• Non ci sono risultati.

4. LA COSTRUZIONE DELLA REALTÀ SOCIALE: LA TEORIA DI JOHN SEARLE

4.2 LA GENESI E LA STRUTTURA DELL’ONTOLOGIA SOCIALE

Quanto alla ontologia sociale, Searle sviluppa una teoria estremamente articolata nel libro The Construction Of Social Reality, oggetto poi di alcune significative revisioni, pur senza stravolgerne l’impianto originario, nel più recente Making The Social World. Rivolgiamo, pertanto, la nostra attenzione innanzitutto al primo471.

469 Ivi pp. 61-2.

470 Ivi p. 63. Tra i vari contributi critici si segnala GENOVA, A C, Institutional Facts and Brute Values, “Ethics: An

International Journal of Social, Political, and Legal Philosophy”, Vol. 81, 1970, pp. 36-54. Rispetto alla derivazione di un dover essere da un essere, pretesamente costruita da Searle, Geneva rileva che la derivazione è certamente corretta, ma in realtà essa è basata su tautologie e usi linguistici, non potendo perciò costituire un controesempio alla cd legge di Hume. A ben guardare, viene derivato un fatto o valore istituzionale da fatti o valori istituzionali: Searle, infatti, non può dedurre validamente un valore bruto da un set di premesse che esprimo fatti. E’ certamente questo il passaggio più stimolante delle riflessioni di Geneva. Per l’autore la distinzione tra fatti e valori bruti è netta: in particolare, i valori bruti riguarderebbero stati di cose desiderabili che possono o meno esistere. Questo non vale al livello istituzionale, in quando le regole costitutive forniscono strutture per l’attività intenzionale governata da regole che connettono fatti e valori istituzionali. La dicotomia tra fatto e valore collassa perché il fatto diviene una attività conforme a regole diretta a certi fini che si devono raggiungere con quella attività: in altri termini l’attività diventa realizzazione di un valore. Vedi su questo aspetto pp. 51 ss. Per una difesa della derivazione proposta da Searle HINDRIKS, Frank, Collective

Acceptance and the Is-Ought Argument, “Ethical Theory and Moral Practice: An International Forum”, Vol. 16, N. 3,

2013, pp. 465-480.

471 SEARLE, John R., The Construction of Social Reality, London, Penguin Books, 1996. Si vedano anche: SEARLE, John

R., Language and Social Ontology, “Theory and Society”, Vol. 37, N. 5, Special Issue on Theorizing Institutions:

Current Approaches and Debates, 2008, pp. 443-459; SEARLE, John R., Intentionalistic Explanations in the Social

Sciences, “Philosophy of the Social Sciences”, Vol. 21, N. 3, 1991, pp. 332-344; SEARLE, John R., Social Ontology:

Some Basic Principles, “Anthropological Theory”, Vol. 6, N. 1, March 2006, pp. 12-29. Quanto alla letteratura

secondaria si segnalano: BARTMANN, Marius, On the Very Idea of Imposition. Some Remarks on Searle’s Social

Ontology, “Rivista di Ontologia”, Vol. 57, 2014, pp. 155-164; BRÂNCOVEANU, Romulus, Language, Subjective

Meaning and Nonlinguistic Institutional Facts, “Balkan Journal of Philosophy”, Vol. 6, N. 1, 2014, pp. 49-58;

CORSTEN, Michael, Between Constructivism and Realism. Searle’s Theory of the Construction of Social Reality, “Philosophy of The Social Science”, Vol. 28, N. 1, 1998, pp. 102-121; FOTION, Nick, John Searle, Acumen, Teddington, 2000; HULSEN, Peter, Back to Basics: A Theory of the Emergence of Institutional Facts, “Law and Philosophy: An International Journal for Jurisprudence and Legal Philosophy”, Vol. 17, N. 3, 1998, pp. 271-299; HUND,

162

La realtà sociale si inscrive per Searle in una ontologia monistica: essa non è parte di una sfera separata dal mondo materiale, bensì può essere compresa e spiegata a partire da un quadro ontologico unitario: “We live in a world made up entirely of physical particles in fields of force. Some of these are organized into systems. Some of these systems are living systems and some of these living systems have evolved consciousness, with consciousness comes intentionality, the capacity of the organism to represent objects and states of affairs in the world itself”472.

Searle sottolinea l’importanza della distinzione tra oggettivo e soggettivo, che vale sia a livello epistemologico che ontologico, cui si collega la distinzione tra caratteristiche intrinseche e caratteristiche della realtà che dipendono dall’intenzionalità dei soggetti. In sintesi: mentre l’esistenza fisica non dipende dagli atteggiamenti, accanto a caratteristiche intrinseche delle cose vi sono caratteristiche che esistono solo in relazione all’intenzionalità del soggetto (e sono quindi ontologicamente soggettive); tra queste ultime alcune sono epistemicamente soggettive, riferendosi alla funzione delle cose; le caratteristiche dell’osservatore che permettono di creare le caratteristiche ontologicamente soggettive, inoltre, sono caratteristiche intrinseche degli osservatori. Anche gli stati mentali, si sottolinea, sono caratteristiche intrinseche della realtà473.

Occorrono tre elementi per dare conto dello statuto della realtà sociale all’interno di questo quadro ontologico: l’assegnazione di funzioni, l’intenzionalità collettiva e le regole costitutive. Le funzioni non sono caratteristiche intrinseche delle cose ma sono assegnate in base all’interesse degli osservatori all’interno di un sistema di valori474.

Nella sottoclasse delle funzioni relative all’agente, si collocano le funzioni consistenti nella relazione rappresentativa vale a dire le funzioni dell’intenzionalità475.

John, Searle's 'The Construction of Social Reality', “Philosophy of the Social Sciences”, Vol. 28, N. 1, 1998, pp. 122- 131; JACQUETTE, Dale, Searle on Collectively Intending Symbolic Social Institutional Status, “Balkan Journal of Philosophy”, Vol. 6, N. 1, 2014, pp. 21-32; KOEPSELL, David; MOSS, Laurence S. (a cura di), John Searle's Ideas About

Social Reality: Extensions, Criticisms, And Reconstructions, Oxford, Blackwell, 2003; MARCOULATOS, Iordanis, John

Searle and Pierre Bourdieu: Divergent Perspectives on Intentionality and Social Ontology, “Human Studies”, Vol. 26,

N. 1, March 2003, pp. 67-96; OSTRITSCH, Sebastian, Hegel and Searle on the Necessity of Social Reality, “Rivista di Estetica”, Vol. 57, 2014, pp. 205-218; TUOMELA, Raimo, Searle on Social Institutions, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 57, N. 2, 1997, pp. 435-441; TURNER, Stephen P., Searle's Social Reality, “History and Theory: Studies in the Philosophy of History”, Vol. 38, N. 2, 1999, pp. 211-231; WETTERSTEN, John, The Analytical

Study of Social Ontology: Breakthrough or Cul-de-Sac?, “Philosophy of The Social Sciences”, Vol. 28, N. 1, pp. 132-

151; ZIMMERMANN, Stephan, Is Society Built on Collective Intentions? A Response to Searle, “Rivista di Estetica”, Vol. 57, 2014, pp. 121-141.

472 SEARLE, John R., The Construction of Social Reality, cit., p. 7. 473 Ivi pp. 8-12.

474 Ivi pp. 15-6. 475 Ivi p. 20.

163

L’intenzionalità collettiva è considerata da Searle un fenomeno biologico primitivo, comune anche nel regno animale: si tratta del fenomeno per cui si fa qualcosa come parte di un fare qualcosa collettivo, irriducibile ad una somma di atteggiamenti individuali; il we intend, insomma, è già parte della nostra coscienza in quanto appartenenti alla specie umana. I fatti sociali sono, allora, definibili come tutti quei fatti che coinvolgono l’intenzionalità collettiva476.

Quanto alla distinzione tra fatti bruti e fatti istituzionali, non sono proposte tesi innovative rispetto a Speech Acts ma solamente taluni approfondimenti, comunque indispensabili per comprendere appieno i fondamenti dell’ontologia sociale477.

476 Ivi pp. 23-6. Le tesi di Searle sulla intenzionalità collettiva sono state forse il bersaglio polemico principale della

sua teoria. Turner, ad esempio, esprime la seguente critica su questo aspetto della teoria searleana: “Searle’s argument

for the role of collective intentionality comes down to the quasi-transcendental claim that the normative character of institutions is explicable only by reference to collective intentions. The only reason he gives is the “only” reason, that is to say that some feature of institutions, their normative character, can only be accounted for by reference to collective intentionality. …His vision of an Adamitic moment in the history of each social institution in which functions are assigned is utterly implausible…precisely because one of the elements of acceptance is persuasion….Collective intentionality is either superfluous ore the incidental by-product of common belief”. TURNER, Stephen P., Searle's Social Reality, “History and Theory: Studies in the Philosophy of History”, Vol. 38, N. 2, 1999, pp. 211-231, p. 229.

Nick Fotion evidenzia al riguardo che l’argomento a favore della primitività delle we intentions è costruito per mera eliminazione, soprattutto attorno alla irriducibilità alle intenzioni individuali: il disaccordo tra i soggetti, pur nella sua evidenza, sembra essere un aspetto totalmente pretermesso da Searle. Inoltre, se vi è un certo grado di plausibilità nella tesi considerata nelle sue applicazioni ai contesti aperti alla deliberazione, diviene assai meno convincente quando si passa agli ambiti della realtà sociale retti abitudini e comportamenti “automatici”. Quanto all’etica, ed in particolare al problema dei diritti umani, una conseguenza poco attraente dell’impianto teorico searleano è il venir meno delle norme etiche, e specialmente dei diritti umani, al venir meno dell’assetto sociale (FOTION, Nick, John Searle, Acumen,

Teddington, 2000, pp. 204 ss.). Sulla concezione searleana dei diritti umani si veda in chiave critica anche: FOTION, Nicholas, Searle on Human Rights, “Analysis”, Vol. 71, N.4, 2011, pp. 697-706; e FAERNA, Ángel Manuel, Ontología

Social Y Derechos Humanos En John R. Searle, “Análisis Filosófico”, Vol. 31, N. 2, 2011, pp. 115-139. Dan Fitzpatrick

osserva che adottando la prospettiva internalista, la tesi della intenzionalità collettiva è contraddittoria: infatti, non vi è mai una prospettiva che consenta di sapere se gli altri hanno la stessa we intention. Quando, dunque, si ha un fatto sociale, ossia come si può accertare a partire da una prospettiva internalista? Ogni individuo può essere radicalmente in errore su questo, un aspetto che Searle evidentemente trascura. Questa impostazione, applicata all’istituzione del processo porterebbe a conseguenze paradossali, perché per sottrarsi agli obblighi di legge basterebbe negare la sussistenza della we intention rilevante. Se ci spostiamo ad una transazione economica e a un processo: il convenuto può negare vi sia stata la we intention. Non essendo contemplate prove esterne, molte pratiche sociali risulterebbero in definitiva impossibili e comunque inaccertabili e inconoscibili. FITZPATRICK, Dan, Searle and Collective Intentionality:

The Self-Defeating Nature Of Internalism With Respect To Social Facts, inKOEPSELL, David; MOSS, Laurence S. (a cura di), John Searle's Ideas About Social Reality: Extensions, Criticisms, And Reconstructions, Oxford, Blackwell, 2003, pp. 45-66, pp. 57 ss. Si veda anche GOLD, Natalie; Harbour, Daniel, Cognitive Primitives of Collective Intentions:

Linguistic Evidence of Our Mental Ontology, “Mind and Language”, Vol. 27, N. 2, 2012, pp. 109-134; MLADENOVIC, Ivan, Collective Intentionality, Rationality, and Institutions, “Rivista di Estetica”, Vol. 57, 2014, pp. 67-86.

477 I fatti sociali, in particolare, presentano alcune caratteristiche essenziali. In primo luogo molti concetti sociali hanno

un carattere autoreferenziale, nel senso che affermare che qualcosa è un certo tipo di oggetto sociale, ad esempio il denaro, implica essenzialmente il suo essere considerato tale. La creazione di molti fatti istituzionali dipende dal proferimento di performativi: vedremo, però, che su questo punto Searle opererà una profonda rimeditazione in Making

The Social World. Inoltre, i fatti bruti sono logicamente precedenti ai fatti istituzionali, i quali, per così dire, si collocano

in cima ad essi. Ancora, i fatti istituzionali hanno carattere sistematico, potendo esistere solo all’interno di una rete di relazioni reciproche. Nella concezione di Searle, gli atti sociali precedono gli oggetti sociali che sono costituiti da

164

Nella genesi dei fatti istituzionali l’intenzionalità collettiva gioca un ruolo cruciale, giacché è ad essa che può essere ascritta l’attribuzione di funzioni agent relative ad oggetti: la chiave per comprendere il fenomeno dei fatti istituzionali risiede, quindi, nell’imposizione collettiva o cooperativa di uno status, cui si ricollega una funzione, tramite regole costitutive478.

Nella formula “X conta come Y nel contesto C”, che coglie la struttura delle regole costitutive, la “Y” non denota caratteristiche materiali, quanto piuttosto uno status imposto dall’intenzionalità collettiva, che, pertanto, deve appartenere al tipo di funzioni che possono essere così conferite, e rispetto al quale deve sussistere riconoscimento o accettazione, pena l’insuccesso dell’assegnazione: “collective intentionality assigns a new status to some phenomenon, where that status has an accompanying function that cannot be performed solely in virtue of the intrinsic physical features of the phenomenon in question. This assignment creates a new fact, an institutional fact, a new fact created by human agreement – e ancora: the form of the assignment of the new status function can be represented by the formula ‘X counts as Y in C’”479. Se questo

è il meccanismo essenziale di formazione dei fatti istituzionali, va precisato che esso può essere del tutto inconscio, bastando per la esistenza del fatto istituzionale che la funzione denotata dalla “Y” venga, nella pratica, implicitamente riconosciuta.

Secondo Searle, il linguaggio è costitutivo della realtà istituzionale in due sensi: in senso debole, il linguaggio deve precedere le istituzioni e i fatti istituzionali e, quindi, esso è l’istituzione fondamentale; in senso forte, ogni istituzione richiede elementi linguistici.

La caratteristica che rende il linguaggio essenziale per l’esistenza dei fatti istituzionali è la sua dimensione simbolica: il fatto istituzionale è almeno parzialmente costituito dalle rappresentazioni mentali dipendenti dal linguaggio; inoltre, il passaggio da “X” a “Y” nella struttura della regola costitutiva è una mossa linguistica o simbolizzante480. Più in dettaglio, la

mossa da “X” a “Y” è linguistica perché, una volta imposta la funzione, questa diviene l’oggetto della simbolizzazione, che è resa possibile da una rappresentazione collettiva veicolata, appunto, dal mezzo linguistico481.

questi. Solo gli esseri umani, infine, possono creare fatti istituzionali giacché l’elemento linguistico ne è elemento costitutivo. SEARLE, John R., The Construction of Social Reality, cit., pp. 32 ss.

478 Ivi pp. 41-2. 479 Ivi pp. 46-7. 480 Ivi pp. 59-63. 481 Ivi pp. 74-5.

165

Outline

Documenti correlati