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LINGUAGGIO E PRASSI DISCORSIVA LA TEORIA DI ROBERT B BRANDOM

7. SULLA NORMATIVITÀ DELLA PRATICA LINGUISTICA

In Making It Explicit il tema della normatività delle pratiche linguistiche si lega all’interrogativo intorno alla individuazione dei caratteri che rendono speciale la natura umana, interrogativo che fa da sfondo all’intera trattazione e la cui risposta ne costituisce il fine ultimo. Brandom si domanda a quali condizioni è corretto includere nella comunità umana ideale qualcuno o qualcosa, quando sia lecito parlare di un “Noi” 263.

La demarcazione del confine tra umano e non umano è un motivo antichissimo nella tradizione filosofica. Nascono insieme indagine filosofica e impulso alla comprensione e definizione dell’uomo come creatura facente parte dell'ordine universale e contemporaneamente irriducibile ai suoi meccanismi.

pp. 291-3) utilizza a proposito della propria teoria: 1) Non-naturalizability constraint: la semantica non può essere spiegata in termini puramente non normativi, bastando, comunque, una normatività sui generis, quale quella esibita dagli atteggiamenti dei parlanti; 2) il vincolo della non circolarità: la nozione di atteggiamento normativo deve avere una sufficiente distanza concettuale dalla nozione di norma semantica per evitare una spiegazione circolare; 3) vincolo anti-realista: il carattere normativo non deve essere ridotto ad altre entità semantiche che trascendano la pratica; 4) vincolo di oggettività: deve essere dimostrato che le norme semantiche possiedano una autorità oggettiva sui parlanti. Nickel (NICKEL, Bernhard, Dynamics, Brandom-style, “Philosophical Studies”, Vol. 162, N. 2, 2013, pp. 333-354)

sostiene che la teoria brandomiana appartiene al novero delle teorie cd dinamiche, caratterizzate dall’assumere come tratto fondamentale delle asserzioni il loro effetto sullo scambio comunicativo: in particolare, secondo questa impostazione, il contenuto rappresentazionale può essere definito nei termini dell’alterazione che l’atto linguistico produce rispetto al common ground. La peculiarità dell’approccio brandomiano consiste nell’introduzione del carattere normativo nella dinamica conversazionale, laddove questa famiglia di teorie pone comunemente l’accento sulla dinamica intesa nella dimensione dell’informazione negoziata dai parlanti.

263 BRANDOM, Robert, Making It Explicit, cit., pp. 2-7. Sulla normatività si veda dell’autore anche: BRANDOM, Robert.

B., Modality, Normativity, and Intentionality, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 63, N. 3, 2001, pp. 587-609. Quanto alla letteratura secondaria sul tema, si segnalano: HATTIANGADI, Anandi, Making It Implicit: Brandom

on Rule Following, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 66, N. 2, 2003, pp. 419-431; HEATH, Joseph,

Brandom et les Sources de la Normativité, “Philosophiques”, Vol. 28, N. 1, 2001, pp. 27-46; LAUER, David, Genuine

Normativity, Expressive Bootstrapping, and Normative Phenomenalism, “Etica e Politica: Rivista de Filosofia On-

line”, Vol. 11, N.1, 2009, pp. 321-350; LEVINE, Steven, Norms and Habits: Brandom on the Sociality of Action, “European Journal of Philosophy”, Vol. 23, N. 2, 2015, pp. 248-272; ROSEN, Gideon, Brandom on Modality,

Normativity and Intentionality, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. 63, N. 3, 2001, pp. 611-623;

SHAPIRO, Lionel, Brandom on the Normativity of Meaning, “Philosophy and Phenomenological Research”, Vol. LXVIII, N. 1, 2004, pp. 141-160.

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Per Brandom il “Noi” con il quale ci identifichiamo deriva dal nostro essere in grado di esprimere le caratteristiche che ci accomunano ed è questo che fa di un altro essere razionale, dotato della coscienza di sé, un membro della nostra stessa comunità di parlanti partecipanti allo gioco linguistico del dare e chiedere ragioni. Nel riconoscimento di tale status la prospettiva privilegiata è, dunque, quella della socialità.

Nel contesto del progetto brandomiano, che mira alla teorizzazione di un metalinguaggio normativo completo, le risposte a quell’interrogativo fondamentale che fanno appello a categorie proprie di altri settori dell'indagine umana, come la religione, la biologia o persino la psicologia, non appaiono pertinenti. Brandom nega ripetutamente e recisamente che sia auspicabile o possibile una riduzione dei fatti normativi ai fatti non normativi, ovvero la formulazione del modello linguistico in un metalinguaggio naturalistico - anche se talvolta sembra emergere con forza anche maggiore la sua indifferenza ed estraneità al tema.

Gli uomini, scrive, sono le creature assoggettate alla forza della ragione, alla forza dell'argomento migliore che è una forza normativa. I giudizi percettivi, che costituiscono le nostre risposte all'ambiente che ci circonda, sono interpretabili in termini di verità e rapporti inferenziali con altre credenze e non, riduttivamente, secondo gli stimoli che li generano, comportando l'adozione di uno stato intenzionale di credenza con un contenuto concettuale proposizionale. Analogamente, anche le nostre azioni, che esibiscono una struttura razionale, devono essere distinte dal mero comportamento, oggetto di studio, ad esempio, della etologia.

E' nel pensiero di Kant che Brandom rinviene i postulati fondamentali sul peculiare carattere concettuale dell'attività umana, in particolare nell’affermazione che il nostro è il mondo della responsabilità, tanto per i giudizi quanto per le azioni, un mondo in cui il concettuale ha carattere normativo: i concetti sono regole e, nell’economia del sistema brandomiano, ciò significa che i contenuti proposizionali degli stati intenzionali coincidono con le regole in cui i concetti che li compongono si articolano.

Questo è un nodo cruciale, e sebbene vi siano delle sfasature tra il linguaggio Kantiano e quello di Brandom, per quest’ultimo essere in uno stato intenzionale consiste kantianamente nella assunzione di un impegno o obbligazione, ovvero nella responsabilità per la correttezza del loro uso rispetto a possibili critiche o giudizi (assessment of correctness). Il passo da questa tesi alla equivalenza delle nozioni di stato intenzionale e status deontico normativo è breve.

La concezione prescrittiva del concettuale si presenta come alternativa al cartesianesimo, e porta alla sostituzione del metalinguaggio descrittivo con un metalinguaggio normativo nella formulazione delle teorie epistemologiche. La nozione di Notwendigkeit è intesa da Kant come conformità ad una regola che può essere naturale o morale: allora, la distinzione tra fatti e norme

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è operabile solo all'interno dello stesso orizzonte concettuale normativo in cui ogni cosa è da ritenersi conforme ad una regola264.

Ulteriori elementi per l’edificazione di una teoria integralmente normativa del linguaggio e della razionalità vengono tratti dal pensiero di Wittgenstein, secondo il quale gli stati intenzionali, come la credenza o l'intenzione, ci impegnano ad agire in un determinato modo mentre il significato di una espressione linguistica, che tipicamente esprime quegli stati, deve determinare come riconoscere e produrre l'uso corretto in vari contesti: la dimensione pragmatica normativa della pratica linguistica emerge con chiarezza nel carattere essenziale della relazione intercorrente tra il significato e l'assessment of truth and success265.

Per Brandom, dunque, il nostro è il gioco linguistico dell'attribuzione di status normativi secondo norme che governano le mosse del gioco, nel quale la conformità ad una regola è primariamente questione di giustificazione razionale: il passaggio dalla impostazione tradizionale sul tema del linguaggio e della intenzionalità alla teoria normativa brandomiano avviene con l'introduzione dell'equivalenza tra l'essere in uno stato intenzionale e l'assunzione di un impegno (commitment), il cui contenuto è determinato dalle regole concettuali nei cui termini l'atto o lo stato è articolato.

Brandom approfondisce l’analisi della dimensione normativa attraverso la disamina di vari approcci concorrenti, tutti ritenuti insoddisfacenti, andando alla ricerca di una nozione di normativo che non costituisca un “primitivo” inarticolato e non tematizzato. Così viene, in primo luogo, rifiutata la concezione kantiana, nella parte in cui Kant circoscrive l’idea di correttezza ancorandola ad una regola dotata di un contenuto proposizionale esplicito.

Questa concezione che Brandom definisce intellettualista e, più sorprendentemente, platonista può essere etichettata come regolismo e si dimostra inaccettabile quando confrontata con il regress of rules argument, sia nella forma originale proposta da Wittgenstein sia nella rielaborazione ad opera di Sellars266.

Queste considerazioni portano Brandom a concludere che l'unico modo di arrestare questo regresso teoreticamente assurdo è ammettere che esistano delle norme implicite nella pratica, che si ritrovano nella fondamentale capacità pratica e implicita di distinguere l'applicazione corretta

264 BRANDOM, Robert, Making It Explicit, cit., pp. 7-11. 265 Ivi pp. 13-5.

266 Ivi pp. 18 ss. Se fosse accettabile il punto di vista regulist, la correttezza nel seguire una regola sarebbe oggetto di

un'altra regola. Applicare una norma (che assumiamo debba essere esplicita) è qualcosa che può essere di per sé fatto in modo giusto o sbagliato e quindi ogni volta che procediamo ad una applicazione-interpretazione deve esserci una seconda norma da consultare che specifichi il modo giusto di agire. Anche questa seconda norma, però, può essere applicata in modo corretto o scorretto, ed ecco che si genera, seguendo questa concezione, un regresso inarrestabile.

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di una norma, di discernere, indipendentemente dalle capacità linguistiche, giusto e sbagliato: nella terminologia di Ryle, tale capacità è un know how.

Inoltre, l’approccio intellettualista si rivela concettualmente dipendente dall’impostazione pragmatista normativa in quanto nessuna formulazione proposizionalmente esplicita di una regola, quale che ne sia la natura, può di per sé determinarne l’applicazione: la conclusione è il primato della dimensione pragmatica su quella “intellettuale”.

Nella concezione brandomiana, dunque, l’area del normativo si espande considerevolmente fino a ricomprendere ogni fenomeno rispetto al quale è possibile assumere un atteggiamento pragmatico normativo nei termini anzidetti. Questo è un passaggio su cui conviene soffermare l'attenzione.

Le argomentazioni fin qui svolte giustificano per Brandom l'adozione di un approccio normativo alla pragmatica della intenzionalità e una teoria pragmatica sulla normatività dell'intenzionalità. Quanto al primo, si afferma che l'intenzionalità linguistica non è nell'ordine naturale delle cose, essendo piuttosto istituita dagli uomini con la propria attività di imposizione di significati e valori: nel sostenere questa posizione, egli adotta alcune intuizioni tratte dall’opera di Samuel Puferdorf sulla natura delle entità morali, considerate come proiezioni degli interessi umani, il cui compito consiste nel fornire una direzione alla libertà267. Secondo la tesi pragmatista

sulla normatività sviluppata in Making It Explicit, affinché si possa interagire con queste entità, non è necessario muoversi al livello della espressione linguistica proposizionale; piuttosto, la fonte degli status normativi che attribuiamo a noi stessi e agli altri, su cui insistono le costruzioni normative pubbliche, come il diritto, sono i nostri stessi atteggiamenti pratici.

Brandom definisce la propria posizione anche rispetto agli approcci cosiddetti regolaristi ai fenomeni normativi che concentrano l’attenzione sulla conformità alle regole a livello sociale intesa in senso descrittivo. In questo quadro non rileva l’aspetto prescrittivo della regola né il fatto che essa sia interpretabile come ragione per l’azione, non essendo neppure richiesto che le condotte siano consapevolmente poste in essere in applicazione di essa. In luogo delle nozione di correttezza, dunque, si impiegano quelle di regolarità o irregolarità nella valutazione delle pratiche rette da norme.

Le teorie che si caratterizzano per questa impostazione di fondo vengono definite simple regularity theories e contro di esse, ancora una volta, viene impiegato un argomento elaborato da Wittgenstein268. L’obiezione, devastante, riguarda il carattere in definitiva arbitrario della

selezione di un insieme di regolarità all’atto di giudicarne la conformità ad un regola. La regolarità non è una caratteristica intrinseca degli eventi ma presuppone concetti e categorie normative sulla cui base soltanto la selezione può essere operata: in altri termini, una performance, considerata

267 Ivi pp. 46 ss. 268 Ivi pp. 26-30.

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naturalisticamente, non può dirsi regolare o irregolare e, del resto, è immediato constatare come siano potenzialmente innumerevoli i profili rispetto ai quali essa potrebbe essere ritenuta regolare o irregolare. Questo approccio, allora, lungi dal risolvere in modo soddisfacente il problema della normatività, si limita a negarlo, cadendo, però, in contraddizione, come ben dimostra l’argomento di Wittgenstein.

Quale è allora la ricostruzione della normatività che Brandom ritiene soddisfacente, dopo il rifiuto delle teorie platoniste e regolariste? E' possibile una strategia per la concettualizzazione della normatività, che tenga conto degli argomenti di Wittgenstein?

Brandom ritiene che nella ricerca di un modello del normativo coerente con le conclusioni precedentemente esposte, occorra prendere in considerazione le tesi kantiane contenute nella seconda Critica.

Kant sosteneva che noi siamo soggetti alle norme o regole in modo diverso dagli oggetti inanimati e gli altri esseri viventi, nel senso che noi agiamo conformemente a concezioni o rappresentazioni di regole. In quanto cittadini del Regno della Libertà la loro "presa" su di noi è mediata dal nostro atteggiamento di riconoscimento di esse ed è così che esse divengono per noi cogenti269.

Brandom si spinge oltre, combinando questa intuizione con il pragmatismo di Wittgenstein sulle norme e giungendo a sostenere che tale atteggiamento di riconoscimento possa essere implicito nella pratica - un know how nella terminologia di Ryle. Non siamo caratterizzati solo da status normativi, che nell'elaborazione brandomiana sono equiparati agli stati intenzionali, ma anche da atteggiamenti pratici di riconoscimento in cui si concreta l'attività di attribuzione di significato normativo.

Ma cosa significa trattare praticamente una performance come corretta? Secondo l'approccio retributivo, adottato dal Nostro, trattare una performance come corretta significa produrre una sanzione, positiva o negativa, in sede di assessment: in particolare, Brandom è interessato a quel tipo di sanzione che può essere definita in termini normativi, come nel caso di concessione o ritiro di privilegi e licenze, o nelle ipotesi di mutamento di status. Ciò non esclude, tuttavia che sanzioni di questo genere, di tipo interno, possano essere ancorate o comunque ricollegate a sanzioni materiali o esterne: il sistema normativo deve essere considerato come un sistema di status connessi tra loro a livello sociale, sicché il mutamento di uno status derivante da una sanzione si riverbera olisticamente, sotto il profilo di cosa è corretto o meno, sul complesso della pratica, oltre il singolo atto di assessment270.

269 Ivi pp. 50-2.

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8. LA VERITÀ COME RESPONSABILITÀ: L’ESSERE DISCIOLTO NELLA

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