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DAVANTI AL TRIBUNALE

3. L’inammissibilità dell’appello fondato su motivi generic

Passando alle norme specificamente dettate per il gravame societario, il 1° co. dell’art. 20 si preoccupa di precisare che la citazione in appello deve contene- re, a pena di inammissibilità, specifiche censure nei confronti della sentenza impugnata.

In tal modo il legislatore prende posizione a favore della concezione del mez- zo di gravame come revisio prioris instantiae più che come novum iudicium.

Questa è la posizione espressa anche dalla Commissione Vaccarella9, che in 6Così RONCO, sub art. 20, cit., par. 4.

7Può essere opportuno ricordare che la precisazione riguardo alla non impugnabilità, non ri-

sultante dal testo originario pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 22 gennaio 2003, si ricava dal comunicato della Presidenza del Consiglio, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2003 ed avente ad oggetto un avviso di rettifica relativo al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con cui si è reso noto che, a causa di un errore materiale in cui si era in precedenza incorsi, all’art. 11, 2° co., primo rigo, anziché «Il tribunale provvede con ordinanza quando, decidendo», deve intendersi «Il tribunale provvede con ordinanza non impugnabile in ogni caso in cui, decidendo».

8In termini simili, v. RONCO, sub art. 20, cit., par. 4.

9Cfr. la lett. c) del punto 32) della proposta presentata alla stampa il 12 luglio 2002, ora dive-

una o più generale prospettiva riformatrice, suggerisce di configurare l’atto di appello «quale specifica critica alla decisione impugnata»10.

Né il decreto né la Commissione Vaccarella si discostano peraltro dalla normativa vigente per il rito ordinario.

Deve infatti rilevarsi come l’art. 20 in realtà ribadisca ed enfatizzi quanto già stabilito dall’art. 342 c.p.c., secondo cui l’atto di appello indica «i motivi specifici dell’impugnazione», ricollegando alla mancata osservanza di tale pre- scrizione la sanzione processuale dell’inammissibilità del gravame.

Non si può tuttavia dimenticare che la regola secondo cui la mancata speci- ficità dei motivi di appello determina l’inammissibilità dell’impugnazione che non può essere dunque mai sanata dalla costituzione dell’appellato, può rica- varsi solo in via interpretativa.

Non essendo esplicitamente prevista nessuna sanzione per l’inosservanza dell’onere di specificazione dei motivi di appello, sul punto si contrapponeva- no due orientamenti. Per parte della dottrina e della giurisprudenza, la man- canza di specificità avrebbe determinato una nullità, eventualmente sanabile con la costituzione dell’appellato e la specificazione in corso di causa dei moti- vi di impugnazione, dell’atto di appello11. Secondo una diversa opinione, inve-

ce, la non sufficiente specificazione dei motivi di appello determina l’inammis- sibilità dell’impugnazione, che è insanabile12.

Le Sezioni Unite13hanno composto il descritto contrasto stabilendo che la

conseguenza della violazione del precetto della specificità dei motivi di appel- lo è sì una nullità, ma questa nullità non è suscettibile di sanatoria e quindi si riflette, in sostanza, in un caso di inammissibilità dell’impugnazione.

Il d.lgs. 5/2003 recepisce tale ultimo approdo giurisprudenziale.

Ne discende la fondamentale importanza, visto il rigore della connessa sanzione dell’inammissibilità dell’appello, che l’atto di impugnazione indichi

10Per il vero, la concezione dell’appello come revisio prioris instantiae fatta propria dalla

Commissione alla lett. c) del punto 32), e confermata alla lett. c) dell’art. 30 del d.d.l. delega C. 4578/XIV, che viene giustificata sulla base della considerazione che «la critica alla decisione og- getto di appello costituisce un requisito imprescindibile per conferire, alla sentenza resa in sede di impugnazione, una credibilità superiore a quella della sentenza impugnata», non appare del tutto coerente con la prospettata abolizione del divieto di nova in appello di cui alla lett. f) del medesi- mo punto e del medesimo articolo. In particolare, non si comprende quali critiche potrebbe eleva- re alla sentenza di primo grado il soccombente che impugnasse fidando esclusivamente nella de- duzione di nuovi mezzi di prova con cui rovesciare la sentenza di prime cure.

11Così Cass., Sez. Un., 6 giugno 1987, n. 4991, in Foro it., 1987, I, 3037, con nota di BALENA, in

Giur. it., 1989, I, 1, 1234, con nota di GREGORIO, ed ivi, 1988, I, 1, 1820, con nota di MONTELEONE.

12In questo senso, v. Cass., 26 giugno 1998, n. 6335, in Mass. Giur. it., 1998, 717, e in Foro it.,

2000, I, 219, con nota di RASCIO; Cass., 29 luglio 1995, n. 8377, in Mass. Giur. it., 1995, 942 s.

13Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2000, n. 16/SU, in Giust. civ., 2000, I, 673, in Corr. giur., 2000, 750,

con commento di DECRISTOFARO, in Foro it., 2000, I, 1, 1606, con note di BALENA, BARONEe PROTOPISANI, e in Riv. dir. process., 2000, 511, con commento di SASSANI. Nel senso della nullità insanabile v. già PROTOPISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1999, 531; ed ora MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, II, Torino, 2003, 447 s., part. nota 55.

specificamente dove e in che cosa risieda l’errore compiuto dal giudice di primo grado.

Naturalmente, la misura della specificità delle censure dipenderà dal grado di analiticità con cui la sentenza di primo grado sia stata redatta14. Se la sentenza

impugnata non possiede un adeguato contenuto argomentativo, per soddisfare il requisito della specificità dei motivi di appello ci si potrà limitare a denunciare la sua apoditticità. Qualora invece il giudice di prime cure abbia puntualmente motivato le proprie conclusioni, l’appellante dovrà preoccuparsi di stendere un atto di appello parimenti accurato nel mostrare in cosa sbagli la sentenza appel- lata. Difficilmente si potrebbe del resto negare che il concetto di specificità è un concetto relazionale, nel senso che la possibilità di specificare è tanto più elevata quanto più articolata è la motivazione della sentenza impugnata e viceversa.

4. (Segue.) ... e di quello a cui le parti abbiano preventivamente rinunciato

Sempre in tema di inammissibilità è il 4° co. dell’art. 20, che riguarda il ricorso in Cassazione omisso medio, detto anche per saltum.

La norma dispone che l’appello «è dichiarato inammissibile se le parti han- no convenuto, con atto scritto anche anteriore alla sentenza, che questa sia im- pugnabile soltanto ai sensi dell’art. 360 c.p.c.».

La nuova disposizione introduce, per il processo disciplinato dal d.lgs. 5/2003, una disciplina del ricorso diretto in Cassazione alquanto diversa dalla corrispondente previsione contenuta nel codice di rito.

Nel processo per le controversie societarie, finanziarie e bancarie, il patto, per il quale il 4° co. dell’art. 20 richiede la forma scritta ad substantiam, può es- sere, secondo la dizione legislativa, «anche anteriore» alla pronuncia del giudi- ce di primo grado.

Nel processo ordinario, invece, stando all’interpretazione corrente del 2° co. dell’art. 360 c.p.c., il patto per omettere l’appello è valido solo se successivo all’emanazione della sentenza15.

14Nel senso che la specificità vada apprezzata in relazione alla specificità della motivazione

della sentenza appellata, v. Cass., Sez. Un., 6 giugno 1987, n. 4991, cit.; Cass., 26 giugno 1998, n. 6335, in Mass. Giur. it., 1998, 717.

15La tesi si fonda sia sull’argomento di stampo letterale secondo cui il termine «sentenza ap-

pellabile», al quale fa riferimento il 2° co. dell’art. 360 c.p.c., presuppone la possibilità dell’appel- lo e dunque l’accordo non potrebbe che avere ad oggetto una decisione che è effettivamente ed attualmente appellabile, sia sulla considerazione che le parti, per rinunciare all’appello senza te- mere un pregiudizio alla propria posizione, debbono aver potuto prima valutare concretamente la tendenziale inutilità dell’appello: nel senso che il patto omissivo deve essere stipulato nei con- fronti di una sentenza che versi in condizioni di ammissibilità dell’appello e che quindi la senten- za in questione «deve essere già stata pronunciata nel momento in cui interviene l’accordo», v. Cass., 7 marzo 1997, n. 2021, in Nuova giur. comm., 1998, I, 40, con nota di SILVESTRI; Cass., 10 lu- glio 1986, n. 4480, in Giust. civ., 1986, I, 3121, con nota di LUISO.

L’impossibilità di stipulare ex ante l’accordo sul ricorso per saltum ha con- dannato l’istituto all’insuccesso16. Molto difficilmente, infatti, le parti sono di-

sposte a rinunciare a un grado di giudizio quando la lite è in corso e tanto più quando già si conosce l’esito del primo grado17. È un po’ come avviene per

l’arbitrato: le parti ricorrono agli arbitri se vi sono costrette da una clausola compromissoria sottoscritta quando la controversia non era ancora insorta; ma quando essa sia già insorta, raramente sopperiscono alla mancanza di una clausola compromissoria stipulando un compromesso con cui rinunciano al- l’opportunità di percorrere tutto il normale iter giudiziario.

La decisione del legislatore delegato di consentire che le parti pattuiscano l’omissione dell’appello e il ricorso diretto in Cassazione anche anteriormente alla pronuncia del giudice di primo grado potrebbe dunque suscitare, nella materia societaria, un nuovo interesse verso l’istituto. Liberato dei freni che ex art. 360, 2° co., c.p.c., condizionano la sua concreta utilizzabilità, il ricorso omis-

so medio potrebbe rappresentare un utile strumento a disposizione delle parti

per sveltire i tempi processuali, e potrebbe dimostrarsi interessante specie per quelle parti la cui controversia sia localizzata nel distretto della Corte d’appel- lo di Roma, dove la scelta di impugnare la sentenza in Cassazione, anziché in appello, non implica spostamenti geografici o complicazioni di altro tipo (ec- cettuata la necessità di dotarsi di un difensore abilitato a patrocinare dinanzi alle giurisdizioni superiori)18.

Il rischio è però che l’istituto abbia sin troppo successo, onerando così la Cassazione di ricorsi che si sarebbero forse potuti definitivamente risolvere in corte d’appello.

Ed è un rischio non meramente teorico, anche perché nulla impedisce che si affermi la prassi di inserire clausole di omisso medio nei contratti e magari di predisporre condizioni generali di contratto che le contemplino19: si tratta di

una pratica non proibita dal 4° co. dell’art. 20, che, consentendo la stipulazione In tema, può essere opportuno ricordare come il fatto che l’accordo per omettere l’appello possa interessare solo una sentenza appellabile sembrerebbe escludere dal ricorso per saltum non solo le sentenze non ancora pronunciate (e dunque non ancora appellabili) ma anche quelle con- tro cui sia già stato proposto appello (e dunque non più semplicemente appellabili ma in effetti appellate).

16Lo testimonia l’esperienza pratica e la scarsità di giurisprudenza sull’art. 360 c.p.c. 17Sono risultate profetiche le parole di SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II,

Como, 1962, 219, secondo cui l’istituto sarebbe stato «praticamente inapplicabile poiché è evi- dente che i litiganti, proprio perché litigano, non sono certo disposti ad accordarsi per omettere l’appello».

18Per l’enumerazione di questi pregi v. FRUS, Ricorso per cassazione c.d. per saltum: istituto

inutile o da riscoprire?, in Riv. dir. process., 2000, 151-177.

19Per il caso che la clausola per l’omissione dell’appello sia presente in contratti per adesione

(detti anche contratti in serie o di massa o standard o uniformi) e cioè in contratti che contengo- no condizioni generali unilateralmente predisposte per una serie indefinita di altrui adesioni, ci si deve chiedere se essa sia da considerare vessatoria ai sensi del 2° co. dell’art. 1341 c.c. e se quindi necessiti di specifica sottoscrizione.

In proposito, occorre ricordare come le ipotesi di vessatorietà contemplate nell’art. 1341 c.c. si considerino tassative, data la natura eccezionale della norma che impone un onere formale di spe- cifica sottoscrizione in deroga al principio generale della libertà delle forme, ma suscettibili di in- terpretazione estensiva (PATTI, Responsabilità precontrattuali e contrattuali standard, in Comm.

Schlesinger, Milano, 1993, 369-374, part. 370; MORELLO, voce «Condizioni generali di contratto», in Digesto/civ., III, Torino, 1988, 334; SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Comm. c.c. Scialoja

Branca, Bologna-Roma, 1970, 280). Questo in pratica significa che l’interpretazione del 2° co. del-

l’art. 1341 c.c. potrà essere ragionevolmente largheggiante. In concreto, infatti, data la difficoltà di distinguere, in base ad argomentazioni di logica formale, tra analogia ed estensione, considerare le ipotesi di vessatorietà tassative ma suscettibili di interpretazione estensiva equivale a ritenere immanente «un limite (peraltro alquanto flessibile) ad una dilatazione eccessiva delle clausole considerate vessatorie» (MORELLO, op. cit., 334).

L’interrogativo, che potrà essere risolto dalla giurisprudenza, è dunque se sia ragionevole dila- tare la categoria delle clausole contenenti «limitazioni alla facoltà di proporre eccezioni» o «dero- ghe alla competenza dell’autorità giudiziaria» sino a comprendere l’ipotesi della clausola che pre- veda il ricorso per saltum. In fin dei conti, se si prevede il ricorso per saltum, si prevede pure che le parti non possano avanzare eccezioni nel giudizio di appello e quindi gli si impongono limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni. E se si deve impugnare direttamente in Cassazione, si ha una de- roga alla competenza dell’autorità giudiziaria che dovrebbe decidere il gravame ma che si vede espropriata del potere di riesaminare il giudizio svoltosi in prime cure.

In attesa di prese di posizione giurisprudenziali, nel senso che il patto per omettere l’appello «debba esser ricondotto a quelle “deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria” di cui di- scorrono il 2° co. dell’art. 1341 c.c. ed il n. 18) dell’art. 1469 bis c.c.», dal momento che stabilire l’immediata ricorribilità in Cassazione della sentenza significa «escludere il ruolo che la corte d’appello esercita nel secondo grado di giudizio e, quindi, incidere sulla competenza funzionale della stessa corte», v. RONCO, sub art. 20, par. 9.

20La commissione parlamentare a ciò deputata, al punto 26) del parere sul testo approvato

dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2002, aveva invitato il Governo a valutare la convenien- za dell’eventuale soppressione dall’art. 20, 4° co., delle parole «anche anteriore alla sentenza», tor- nando così al regime adottato per il rito ordinario nel codice di procedura civile. La commissione si era peraltro limitata a sollecitare il Governo ad una ulteriore riflessione, senza indicare quali fossero le ragioni di convenienza che avrebbero consigliato un ritorno all’impostazione recepita nel 2° co. dell’art. 360 c.p.c.

21Nel parere reso dal C.S.M. sullo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il

30 settembre 2002, si riferisce di uno studio a campione da cui risulta che a Roma sono attual- mente pendenti complessivamente 1467 procedimenti in materia societaria; nel 2001 sono stati iscritti 778 procedimenti e l’anno seguente ne sono stati iscritti 478; a Milano, i procedimenti iscritti sul ruolo degli affari civili contenziosi nelle predette materie, esclusi i cautelari, nell’anno 2000 sono stati circa 400, 430 nel 2001, e 230 nel primo semestre 2002; a Palermo i procedimenti iscritti in materia societaria e di intermediazione mobiliare sono stati 300, a Cagliari l’attuale pendenza è pari a 121 procedimenti in tutto, a Venezia nell’ultimo anno sono state iscritte al ruo- lo 103 cause in materia societaria; a Firenze nell’ultimo anno sono state iscritte al ruolo 73 con- troversie in materia di diritto societario, a Potenza 45 a Lecce 23, ad Asti 10 controversie. del patto prima della pronuncia della sentenza di primo grado, consente pure che esso sia stipulato addirittura prima dell’inizio del processo, allo stesso mo- mento del sorgere del rapporto in seguito divenuto controverso.

Ma probabilmente il legislatore ha ponderato vantaggi e svantaggi20ed ha

ritenuto prevalenti i primi, anche perché si stima che il numero delle contro- versie assoggettate al d.lgs. 5/2003 sarà piuttosto contenuto21 e quindi non si

dovrebbe comunque temere un particolare appesantimento dei ruoli della Su- prema Corte.

Resta infine dubbio se il richiamo dell’art. 20, 4° co., all’art. 360 c.p.c. si in- tenda operato al 1° o al 2° co. di quest’ultima disposizione22.

Nel primo caso si dovrà ritenere che, a differenza di quanto previsto per il rito ordinario, stipulato il patto per saltare l’appello, si possa ricorrere subito in Cassazione per tutti i motivi di cui all’art. 360 c.p.c.

Nel secondo caso si dovrà ritenere che, come avviene nel rito ordinario, omes- so l’appello, l’impugnazione diretta in Cassazione possa proporsi soltanto per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, anche se la differenza è meno marcata di quanto sembrerebbe, perché la giurisprudenza interpreta la limitazio- ne di cui al 2° co. dell’art. 360 come diretta ad escludere il solo motivo di cui al n. 5) del medesimo art. 360 ossia l’impugnazione per difetto di motivazione23.

Dovendosi proporre una soluzione, l’interpretazione migliore sembra la prima.

Questo se non altro perché avere a disposizione, ai sensi del 1° co. dell’art. 360, un più ampio spettro di motivi sulla cui base proporre, omisso medio, il ri- corso in sede di legittimità sembra preferibile in un contesto, come quello di cui al 4° co. dell’art. 20, nel quale si consente di stipulare il patto per omettere l’appello anche prima della pronuncia di primo grado e dunque prima di poter valutare se l’esclusione, oltre che del potere di appellare, del potere di ricorre- re per omessa o insufficiente motivazione possa risultare eccessiva24.

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