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Da quanto esposto in precedenza è già risultato chiaro che il giudice competen- te ad applicare le norme processuali contenute nel d.lgs. 5/2003 è il tribunale.

I vari tribunali disseminati sul suolo nazionale si ripartiscono tra loro la competenza per territorio in base agli ordinari criteri.

2.2. Le questioni di rito: dal rito ordinario al rito speciale

Quanto poi al rito da seguire, è da notare che, secondo il 1° co. dell’art. 1, il rito previsto dal decreto delegato deve essere osservato anche nelle controversie che con quelle sin qui descritte sono legate da un rapporto di accessorietà (art. 31 33, devono essere proposti davanti al T.a.r. del Lazio, i ricorsi avverso i provvedimenti ammini- strativi adottati sulla base sempre delle disposizioni di cui ai titoli da I a IV della legge.

c.p.c.), di garanzia (art. 32 c.p.c.), di connessione oggettiva (art. 33 c.p.c.), di pre- giudizialità (art. 34 c.p.c.), di compensazione (art. 35 c.p.c.) o di riconvenzione (art. 36 c.p.c.).

Il rito speciale viene dunque espressamente sancito come sempre prevalen- te, cosa che sarebbe risultata incerta se lasciata al disposto dell’art. 40, 3° e 4° co., c.p.c.

Il 5° co. dell’art. 1, assente nello schema approvato dal Consiglio dei Mini- stri il 30 settembre 2002 ed aggiunto in seguito, nel testo approvato il 10 gen- naio 2003, ha poi disciplinato il mutamento del rito da ordinario a speciale.

Per il decreto, infatti, rilevato che una causa relativa ad uno dei rapporti di cui al 1° co. è stata proposta in forme diverse da quelle previste dal d.lgs. 5/2003, il giudice dispone con ordinanza il mutamento di rito e la cancellazione della causa dal ruolo. Il processo quindi procede nelle forme speciali. In particolare, il legislatore precisa che dalla comunicazione dell’ordinanza con cui è stato dispo- sto il mutamento del rito decorrono i termini di cui all’art. 6, se l’ordinanza è sta- ta emessa a seguito dell’udienza di prima comparizione, e i termini di cui all’art. 7 in ogni altro caso, ferme restando le decadenze già maturate.

Non ben comprensibile è la ragione per cui il giudice, nel disporre il muta- mento del rito, ordini anche la cancellazione della causa dal ruolo32.

In ogni caso, prendendo atto della disciplina dettata dal legislatore, la vi- cenda processuale a cui va incontro una controversia societaria promossa con forme diverse da quelle di cui all’art. 2 del decreto sarà, di norma, sinte- tizzante nei passaggi qui di seguito illustrati.

Bisogna partire dal presupposto che la causa venga radicata con citazione a udienza fissa, secondo le regole del processo di cognizione ordinaria, erro- neamente applicate dall’attore.

Il convenuto, tenuto conto che l’ordinanza di conversione del rito non può incidere, secondo quanto chiarisce il 5° co. dell’art. 1, sulle decadenze maturate con riferimento al rito inizialmente adottato, dovrà, assecondando l’errore di parte attrice, costituirsi ex art. 167 c.p.c., depositando in cancelleria la propria comparsa di costituzione e risposta nei venti giorni prima dell’udienza indicata dall’attore in atto di citazione. Ciò a pena di decadenza dalla facoltà di spiega- re domande riconvenzionali o di chiamare in causa terzi33.

32Una previsione di questo tipo sarebbe stata logica se il legislatore avesse lasciato «fuori dal

circuito giudiziario l’intera fase preparatoria prevedendo che l’iscrizione a ruolo avvenga col de- posito dell’istanza di fissazione dell’udienza corredata dagli atti di parte e dai documenti», come si esprimeva, provocatoriamente radicalizzando il modello processuale proposto dal Governo, il pa- rere reso dal C.S.M. sullo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2002. In quell’ipotesi, non essendo prevista l’iscrizione a ruolo sino all’istanza di fissazione dell’u- dienza, sarebbe stato inevitabile cancellare la causa dal ruolo per riportarla al suo corretto stato di avanzamento.

33Nel medesimo senso, v. FABIANI, La partecipazione del giudice al processo societario, in

www.judicium (15 settembre 2003), par. 9.3, il quale ricorda che, analogamente, nel caso del muta-

Il giudice, all’esito dell’udienza di prima comparizione34, dovrà disporre il

mutamento del rito e ordinare la cancellazione della causa dal ruolo.

L’attore, quindi, se interessato a proseguire il processo per conservare gli effetti della domanda giudiziale, dovrà attivarsi per riassumere la causa e nel contempo, con il medesimo atto, notificare la memoria di replica di cui all’art. 635. Nei dieci giorni successivi alla riassunzione-replica, l’attore dovrà poi rei-

scrivere la causa a ruolo, e il procedimento potrà così considerarsi a tutti gli ef- fetti convertito al rito speciale, nelle cui forme potrà continuare sino all’ema- nazione della sentenza.

2.3. (Segue.)... e dal rito speciale al rito ordinario

Il mutamento del rito da speciale a ordinario è invece disciplinato, con una ag- giunta anche qui operata nel testo approvato il 10 gennaio 2003 dal Consiglio dei Ministri, dal 6° co. dell’art. 16.

Secondo tale disposizione, quando rileva che una causa promossa nelle for- me di cui al d.lgs. 5/2003 riguarda un rapporto diverso da quelli previsti dal- l’art. 1, il tribunale, se è competente, dispone con ordinanza il cambiamento del rito, designa il giudice istruttore e fissa l’udienza di trattazione. Se non è competente, il tribunale rimette la causa con ordinanza al giudice competente e fissa un termine perentorio non superiore a novanta giorni per il deposito del ricorso in riassunzione. Come nel caso inverso, restano ferme le decadenze ormai maturate.

2.4. La composizione normalmente collegiale del tribunale

Passando alla composizione dell’organo giudicante, la lett. b) del 2° co. del- l’art. 12, l. 3 ottobre 2001, n. 366, delegava il Governo ad attribuire al tribunale in composizione collegiale tutte le controversie ricomprese nell’ambito di ap- plicazione della nuova disciplina, salvo, in considerazione della natura degli in- teressi coinvolti, ipotesi eccezionali di giudizio monocratico.

Il legislatore delegato ha pertanto stabilito, al 3° co. dell’art. 1, che nella ma- teria oggetto del d.lgs. 5/2003, il tribunale competente giudicherà, a norma del capo I del titolo II del decreto in esame, in composizione collegiale.

cui all’art. 413 c.p.c., la domanda riconvenzionale deve essere stata proposta entro il termine di co- stituzione e cioè almeno dieci giorni prima dell’udienza».

34Poiché l’art. 5, ult. co., stabilisce che il mutamento del rito e la cancellazione della causa dal

ruolo vengano disposti «a seguito dell’udienza di prima comparizione» o successivamente, non sembra possibile, per il giudice che si accorga al momento dell’assegnazione del fascicolo dell’er- roneo utilizzo del rito ordinario di cognizione, provvedere immediatamente, prima che si sia svol- ta l’udienza ex art. 180 c.p.c.

Questa riserva di collegialità, che va ad aggiungersi a quelle contemplate dal- l’art. 50 bis c.p.c.36, nell’ambito delle quali già si annoveravano, peraltro, le più im-

portanti categorie di controversie societarie37, non vale però in relazione alle con-

troversie di cui all’art. 1, 1° co., lett. e), e cioè alle controversie in materia bancaria e creditizia, a meno che non si tratti di azioni «collettive», promosse da o contro as- sociazioni rappresentative dei consumatori o dalle Camere di commercio. In que- st’ultimo caso, infatti, il tribunale dovrà giudicare in composizione collegiale38.

In pratica, dunque, il nuovo procedimento appartiene alla competenza col- legiale del tribunale e il rito monocratico avrà luogo solo nel caso di contro- versie tra banche.

Ciò lascia alquanto perplessi, dal momento che non appare immediatamen- te evidente perché mai proprio nel caso delle controversie tra istituti di credito in ordine alla materia alla quale fa riferimento la lett. e) del 1° co. dell’art. 1 si verserebbe in una di quelle «ipotesi eccezionali (...) in considerazione della na- tura degli interessi coinvolti» che, in base alla legge delega, possono essere at- tribuite alla cognizione del tribunale in composizione monocratica39. Forse sa-

36Quanto a tali ipotesi, per la Commissione Vaccarella si tratta di «un coacervo incomprensi-

bile di casi», tanto che il punto 16) della proposta presentata alla stampa il 12 luglio 2002 (ed ora l’art. 25 del d.d.l. delega C. 4578/XIV) predica di riformulare le fattispecie secondo criteri ricono- scibili e condivisibili, riconoscendo al presidente del tribunale la facoltà di assegnare al collegio le controversie già decise in senso difforme da giudici monocratici.

37Il n. 5) dell’art. 50 bis c.p.c. attribuisce al collegio le cause di impugnazione delle deliberazioni

dell’assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché le cause di responsabilità da chiunque pro- mosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali e i liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi.

38Occorre in proposito ricordare che, secondo il testo originariamente pubblicato in Gazzetta

Ufficiale, l’esclusione della monocraticità avrebbe dovuto operare solo quando la causa fosse stata «promossa da» una associazione dei consumatori o da una camera di commercio e quindi non an- che nel caso, piuttosto raro ma non impossibile, in cui fosse stata «promossa contro» di esse (lo rile- vava ad es. VULLO, Il nuovo processo delle società, in Studium iuris, 2003, 552, part. nota 8). Risulta- va però avvolto nel mistero il motivo dell’esclusione del giudizio collegiale per le azioni intentate dagli istituti di credito nei confronti delle associazioni dei consumatori o delle camere di commer- cio e non viceversa. E di conseguenza, considerato come i due tipi di causa possano essere perfetta- mente simmetrici, divergendo solo per la posizione di attore o di convenuto della banca, sembrava lecito dubitare che tale differenziazione fosse costituzionalmente legittima, con il riferimento al- l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza (sull’esistenza di dubbi di costituzionalità, v. il pa- rere del C.S.M. sullo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2002).

Prima che potesse essere sottoposta alla Consulta, la questione è stata ad ogni modo risolta dalla Presidenza del Consiglio, che, con comunicato relativo al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, pubbli- cato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2003, ha diramato un avviso di rettifica in cui si preci- sa che il 3° co., secondo periodo, dell’art. 1, dove era scritto: «Nelle azioni promosse da associazio- ni (...)», deve leggersi: «Nelle azioni promosse da o contro associazioni (...)». La mancata menzio- ne, nel testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 22 gennaio 2003, delle azioni promosse «con- tro» le associazioni dei consumatori o le camere di commercio dipendeva, dunque, non da una scelta ragionata, ma da una semplice omissione materiale dei redattori del decreto.

39Per questa considerazione, v. il parere del C.S.M. sullo schema di decreto approvato dal

rebbe stato allora opportuno seguire il suggerimento espresso dalla Commis- sione Giustizia del Senato di non prevedere eccezioni alla regola della colle- gialità e conseguentemente di sopprimere, insieme alla previsione della mono- craticità delle liti ex legge n. 385 del 1993, la stessa previsione del rito mono- cratico, a cui il d.lgs. 5/1993 dedica l’art. 1840.

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