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LINGUAGGIO E PRASSI DISCORSIVA LA TEORIA DI ROBERT B BRANDOM

11. IL DIBATTITO TRA BRANDOM E HABERMAS

Jürgen Habermas ha dedicato un lungo ed approfondito saggio critico alle tesi esposte da Brandom in Making It Explicit, fornendone una lettura chiarificatrice ed evidenziando al contempo alcuni nodi irrisolti298.

Nell’opinione di Habermas, l’oggettività dei concetti all’interno della proposta brandomiana riflette la costituzione concettuale del mondo: più in particolare, la prospettiva di Brandom

296 Ivi pp. 33-8.

297 Ivi p. 38.

298 HABERMAS, Jürgen, From Kant to Hegel: On Robert Brandom's Pragmatic Philosophy of Language, “European

Journal of Philosophy”, Vol. 8, N. 3, 2000, pp. 322-355. Concentreremo la nostra attenzione sulle sezioni IV ss. Brandom ha, quindi, replicato sulle pagine della stessa rivista, con argomentazioni che prenderemo in esame tra breve. Sul dibattito tra i due autori si vedano, tra gli altri: GIOVAGNOLI, Raffaela, On Normative Pragmatics: A Comparison

between Brandom and Habermas, “Teorema”, Vol. 20, N. 3, 2001, pp. 51-68; SCHARP, Kevin, Communication and

Content: Circumstances and Consequences of the Habermas-Brandom Debate, “International Journal of Philosophical

Studies”, Vol. 11, N. 1, 2003, pp. 43-61; STRYDOM, Piet, Intersubjectivity – Interactionist or Discursive? Reflections

on Habermas’ Critique of Brandom, “Philosophy and Social Criticism”, Vol. 32, n. 2, 2006, pp. 155-172; SWINDAL, James, Can a Discursive Pragmatism Guarantee Objectivity? Habermas and Brandom on the Correctness of Norms, “Philosophy and Social Criticism”, Vol. 33, N. 1, 2007, pp. 113-126.

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sarebbe alternativa al realismo metafisico, avvicinandosi alla prospettiva ermeneutica, con diversi punti di contatto la nozione teorica di mondo vitale, quale mondo costituito linguisticamente accessibile dalla prospettiva del partecipante per quanto concerne la sua struttura. L’intersoggettività della pratica linguistica non elide il carattere oggettivo dei concetti: secondo Habermas, Brandom adotta una sorta di idealismo linguistico giacché ritiene che i fatti siano ciò che può essere affermato in enunciati veri ma il mondo, come totalità di fatti à la Wittgenstein, ha in sé una struttura concettuale che fa sì chela sua oggettività si dipani discorsivamente nelle nostre pratiche argomentative299.

Quanto ai profili metodologici, Habermas osserva che l’idealismo linguistico brandomiano è radicalmente alternativo ad ogni forma di costruttivismo, in virtù dell’enfasi posta sull’oggettività della struttura concettuale del mondo. Tuttavia, obietta che l’utilizzo della prospettiva in seconda persona, ed il privilegiare l’articolazione interpersonale Io-Tu, sia non del tutto coerente: infatti, gli atti di attribuzione – di impegni e titoli, ricordiamo – sembrano piuttosto riferibili alla prospettiva di terza persona, quella di un uditorio o un pubblico, che non a quella di qualcuno cui il parlante si rivolge direttamente per suscitare una reazione o risposta. Secondo Habermas, invece: “The intention that a speaker connects with an utterance amounts to more than just the interpreter’s attribution to him of a corresponding belief without his being interested in the interpreter’s position on this belief. Rather, as a participant in communication the speaker with his assertion makes a demand on an addressee to say ‘yes’ or ‘no’ publicly; at any rate he expects some kind of reaction from her that can count as an answer and that can produce obligations relevant for the sequel of interaction for both parties. … Communication is not a self-sufficient game with which the interlocutors reciprocally inform each other about their beliefs and intentions. It is only the imperative of social integration – the need to coordinate the action-plans of independently deciding participants in action – that explains the point of linguistic communication”300. Per Habermas una enunciazione, cui si accompagna una pretesa di verità, non

implica meramente che l’emittente richieda che il destinatario capisca l’enunciato e registri l’impegno corrispondente, in quanto, oltre a ciò, il parlante mira a raggiungere una comprensione comune sull’enunciato, il che comporta una compenetrazione, se non addirittura una fusione tra la prospettiva di prima e seconda persona.

Per contro, il modello del deontic scorekeeping risulta, a conti fatti, compromesso da una forma forte di individualismo metodologico: le pratiche discorsive vengono registrate da tutti i partecipanti al gioco del dare e chiedere ragioni ciascuno per se stesso, venendo così tagliata fuori la dimensione della condivisione in senso stretto della conoscenza301.

299 HABERMAS, Jürgen, op. cit., pp. 340-2. 300 Ivi p. 346.

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Inoltre, l’oggettivismo brandomiano ha delle ricadute di segno negativo sulla morale, vanificando in certa misura l’appello alla filosofia kantiana. Le pratiche discorsive colte dal modello dello scorekeeping hanno una valenza eminentemente epistemica, in quanto in esse si esplicita l’oggettività di relazioni concettuali, inferenzialmente articolate, preesistenti. Considerando, altresì, che nell’impianto brandomiano l’asserzione è la mossa linguistica fondamentale, ne consegue il livellamento della distinzione tra fatto e norma e la riduzione sia della ragione pratica che della ragione teoretica all’attività razionale. Nella interpretazione di Habermas, all’interno della proposta di Brandom gli enunciati normativi, se veri, rappresentano fatti esattamente come gli enunciati descritti: se così è, tuttavia, viene meno il ruolo di orientamento del linguaggio normativo per l’azione umana. Nel modello del deontic scorekeeping viene sacrificato un dato fondamentale, ossia che la giustificazione delle norme di azione può solo aversi nella prospettiva di prima persona. Ancora, i principi morali devono essere giustificati attraverso il richiamo al punto di vista morale, quello della universalizzabilità, e tramite certe procedure razionali ma questo non si concilia con l’oggettivismo concettuale e con una posizione realistica del linguaggio della morale, in quanto anch’esso rispecchiante strutture concettuali del mondo: in conclusione, la responsabilità pratica rispetto a cosa si deve fare non può essere esaurita dalla responsabilità epistemica – per quanto riformulate in un linguaggio normativo – rispetto alle asserzioni corrette e ciò in quanto i partecipanti al gioco del dare e chiedere ragioni dovrebbero tendere ad un accordo sulle norme comuni302.

Data la portata delle critiche mosse da Habermas, la puntuale replica di Brandom merita un sia pur breve resoconto303.

Innanzitutto, egli puntualizza che l’oggettività del mondo non è una tesi che precede o che sia indipendente dalle pratiche discorsive, essendo piuttosto il risultato di una corretta indagine sul carattere intersoggettivo delle stesse304. Inoltre, egli nega decisamente che la pianificazione e

realizzazione di progetti comuni richieda la comprensione reciproca per come la intende Habermas, ed anzi, il riconoscimento mutuo presuppone la pratica linguistica, che, almeno sotto questo profilo, è logicamente precedente. Scrive Brandom a riguardo: “Understanding – whether one-sided understanding of another or mutual understanding of each other – is a product of discursive co-ordination in which the distinctness of perspectives is maintained and managed. What is ‘shared’ in such a process is in principle not specifiable except by reference to the various perspectives from which in can appear”305. Neppure egli ritiene che questo possa essere

302 Ivi pp. 347-352.

303 BRANDOM, Robert. B., Facts, Norms, and Normative Facts: Reply to Habermas' 'From Kant to Hegel: On Robert

Brandom's Pragmatic Philosophy of Language', “European Journal of Philosophy”, Vol. 8, N. 3, 2000, pp. 356-374.

304 Ivi p. 360. 305 Ivi p. 363.

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considerato il “punto” o senso delle pratiche linguistiche, le quali hanno delle funzioni, ma non una ragion d’essere.

Brandom, inoltre, sottolinea con forza che, contrariamente all’opinione di Habermas, gli enunciati che esprimono gli impegni pratici indicano l’impegno ad un corso di azione e non ad uno stato di fatto, avendo una forza analoga alla forza prescrittiva. E se essere impegnati rispetto ad un corso di azione è, in un senso, un fatto, lo è comunque in modo diverso rispetto ai fatti formulabili in un linguaggio non normativo: il linguaggio normativa, nella pratica discorsiva, rende espliciti gli impegni rispetto a pattern di ragionamento pratico ma quegli impegni orientano genuinamente l’azione. Nondimeno, Brandom ammette espressamente di non avere preso in considerazione i profili connessi alla responsabilità morale, ulteriori rispetto alla responsabilità per la giustificazione discorsiva degli impegni pratici306.

D’altronde, la distinzione tra norme e fatti di cui parla Habermas può ben essere riformulata all’interno del modello del deontic scorekeeping come distinzione tra fatti o enunciati normativi istituiti dall’attività pratica e fatti o enunciati non normativi che ne sono indipendenti307.

Brandom ammette dubitativamente che la nozione di commitment non sia abbastanza robusta da supportare una caratterizzazione i termini morali o l’utilizzo per la formulazione di una teoria morale. Egli ritiene, comunque, di poter individuare due approcci alla morale coerenti con il suo modello. Si potrebbe tentare la strada di uno scetticismo naturalistico considerando le ragioni morali come genuine ragioni per l’azione, senza però concepirle in termini di specialità rispetto ad altre classi di ragioni: le caratteristiche comunemente attribuite ad esse, come l’universalizzabilità, data la loro intrinseca elasticità, non permettono una selezione che non sconfini nell’arbitrio.

Tuttavia, è teoricamente praticabile anche una concezione della morale proceduralista secondo i dettami dell’etica del discorso di Habermas, mirando a rendere espliciti gli impegni impliciti nelle pratiche discorsivi: si avrebbe un teoria espressiva della morale basata sul presupposto che nel discorso i partecipanti alla pratica si trattano reciprocamente in un certo modo, riconoscendosi certi status. Gli impegni impliciti pratici sarebbero trattati come impegni causalmente efficienti nella sfera pratica. Secondo Brandom, l’esplicitazione passerebbe ancora una volta attraverso il linguaggio logico, il cui compito è rendere espliciti gli impegni inferenziali, e, dunque, per pervenire ad una teoria morale dovrebbe seguirsi la strada indicata dalla logica. Sarebbe questa, nell’interpretazione di Brandom, la posizione di Hegel rispetto ai concetti pratici308.

306 Ivi p. 365.

307 Ivi pp. 369-70. 308 Ivi p. 371-3.

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IL DIRITTO COME PRATICA DELIBERATIVA, ESPRESSIVA ED AGONISTICA,

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