrimenti, è un sistema di possibilità di azione concretamente sfruttato457.

In questo quadro, le norme costitutive non possiedono un aspetto performativo se non nel senso circoscritto di creare ambiti di azione che da esse traggono il senso, e questo perché le norme, considerate in se stesse, sono inerti rispetto alla realtà: è solo tramite le azioni degli individui che vi si conformano che la realtà può essere modificata nella direzione tracciata dalle norme458.

Un sistema astratto di regole formulate ma non applicate non può mai dare origine ad una istituzione, come appare evidente se si immagina un insieme di regole per un gioco che, però, nessuno abbia mai giocato: lo stesso vale anche nella sfera giuridica, ad esempio con riferimento ad una costituzione che sia stata redatta ma mai applicata.

È in questo passaggio, sottolinea La Torre, che si realizza una sorta di fusione tra l’essere dell’istituzione e il dover essere delle norme: tale fusione, però, si realizza solamente rispetto alle norme sociali e non rispetto alle norme morali, caratterizzate da un elemento di controfattualità, che impedisce loro ogni processo di riduzione all’essere, salvo che per mera contingenza. Mentre l’eteronomia della norma sociale può giustificarne la degradazione a fatto, dalla prospettiva del soggetto, l’autonomia della norma morale ne preclude in ogni caso la reificazione459.

Ciò significa che la validità giuridica dipende, prima facie, da considerazioni fattuali e non può essere definita in termini normativi puri o ricondotta alla volontà di un soggetto munito di autorità. Nondimeno, La Torre sottolinea che validità ed efficacia vanno mantenute distinte concettualmente, proprio perché le norme e le istituzioni sono entità distinte o, quantomeno, separabili, e questo anche se per le norme “fondamentali” vi è una forte spinta verso la assimilazione delle due nozioni460. È in questo snodo teorico che si colloca la specificità della

proposta che consideriamo in queste pagine, che reclama senz’altro una estesa citazione.

Scrive sul punto La Torre: “La validità della norma rinvia qui all’esistenza (efficacia) dell’istituzione, la quale ultima non è però data da una somma di ‘fatti bruti’ o di mere regolarità di comportamento, bensì è resa possibile (e conoscibile) mediante un certo corpo di norme fondamentali. Né la validità della norma serve qui a escludere ogni valutazione morale della norma e l’eventuale apprezzamento dell’ingiustizia di questa. Ciò che fa semmai è strutturare il ragionamento sulla obbligatorietà della norma secondo una serie di passaggi gerarchici, nella

457 Ivi p. 146.

458 Ivi p. 147. 459 Ivi pp. 148-9. 460 Ivi p. 150.

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quale l’apprezzamento (anche morale) della norma ‘secondaria’ non può farsi compiutamente senza riferirsi alla validità dell’‘istituzione’. E questa deve essere controllata anche con riferimento al ‘senso’ dell’istituzione medesima: l’efficacia dell’‘istituzione’ deve corrispondere al suo ‘senso’, al suo Witz. Ciò non impedisce comunque di trascendere il livello dell’istituzione come ambito complessivo di azioni e di entrare, infine, in un discorso normativo puro, avente per riferimento solo principi di giustizia”461.

Ulteriore carattere dell’istituzione per l’autore in esame, infine, è la sua stabilità: è in virtù di questo elemento che le possibilità di azione, la sfera pratica definita dalle norme costitutive, può essere sfruttata ponendo in essere le corrispondenti condotte. Due sono le ragioni alla base di questa conclusione: in primo luogo, le azioni sono eventi che si sviluppano nel tempo, richiedendo uno sfondo almeno relativamente permanente; inoltre, esse sono per loro natura sempre in connessione con altre azioni, sicché tutti gli attori sociali necessitano di un quadro pratico rispetto al quale mantenere in vita un sistema di mutue aspettative a loro volta durevoli. La chiave è nell’idea di una storia di azioni “il cui senso è percepibile come la narrazione di una più o meno coerente successione temporale di eventi”462.

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