DAVANTI AL TRIBUNALE
6. L’impugnazione in corte d’appello dell’ordinanza di condanna
Contro l’ordinanza di condanna, emanata a chiusura del giudizio sommario, può essere proposta, secondo quanto dispone il 4° co. dell’art. 19, esclusiva- mente impugnazione davanti alla corte di appello nelle forme di cui all’art. 20. Come sottolinea l’avverbio «esclusivamente»19, contro l’ordinanza di con-
danna sommaria non è dunque ammesso il ricorso diretto in Cassazione, nemmeno se le parti lo pattuiscono ai sensi del 4° co. dell’art. 20, né è con- sentito, come invece sarebbe stato probabilmente opportuno, proporre recla- mo sulla falsariga di quanto previsto per il procedimento cautelare e per quello camerale.
Chi sia condannato in sede sommaria può solo, con l’impugnazione in corte d’appello, aprire una fase a cognizione piena che si conclude con una sentenza idonea a passare in giudicato. O più esattamente, può anche decide- re, in alternativa al passaggio, con l’impugnazione, dal rito sommario al rito a cognizione piena, di soggiacere alla condanna sommaria ma nel frattempo iniziare un giudizio a cognizione piena per l’accertamento negativo del dirit- to sul presupposto della cui esistenza è stata emanata l’ordinanza e per la re- stituzione delle somme pagate in ottemperanza alla condanna sommaria. Se- condo il 5° co. dell’art. 19, infatti, dall’ordinanza non impugnata non conse- guono gli effetti dell’art. 2909 c.c., e dunque, quando l’appello non sia stato proposto e sia decorso il relativo termine di proponibilità, sarà sempre possi- bile investire il giudice, nelle forme ordinarie, della controversia risolta in se- de di processo sommario20.
19Che mancava nello schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre
2002 ed è stato aggiunto approvando, il 10 gennaio 2003, il testo poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
20SALETTI, op. cit., 482, al riguardo, definisce l’appello ex art. 19, 4° co., come un «mezzo di con-
trollo facoltativo»: «se la parte intende avvalersene, si addiverrà ad una decisione destinata ad ac- quisire l’autorità e gli effetti della cosa giudicata, precludendo ogni ulteriore possibilità di discus- sione sulla controversia così risolta; mentre, ove non ne approfitti, le sarà comunque concesso di
L’impugnazione in corte d’appello ai sensi del 4° co. dell’art. 19 è in sostan- za una opposizione che, su impulso di parte, converte il giudizio sommario in un giudizio di cognizione piena da svolgere in un unico grado di merito.
Sono quindi forti le analogie con il giudizio di opposizione a decreto in- giuntivo, che segna anch’esso il passaggio da una fase sommaria a una fase di piena cognizione.
Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è tuttavia suscettibile di due gradi di merito.
Ci si può pertanto chiedere perché il legislatore delegato abbia preferito prevedere un unico grado di merito, in cui svolgere il giudizio a cognizione piena, anziché adottare un meccanismo impugnatorio simile a quello previsto negli artt. 645 ss. del codice di rito21.
Più che la fedeltà al modello del référé22, è presumibile che soprattutto altre
ragioni abbiano consigliato di non costruire l’impugnazione del provvedimento sommario come un ordinario procedimento di primo grado, sulla falsariga del- l’opposizione a decreto ingiuntivo, ma di prevedere che il rimedio prenda le for- me dell’appello e si svolga in unico grado di merito davanti alla corte distrettuale. Queste ragioni sono da cercare fondamentalmente nella struttura del giudi- zio sommario di cui all’art. 19: dato che tale giudizio, ancorché sommario, si svolge in contraddittorio tra le parti, era inutile richiamare un meccanismo quale quello di cui agli artt. 645 ss. c.p.c., pensato come rimedio nei confronti di un provvedimento emanato inaudita altera parte, dove l’opposizione apre la porta allo svolgimento di due gradi di merito oltre al ricorso di legittimità in Cassazione. Contemplare un solo grado di merito, successivo ad una fase som- maria nella quale sia assicurato il dispiegarsi del contraddittorio, era invero sufficiente. Diversamente, come si nota nella relazione illustrativa23, la normale
scansione del giudizio sarebbe stata aggravata sostanzialmente di un grado proprio in presenza delle controversie più semplici ossia quelle per le quali il giudice non abbia ritenuto necessaria la conversione nelle forme ordinarie per lo svolgimento del giudizio di cognizione piena.
Quanto al giudizio di impugnazione del provvedimento sommario, occorre rinviare agli artt. 20 ss., che deve ritenersi si applichino integralmente, con l’ec- cezione, a cui si è accennato in precedenza, del 4° co. dell’art. 20
C’è però qualche dubbio riguardo all’operatività di specifiche disposizioni del codice di rito.
ricorrere – successivamente alla scadenza dei termini per l’appello – alle forme di tutela ordinaria, provocando per tale via, qualora decida di utilizzarla, una decisione con efficacia di giudicato del- la controversia, allo stato risolta solo a fini esecutivi, con il rito sommario».
21L’apprestamento di un rimedio costruito sulla falsariga dell’opposizione al decreto ingiunti-
vo era stato suggerito, come ricorda la relazione illustrativa dello schema approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 gennaio 2003, in sede parlamentare.
22Alla quale si accenna nella citata relazione illustrativa.
23Ci si riferisce alla relazione governativa allo schema approvato dal Consiglio dei Ministri
In particolare, in sede parlamentare ci si è posti il problema dell’applicabi- lità dell’art. 283 c.p.c., secondo cui il giudice dell’appello, su istanza di parte, proposta con l’impugnazione, quando ricorrono gravi motivi, sospende in tut- to o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, suggerendo al Governo di integrare il 4° co. dell’art. 19 con il richiamo alla di- sposizione codicistica24. Ma è indubbio che la disciplina sull’inibitoria di cui
all’art. 283 c.p.c., per quanto non espressamente richiamata né dall’art. 19 né dagli artt. 20 ss. debba applicarsi in virtù del richiamo generale alle disposizio- ni del codice di procedura civile, in quanto compatibili, operato, per quanto non diversamente disciplinato, dal 4° co. dell’art. 1.
Piuttosto, ci si deve porre il problema dell’applicabilità dell’art. 345 c.p.c., sul divieto di prove nuove in appello, nel giudizio di impugnazione del provve- dimento sommario. Se infatti le forme di cui all’art. 20, richiamate dal 4° del- l’art. 19, dovessero intendersi assolutamente coincidenti con quelle che rego- lano il procedimento di appello, si dovrebbe ritenere che l’art. 345 c.p.c., sicco- me è da considerare applicabile al giudizio di appello previsto dal d.lgs. 5/2003, è da considerare applicabile anche al giudizio di impugnazione del provvedimento sommario. Il che, però, determina una serie di inconvenienti, forse non meditati a sufficienza dal legislatore delegato, che sembra aver tra- scurato come l’appello di cui agli artt. 20 ss., d.lgs. 5/2003 abbia mantenuto la struttura chiusa del gravame codicistico, senza, sotto questo aspetto, aderire alle suggestioni del progetto Vaccarella per la riforma complessiva del proces- so civile, nel quale si auspica la reintroduzione di un appello a struttura aper- ta, dove le parti sono libere di dedurre nuovi mezzi di prova e produrre nuovi documenti25.
Ma tornando agli inconvenienti suscitati dall’applicazione dell’art. 345 c.p.c., basti osservare che, qualora dovesse ritenersi che debbano operare le li- mitazioni ai nova probatori valevoli in generale, sorgerebbero serie difficoltà in capo a chi intendesse reagire con l’impugnazione contro la pronuncia nei suoi confronti di un provvedimento sommario esecutivo. L’impugnante, infatti, dovrebbe intraprendere un giudizio di appello dove gli è vietato apportare prove nuove, affrontando il rischio di non riuscire a rovesciare quanto deciso in sede sommaria e di risultare soccombente anche nel nuovo giudizio, con l’aggravante di subire una condanna divenuta idonea a passare in giudicato. Si determinerebbe così la conseguenza che il giudizio di impugnazione del prov- vedimento sommario, pur dando luogo ad un accertamento recepito in una sentenza suscettibile di assumere efficacia di giudicato, non potrebbe correg- gere, con la proposizione di nuove prove, le caratteristiche di sommarietà del giudizio conclusosi con il provvedimento impugnato.
24Così il punto 25) della relazione, sullo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Mini-
stri il 30 settembre 2002, dell’apposita commissione parlamentare.
25Cfr. la lett. f) del punto 32) della proposta presentata alla stampa il 12 luglio 2002 ed adesso
Meglio allora sarebbe, piuttosto che appellare, iniziare ex novo un giudizio a cognizione piena per tentare di vanificare, attraverso un accertamento negativo del diritto e una contestuale domanda di restituzione di quanto pagato all’esito della fase sommaria, gli effetti dell’ordinanza di condanna da cui si sia stati colpi- ti. Come si è già accennato, una tale reazione appare sicuramente consentita, dato che il provvedimento sommario, non potendo formare cosa giudicata, non ha la forza di impedirla. Non si potrebbe però evitare, durante la pendenza della causa di accertamento negativo, la grave conseguenza di dover subire l’esecuzione sulla base del provvedimento sommario, la cui efficacia esecutiva può essere sospesa solo dal giudice d’appello, con il provvedimento d’inibitoria ex art. 283 c.p.c.
Meglio ancora è, ad ogni modo, ritenere che, nel giudizio di impugnazione del provvedimento sommario, le norme sul processo d’appello contenute nel codice di rito operino non per il solo fatto di essere applicabili ex art. 20 al giu- dizio di appello ma in quanto compatibili con l’impugnazione dell’ordinanza di condanna qui in esame. In altri termini, deve ritenersi che il 4° co. dell’art. 19, richiamando, insieme agli altri commi, anche il 2° co. dell’art. 20, secondo cui «si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 341 ss. c.p.c.», imponga una va- lutazione di compatibilità non tra gli artt. 341 ss. e il giudizio di appello nel nuovo rito di cui al d.lgs. 5/2003 ma tra gli artt. 341 ss. e il giudizio di impugna- zione del provvedimento sommario. E poiché, a causa degli inconvenienti a cui dà luogo, l’art. 345 c.p.c. pare chiaramente incompatibile, nella parte in cui vie- ta la proposizione di prove nuove, con l’impugnazione del provvedimento sommario, deve concludersi che, nel procedimento intentato davanti alla corte d’appello contro l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 19, sia consentito intro- durre nuove prove.
Infine, passando ad altro tema, non c’è ragione di escludere la soggezione della sentenza d’appello, resa in seguito all’impugnazione del provvedimento sommario, a tutti i mezzi e i motivi di impugnazione previsti dall’ordinamento nei confronti delle sentenze pronunciate in secondo o in unico grado. Tra l’altro, deve quindi ritenersi ammesso il ricorso in Cassazione per tutti i motivi di cui al- l’art. 360 c.p.c. Né in senso contrario pare possa aver pregio argomentare che, siccome il 4° co. dell’art. 19 consente di esperire contro l’ordinanza sommaria di condanna «esclusivamente impugnazione davanti alla corte d’appello», ogni im- pugnazione diversa deve ritenersi vietata, salvo il ricorso straordinario in Cassa- zione contemplato dall’art. 111, 7° co., Cost.26. Infatti, con la proposizione della
prima impugnazione, la regola del divieto di impugnare fuori dalla corte d’ap- pello esaurisce il suo scopo (che è quello di far evolvere il procedimento somma- rio in un processo a cognizione piena in unico grado) e la sentenza sostituitasi al- l’ordinanza impugnata potrà essere soggetta, secondo le norme generali, a ogni ulteriore eventuale impugnazione prevista dalla legge processuale.
26Nel senso che l’ordinanza di condanna appellata sia ricorribile in Cassazione solo ex art. 111
Cost., v. CARRATTA, Riflessioni «a prima lettura» sui riti per le controversie societarie e finanziarie, in Dir. e Giust., 22 febbraio 2003, n. 7, 19 s., che peraltro, sul punto, non motiva la sua posizione.