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DAVANTI AL TRIBUNALE

3. Fase predibattimentale (dalla designazione del giudice relatore alla fissazio ne dell’udienza: art 12)

3.2. Il decreto di fissazione dell’udienza: l’emanazione

Il giudice relatore, entro cinquanta giorni dalla designazione, deve, ai sensi del 2° co. dell’art. 12, sottoscrivere e depositare in cancelleria il decreto di fissazio- ne dell’udienza, da comunicare alle parti costituite.

Quello di cinquanta giorni è, naturalmente, un termine ordinatorio50, ma

sottoposto a un regime diverso da quello degli altri termini a cui il giudice è te- nuto ad ubbidire.

Come tutti i termini ordinatori esso può essere infatti prorogato.

Tuttavia, il potere di proroga non è riconosciuto al giudice della causa, co- me vorrebbero le regole generali, bensì, secondo quanto dispone l’ultima par- cessivamente, recependo una sollecitazione del C.S.M., nel testo approvato dal Consiglio dei Mi- nistri del 10 gennaio 2003, la formula originariamente adottata nel 1° co. dell’art. 12 costituiva evidentemente il frutto di un difetto di coordinamento e precisamente del fatto che non si fosse tenuto conto dell’anticipazione del momento della formazione del fascicolo d’ufficio. L’esattezza di questa ricostruzione è ora confermata dal comunicato relativo al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, diramato dalla Presidenza del Consiglio e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2003, in cui si precisa che il 1° co. dell’art. 12 va letto nel senso che «il cancelliere, presenta senza indugio al presidente il fascicolo d’ufficio contenente tutti gli atti e documenti depositati dalle parti» e non, come originariamente era scritto, nel senso che «il cancelliere, nei tre giorni succes- sivi, forma il fascicolo contenente tutti gli atti e documenti depositati dalle parti e lo presenta senza indugio al presidente».

50In questo senso, v. anche CARRATTA, Riflessioni «a prima lettura» sui riti per le controversie

societarie e finanziarie, in Dir. e Giust., 22 febbraio 2003, n. 7, 108, a cui avviso il carattere ordinato-

rio «emerge chiaramente dal fatto che lo stesso art. 12 ne ammette la prorogabilità da parte del presidente “per comprovate ragioni”, a norma dell’art. 154 c.p.c.».

te del 2° co. dell’art. 12, dal presidente del tribunale, che può esercitarlo solo quando sussistano «comprovate ragioni»51.

In tale maniera il legislatore delegato ha inteso segnalare l’eccezionalità del mancato rispetto del termine. Ma ciò ha un significato prevalentemen- te simbolico, non valendo certo ad impedire, qualora le nuove pendenze non riescano ad essere smaltite e il carico di lavoro dei giudici conseguentemente cresca, che si formino le condizioni obiettive per concedere la proroga. Potrebbe quindi essere inevitabile, nonostante il controllo esercitato dal pre- sidente del tribunale, che, nella normalità dei casi, il periodo tra il deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza e l’emanazione del decreto ecceda il limite dei cinquanta giorni, divenendo una «cassa di compensazione» ana- loga a quella che nelle controversie rette dal rito ordinario anteriore alla riforma del 1990 veniva identificata con l’intervallo frapposto fra la preci- sazione delle conclusioni e l’udienza collegiale e nel rito successivo alla Novella viene a collocarsi fra la fine della fase di trattazione o istruzione e la precisazione delle conclusioni52.

3.3. (Segue.) ... la fissazione della data dell’udienza e i provvedimenti istruttori

La funzione del decreto di fissazione dell’udienza è innanzitutto quella di indi- viduare la data per lo svolgimento dell’udienza collegiale, che, ai sensi della lett. a) del 3° co. dell’art. 12, deve tenersi non prima di dieci e non oltre trenta giorni dalla comunicazione alle parti del provvedimento di fissazione.

Ma il decreto in esame non si limita a stabilire puramente e semplicemente quando dovrà tenersi l’udienza.

Il decreto di fissazione dell’udienza è in realtà un provvedimento dal conte- nuto complesso53, che il giudice può pronunciare soltanto dopo aver attenta- 51Osserva il C.S.M. nel parere reso sullo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Mini-

stri del 30 settembre 2002, che sotto questi aspetti non ha subito modifiche nel testo nuovamente approvato il 10 gennaio 2003 e poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che «è singolare che, a fronte della rilassatezza dei termini relativi alla fase preliminare, improvvisamente si tenta di dare un’ac- celerazione al giudizio, nel momento in cui compare il giudice, con la previsione di termini (art. 12 ss.) tanto brevi per gli adempimenti della cancelleria, del Presidente, del giudice relatore, del Col- legio da apparire, con tutta evidenza, insufficienti dato il presumibile carico di lavoro gravante su- gli uffici giudiziari».

52Secondo RICCI, Verso un nuovo processo civile?, in Riv. dir. process., 2003, 221, una volta richiesta

la fissazione dell’udienza da una qualunque delle parti, la pronuncia del relativo provvedimento da parte del giudice ha molte probabilità di dover essere attesa a lungo. Nel medesimo senso, v. PROTOPI-

SANI, Verso una nuova stagione di riforme?, in Foro it., 2002, V, 189 ss., part. 192, e CARRATTA, op. cit., 107 s., e, secondo cui la redazione del decreto di fissazione dell’udienza rappresenta una incombenza «che il giudice potrebbe agevolmente assolvere ove avesse modo di prender parte anche alla fase pre- paratoria, ma che, invece, diventa estremamente difficile per un giudice che – come prevede il decreto legislativo – rimane (deve rimanere) rigorosamente in disparte».

mente studiato gli atti precedentemente scambiati tra le parti e che definisce il «programma di lavoro»54 della successiva trattazione della causa davanti al

collegio. Esso, infatti, come dispone il 3° co. dell’art. 12, risolve importanti que- stioni istruttorie relative alla definizione del thema probandum (tutte comun- que propriamente decise dal collegio, ex art. 16, all’esito della discussione svol- tasi in udienza nel contraddittorio tra le parti, con ordinanza che conferma, re- voca o modifica quanto in precedenza decretato dal giudice relatore), indirizza i difensori alla trattazione di questioni ritenute importanti per la decisione, convoca, se lo ritiene utile, le parti.

In particolare, con il decreto, il giudice relatore deve assumere provvedi- menti relativi all’istruzione della causa, deve indicare alle parti le questioni di rito e di merito rilevabili d’ufficio che potrebbero influire sulla decisione, deve disporre, ove appaia opportuno, la comparizione personale dei contendenti per esperire il tentativo di conciliazione e l’interrogatorio libero.

Quanto ai provvedimenti relativi all’istruzione, il 3° co. dell’art. 12 dispone, ai sensi della lett. b), che il decreto di fissazione dell’udienza contenga l’am- missione di mezzi istruttori disponibili d’ufficio o dei mezzi di prova richiesti dalle parti, nonché la succinta esposizione delle ragioni di inammissibilità o ir- rilevanza delle istanze istruttorie55.

Il giudice relatore, dunque, si pronuncia sull’ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova chiesti dalle parti e dispone l’assunzione di mezzi istruttori am- missibili d’ufficio, per individuare i quali, in mancanza di diverse indicazioni, occorre fare riferimento al codice civile e di procedura civile56.

stampa il 12 luglio 2002 dalla Commissione Vaccarella, in seguito recepito nell’art. 19 del d.d.l. dele- ga C. 4578/XIV, in cui si suggerisce di «prevedere che l’udienza sia fissata con decreto, il quale deve sempre contenere l’indicazione delle questioni, di rito e di merito, rilevabili d’ufficio; una pronun- cia, succintamente motivata, sull’ammissibilità delle prove disponibili d’ufficio o su istanza di par- te; l’invito alle parti, ove appaia opportuno ai fini dell’interrogatorio libero e/o del tentativo di con- ciliazione, a comparire personalmente all’udienza; l’autorizzazione o anche l’invito, ove appaia op- portuno, a depositare brevi memorie conclusionali prima dell’udienza, eventualmente indicando le questioni bisognose di trattazione; eventuali provvedimenti volti alla regolarizzazione della costi- tuzione delle parti, alla integrazione del contraddittorio, alla chiamata in causa di terzi, alla rinno- vazione della notificazione della citazione, con conseguente adeguato differimento dell’udienza al fine di consentire il pieno contraddittorio anche con i terzi evocati in giudizio o intervenuti».

54L’espressione è di CARRATTA, op. cit., 107.

55È da ritenere che le regole di ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova siano le medesi-

me valide per il processo ordinario di cognizione.

Si deve però ricordare che, ai sensi del 3° co., dell’art. 40, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell’eventuale tentativo di conciliazione stragiudiziale (che di per sé potrebbero rivestire anche carattere confessorio) non possono essere utilizzate, salvo che ai fini della decisione sulle spese, né possono essere oggetto di prova testimoniale. Per considerazioni sul punto, v. SANZOe MIGLIACCIO, sub artt. 38-40, d.lgs. 5/2003, in questo Commentario, par. 3.2; NEGRINI, sub art. 40, d.lgs. 5/2003, in CHIARLONI(a cura di), Il nuovo processo societario, Bologna, 2004, par. 1.

56Il punto 19) del parere del Senato sullo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Mini-

stri il 30 settembre 2002, invitava il Governo a chiarire, «con riferimento alla previsione del 3° co., lett. b) dell’art. 12, quali devono intendersi essere i mezzi istruttori che possono essere disposti

Tra gli altri mezzi istruttori ammissibili d’ufficio è da ritenere non escluso il deferimento d’ufficio del giuramento suppletorio ex art. 2736, n. 2), c.c., quando la domanda o le eccezioni non siano pienamente provate ma non siano nemme- no del tutto sfornite di prova ovvero, nella forma del giuramento estimatorio, al fine di stabilire il valore della cosa domandata. Nel senso dell’inammissibilità del deferimento del giuramento suppletorio ex art. 2736, n. 2), c.c., potrebbe invero sostenersi che la lett. f) dell’art. 12 non contempla, tra i vari contenuti possibili del decreto di fissazione dell’udienza, il deferimento del giuramento suppletorio di cui al n. 2) dell’art. 2736 c.c. ma solo il deferimento del giuramento suppletorio a norma dell’art. 13, 2° co., e cioè il giuramento deferibile all’attore quando il convenuto non si sia tempestivamente costituito per poter considerare come non contestati i fatti posti a fondamento della domanda. Tuttavia, prescindendo dal- l’opportunità di mantenere l’istituto57, l’argomento è debole e non tiene conto

del fatto che il potere di deferire il giuramento suppletorio ai sensi dell’art. 2736 c.c. con il decreto di fissazione dell’udienza può comunque discendere dalla pre- visione generale di cui alla lett. b) del 3° co. dell’art. 12.

L’ammissione o viceversa la non ammissione con il decreto di fissazione dell’udienza delle prove disponibili d’ufficio non consuma peraltro il potere del giudice di esercitare poteri istruttori officiosi in momenti successivi.

L’esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice è infatti collegato alla valutazione della capacità delle prove portate dalle parti di condurre ad una decisione sulla base della regola dell’onere della prova. In linea di massima, se queste prove non sono sufficienti a sorreggere domande o eccezioni, l’istruttoria potrà essere integrata con il legittimo esercizio dei poteri d’ufficio del giudice.

Talora una valutazione del tipo di quella descritta potrà essere operata sin d’ufficio e quali le condizioni con cui gli stessi possono essere ammessi». Poiché il legislatore dele- gato non ha ritenuto di operare alcun chiarimento in merito, occorre tuttavia ricavare i relativi principi dal codice di rito.

57Il deferimento del giuramento suppletorio è statisticamente infrequente, preferendo i giudi-

ci applicare la regola dell’onere della prova.

È del resto comprensibile che l’istituto venga, in pratica, disapplicato. Sembra infatti difficile giustificare, sul piano del rispetto del principio di uguaglianza, che una medesima situazione possa risolversi in maniera diametralmente opposta, con l’accoglimento della domanda o al contrario con la sua reiezione in applicazione della regola dell’onere della prova, a seconda della discrezionale va- lutazione del giudice di deferire o no il giuramento suppletorio. Oggi, inoltre, l’attribuzione al giudi- ce di un potere discrezionale così ampio come quello di cui al n. 2) dell’art. 2736 c.c. desta altresì per- plessità sotto il profilo della possibile violazione del nuovo testo dell’art. 111 Cost., che riserva alla legge la regolamentazione del processo (per l’incostituzionalità sotto numerosi ulteriori profili e co- munque per la contrarietà del giuramento suppletorio ai principi del giusto processo, v. DEVITA,

L’«ingiustizia» del giuramento suppletorio: nuove prospettive di incostituzionalità dell’istituto alla lu- ce del riformato art. 111 Cost., in Riv. dir. proc., 2003, 910 ss., part. 936 ss., il quale si esprime critica-

mente nei confronti dell’ampliamento della fruibilità dell’istituto operato, prevedendone la deferi- bilità anche in una nuova ipotesi, con il d.lgs. 5/2003. In giurisprudenza, per la non manifesta infon- datezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2736, n. 2), c.c., v.Trib. Napoli, 21 settem- bre 2001, ord., in Riv. dir. process., 2003, 908, ed al contrario, per la manifesta infondatezza, Cass., 15 gennaio 2003, n. 525, in Giur. it., 2003, 2027, con osservaz. di LUPANO.

dal momento dell’emanazione del decreto di fissazione dell’udienza. Così, ad esempio, quando le parti non abbiano chiesto l’ammissione di mezzi di prova costituendi o tali mezzi siano inammissibili, e l’attore fondi la propria doman- da su una documentazione da cui emerga una semiplena probatio, nulla impe- disce che il giuramento suppletorio sia subito deferito dal Collegio, confer- mando, sotto questo aspetto, il decreto di fissazione dell’udienza.

Ma è anche possibile che solo dopo l’assunzione delle prove chieste dalle par- ti sia possibile giudicare in ordine alla necessità di esercitare i poteri istruttori of- ficiosi58. Così, tornando all’esempio del giuramento suppletorio, quando lo svol-

gimento dell’attività istruttoria chiesta dalle parti si sia dimostrato inconcludente e non abbia aggiunto né tolto nulla rispetto ad una precedente semiplena proba-

tio documentale (o al contrario abbia messo in forse, rendendola semiplena, una probatio documentale apparentemente salda), non dovrebbe essere precluso al

giudice di esercitare, a quel punto, i propri poteri officiosi, che nel frattempo non si possono certo considerare esauriti. Né appare precluso, nel nuovo rito, che il giudice disponga d’ufficio la citazione di nuovi testimoni ex art. 257 c.p.c., quan- do alcuno dei testimoni si sia riferito, per la conoscenza dei fatti, ad altre perso- ne, cosa che, evidentemente, non può avvenire con il decreto di fissazione dell’u- dienza, ma solo dopo che si sia tenuta l’udienza di assunzione della prova.

3.4. (Segue.) ... l’indicazione delle questioni rilevabili d’ufficio e di quelle biso- gnose di ulteriore trattazione scritta

Il decreto di fissazione dell’udienza deve inoltre contenere, ai sensi della lett. c) del 3° co. dell’art. 12, l’indicazione delle questioni, di rito e di merito, rileva- bili d’ufficio.

Si intende in tal modo scongiurare il rischio dell’emanazione di «sentenze della terza via», vale a dire pronunce in cui il giudice decide sulla base di una questione rilevata d’ufficio e non sottoposta al contraddittorio tra le parti.

Peraltro, il fatto che, analogamente a quanto dispone la lett. c) del 3° co. dell’art. 12, di segnalare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ri- tenga opportuna la trattazione non ha impedito di assistere, nel processo ordi- nario di cognizione, alla pronuncia di sentenze su aspetti non esaminati nel contraddittorio tra le parti.

58Sulla necessità di assumere prima le prove chieste dalle parti v. il parere espresso dal C.S.M.

sullo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2002, in cui si critica l’anticipazione del momento individuato dal legislatore per l’ammissione dei mezzi di prova officio- si rispetto alla formazione delle risultanze istruttorie. Per la medesima opinione, v. PROTOPISANI, La

nuova disciplina del processo societario, cit., 8, il quale giudica «un non senso» che, con il decreto di

fissazione dell’udienza, vengano contemporaneamente ammessi tanto i mezzi di prova richiesti dal- le parti quanto quelli disponibili d’ufficio, perché normalmente «l’esercizio dei poteri istruttori d’uf- ficio presuppone l’assunzione delle prove richieste dalle parti, avendo come sua base legittimante proprio le lacune istruttorie residuate alla assunzione delle prove richieste dalle parti».

La verità è quindi che l’esistenza di un astratto obbligo di sottoporre al con- traddittorio tra le parti le questioni rilevabili d’ufficio conta poco quando il giudi- ce conduce la trattazione senza essere adeguatamente preparato, come è non ra- ro costume nella prassi dell’attuale processo ordinario di cognizione, dove il fa- scicolo viene studiato a fondo solo dopo l’assunzione della causa in decisione e, quindi, quando il contraddittorio tra le parti non può più ormai essere suscitato.

Se dunque la struttura del nuovo processo si dimostrerà effettivamente ca- pace di garantire che il giudice arrivi all’udienza conoscendo la causa, il mec- canismo della segnalazione delle questioni rilevabili d’ufficio con il decreto di fissazione dell’udienza potrà efficacemente prevenire la pronuncia di sentenze della terza via.

Diversamente, opererà il solo rimedio successivo della declaratoria di nul- lità, riconosciuto dalla giurisprudenza quando il giudice abbia omesso di sotto- porre al contraddittorio tra le parti una questione da lui rilevata d’ufficio59.

Oltre a segnalare le questioni rilevabili d’ufficio, con il decreto di fissazione del- l’udienza, ai sensi dell’ultima parte della lett. e) del 3° co. dell’art. 12, il giudice deve indicare alle parti le questioni bisognose di trattazione nelle memorie conclusiona- li, che devono essere depositate almeno cinque giorni prima dell’udienza.Tali que- stioni saranno quelle che non siano state trattate (o quanto meno non siano state trattate con il sufficiente approfondimento) nella fase preliminare svoltasi esclusi- vamente tra le parti e che appaiano al giudice rilevanti ai fini della decisione.

In sostanza, pertanto, se per l’ammissione delle prove ha contenuto lato

sensu decisorio, il decreto di fissazione dell’udienza, sotto i profili illustrati, co-

stituisce invece uno strumento attraverso cui il giudice «collabora» con le par- ti, indicando ai loro difensori gli aspetti della causa a suo avviso fondamentali e mettendoli quindi in grado di adottare le adeguate strategie.

È tuttavia da notare che tale collaborazione arriva in una fase nella quale le parti non possono ormai più modificare le proprie domande o eccezioni e tanto meno proporne di nuove. Né sono più ammesse nuove produzioni documenta- li o nuove richieste istruttorie60. Il contraddittorio suscitato dal giudice non po-

59In questo senso, innovando il precedente orientamento, v. Cass., 21 novembre 2001, n. 14637,

in Corr. giur., 2001, 17, in Giust. civ., 2002, I, 1611, con nota di LUISO, e in Giur. it., 2002, 1363, con nota di CHIARLONI.

L’opinione che le sentenze della terza via siano nulle è sempre stata prevalente in dottrina: v. MONTESANOe ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, I, 1, Padova, 2001, 348, e ivi, I, 2, 1112; CI-

VININI, Poteri del giudice e poteri delle parti nel processo ordinario di cognizione. Rilievo officioso del-

le questioni e contraddittorio, in Foro it., 1999, V, 8; TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cogni-

zione, Milano, 1996, 85; ID., Manuale del processo del lavoro, Milano, 1999, 141; FERRI, Sull’effettività

del contraddittorio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1988, 780-795; DENTI, Questioni rilevabili di ufficio e

contraddittorio, in Riv. dir. process., 1968, 271 ss. Contra, CHIARLONI, Questioni rilevabili di ufficio, di-

ritto di difesa e «formalismo delle garanzie», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1987, 577 ss.

60RIVACRUGNOLA, op. cit., 787, part. nota 32, rileva come, sotto questo aspetto, il rito ordinario

di cognizione si dimostri maggiormente flessibile, dal momento che le parti alle quali il giudice istruttore abbia indicato questioni rilevabili d’ufficio possono sempre chiedere i termini previsti

trebbe quindi dispiegarsi pienamente, restando precluso alle parti di modifica- re il thema decidendum e il thema probandum in relazione a quanto rilevato d’ufficio dal giudice.

Questo assetto, così come delineato, potrebbe sembrare incostituzionale, specie dopo che la legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, ha modificato l’art. 111 Cost., enfatizzando la regola, già ricavabile dall’art. 24 Cost., secondo cui «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti». Impedire alle parti di modu- lare le proprie domande, eccezioni e prove, in relazione a quanto il giudice fac- cia emergere proprio per stimolare il contraddittorio sembrerebbe infatti costi- tuire una tanto inaccettabile quanto irragionevole compressione del diritto al contraddittorio che l’ordinamento riconosce alle parti. Ma a ben vedere, quan- to rilevato d’ufficio dal giudice avrebbe potuto benissimo essere in precedenza discusso tra le parti, le quali avrebbero potuto costruirvi domande, eccezioni e prove. Sarebbe stato, anzi, doveroso, per le parti, non ignorare questioni la cui importanza ne giustifica la rilevabilità anche d’ufficio. In altre parole, la limita- zione al diritto al contraddittorio non è censurabile in quanto discende dalla negligenza delle stesse parti. Ed il fatto che le parti siano incorse in preclusioni alla modifica del thema decidendum e del thema probandum a causa della loro

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