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L’esclusione delle materie demandate alla giurisdizione amministrativa e alla competenza in unico grado della corte d’appello

1. Controversie Premessa

1.6. L’esclusione delle materie demandate alla giurisdizione amministrativa e alla competenza in unico grado della corte d’appello

Il 1° co. dell’art. 12, l. 3 ottobre 2001, n. 366, ha espressamente stabilito che il le- gislatore delegato, nel delimitare l’ambito di applicazione del decreto sugli aspetti processuali della riforma del diritto societario, non avrebbe potuto mo- dificare la ripartizione, tra i vari giudici, della competenza per territorio e per materia.

Non essendo possibile modificare la competenza, a maggior ragione non era possibile modificare l’estensione della giurisdizione, che non è altro se non la sommatoria delle competenze riconosciute ai vari giudici26.

Era pertanto imposto dalla delega che il 2° co. dell’art. 1, d.lgs. 5/2003 dispo- nesse che restano ferme tutte le norme sulla giurisdizione.

Questo comporta che continuano ad appartenere alla giurisdizione ammi- nistrativa i controlli sugli atti delle autorità indipendenti, tra cui la Banca d’I- talia27e la Consob. Ed ora che la giurisdizione ordinaria ha ceduto a quella

amministrativa le materie dei pubblici servizi, compresa la vigilanza sul credi- to, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, non si può evitare di osservare come settori rilevanti della vita economica siano sottratti, oltre che all’applica-

26L’intangibilità delle norme sulla giurisdizione era invece stabilita esplicitamente dall’art. 11

del d.d.l. C. 7123/XIII, ripresentato nella successiva legislatura come d.d.l. C. 1137/XIV e poi tra- dotto con modificazioni nell’art. 12, l. 366/2001. Nell’originario progetto si prevedeva infatti che la competenza delle sezioni specializzate dovesse essere individuata «nell’ambito delle materie at- tribuite alla giurisdizione del giudice ordinario».

27Si tenga ad es. presente che ai sensi dell’art. 70, 7° co., d.lgs. 385/1993, alle banche non si ap-

plicano il Titolo IV della legge fallimentare e l’art. 2409 c.c., ma alla Banca d’Italia è attribuita la competenza a decidere con provvedimento motivato sulla denuncia proposta dall’organo di con- trollo ovvero dai soci che il codice civile abiliterebbe a proporre ricorso al tribunale ex art. 2409 c.c. in tutti i casi in cui (secondo quanto disposto dal t.u.b. dopo le modifiche operate dal decreto di coordinamento e di modifica per armonizzare il d.lgs. 385/1993 con la riforma del diritto socie- tario) vi sia il fondato sospetto che i soggetti con funzioni di amministrazione, in violazione dei propri doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione tali da poter arrecare danno al- la banca o ad una o più società controllate.

zione del nuovo rito dettato dal d.lgs. 5/2003, alle garanzie di indipendenza ed imparzialità riconosciute alla magistratura ordinaria e alla possibilità del ricor- so in Cassazione ai sensi dell’art. 111, 7° co. (già 2°), Cost.28.

Prescritto dalla delega era anche conservare la competenza attribuita in unico grado, per talune materie, alla corte d’appello.

Il 2° co. dell’art. 1, d.lgs. 5/2003 stabilisce pertanto che resta altresì ferma la competenza della corte d’appello prevista dall’art. 145, d.lgs. 1° settembre, 1993, n. 385 ossia dal t.u.b.29, e dall’art. 195, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e cioè dal t.u.f.

È quindi fatta espressamente salva la competenza della corte di appello, quale giudice di unico grado, nei giudizi di opposizione alle sanzioni ammini- strative applicate dal Ministero del tesoro per le violazioni previste dagli artt. 130 ss. t.u.b. e per quelle previste dagli artt. 188 ss. t.u.f. Nell’ambito della ri- spettiva competenza tali sanzioni sono proposte, ex art. 145 t.u.b., della Banca d’Italia o dell’Ufficio Italiano Cambi (UIC), ovvero, ex art. 195 t.u.f., della Banca d’Italia o della Consob.

Poiché la legge delega pone l’obbligo di conservare i vigenti criteri di ripar- tizione della competenza per territorio, e poiché sull’opposizione alle sanzioni applicate ai sensi dell’art. 145 t.u.b. è competente la sola Corte d’appello di Roma, mentre per le sanzioni applicate ex art. 195 t.u.f. è competente la corte d’appello del luogo in cui ha sede la società o l’ente cui appartiene l’autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, nel luo- go in cui la violazione è stata commessa, è implicito che la «corte d’appello» di cui al 2° co. dell’art. 2 è la Corte d’appello di Roma, per quanto riguarda le controversie di cui all’art. 145 t.u.b., mentre è la corte d’appello dove ha sede la società o in mancanza dove la violazione è stata commessa, per quanto ri- guarda le controversie di cui all’art. 195 t.u.f.30.

Piuttosto, ci si può domandare perché il decreto delegato non faccia salva la competenza in unico grado della corte d’appello anche nel campo dell’«an- titrust» ovvero, in altri termini, nella materia coperta dall’art. 33, 2° co., della l. 10 ottobre 1990, n. 287, recante «Norme per la tutela della concorrenza e del mercato». Secondo tale comma, le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni sulle intese, sull’abuso di posizione dominante, sull’Autorità garante, e sulle operazioni di concentrazione, di cui ai titoli da I a IV della legge ricordata, «sono promossi davanti alla corte d’appello compe- tente per territorio»31.

28In senso critico verso il Parlamento, che ha perso, con la legge delega, l’occasione di ricon-

durre il diritto dell’economia alla giurisdizione ordinaria, v. COSTANTINO, Il nuovo processo com-

merciale: la cognizione ordinaria in primo grado, in Riv. dir. process., 2003, 397 s.

29Nel testo modificato dal d.lgs. 4 agosto 1999, n. 333, e dal d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342. 30La Commissione Giustizia del Senato, nel parere sullo schema di decreto approvato il 30

settembre 2003, al punto 3), aveva suggerito al Governo di precisarlo, onde evitare incertezze, che non si comprende però perché mai avrebbero dovuto sorgere.

Probabilmente si tratta non di una scelta meditata, ma di una semplice di- menticanza.

Ed in ogni caso non si sfugge ad una secca alternativa. O si ritiene che, seb- bene non espressamente menzionata, sia stata preservata anche la previsione di cui al 2° co. dell’art. 33, l. 287/1990, dal momento che la legge delega ha espressamente escluso qualsiasi modifica dei criteri di competenza per mate- ria e per territorio. O si ritiene che il 2° co. dell’art. 2 sia incostituzionale, per violazione della delega, nella parte nella quale non prevede la salvezza della competenza esclusiva della corte d’appello in materia di antitrust.

Sembra invece non censurabile, alla luce dei parametri di costituzionalità, che il legislatore delegato non abbia previsto la salvezza delle competenze del giudice di pace. Per quanto ciò sembri più teorico che reale, considerato che le controversie contemplate dal d.lgs. 5/2003 sono normalmente di importo non modesto o comunque sono di importo non determinabile, e quindi rica- dono nella sfera di competenza del tribunale, potrebbe infatti accadere che il valore di una lite relativa ad una delle ipotesi di cui di cui alle lett. da a) ad e) del 1° co. dell’art. 1 sia indicato come inferiore alla soglia dei cinque milioni. In questo caso, la causa non potrà essere incardinata dinanzi al giudice di pa- ce anche perché il rito previsto dal d.lgs. 5, 2003 fa riferimento, per il primo grado, solo al giudizio dinanzi al tribunale. Ma poiché ad essere vietata dalla delega era la modifica del riparto delle competenze sotto il profilo del territo- rio e della materia e non anche sotto il profilo del valore, l’aver tenuto il giu- dice di pace fuori dal campo di applicazione del nuovo rito appare perfetta- mente legittimo.

2. Organo giudicante e rito da seguire

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