DAVANTI AL TRIBUNALE
4. Il passaggio dal rito sommario alla cognizione piena
Come anticipato in precedenza, in alternativa all’accoglimento del riscorso, l’art. 19 prevede che il procedimento sommario si converta nel processo a co- gnizione piena.
È infatti possibile, in forza del 3° co. dell’art. 19, che il giudice, ritenuto che l’oggetto della causa o le difese svolte dal convenuto richiedano una cognizio- ne non sommaria, disponga il mutamento del rito, dalla cognizione sommaria alla cognizione piena14, imponendo l’osservanza delle forme previste dagli
artt. 2 ss, d.lgs. 5/2003.
13 Portando alle estreme conseguenze questo ragionamento, TRICOMI, Procedura semplifi-
cata simile al référé francese, in Guida dir., aprile 2003, dossier n. 4, 130, ritiene che nel proce-
dimento sommario possano trovare ingresso solo le prove precostituite. Per l’impressione che l’opzione sommaria possa essere intrapresa «soltanto quando la prova venga offerta già docu- mentalmente, non essendo previsto lo svolgimento di alcuna istruttoria», v. anche SACCHETTINI,
Processo e giudizi alternativi, in Guida alle nuove società, allegato de Il Sole 24-Ore, 2003, 96.
14L’avviso di rettifica relativo al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, pubblicato su comunicazione della
Presidenza del Consiglio nella Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2003, ha precisato che al 3° co. dell’art. 19, anziché «della causa e le difese», come scritto nel testo di cui alla Gazzetta Ufficiale del 22 gennaio 2003, deve leggersi «della causa o le difese». In altri termini, si è messo in chiaro che per il cambiamento del rito non occorre che i requisiti della delicatezza dell’oggetto e della complessità delle difese si presentino congiuntamente, bastando anche solo uno di essi (per la necessità di sosti- tuire la particella «e» con la particella «o», cfr., ancor prima che apparisse l’avviso di rettifica, SA-
LETTI, op. cit., 476, anche se, a ben vedere, l’importanza della questione doveva considerarsi relativa, da un punto di vista pratico, rientrando nell’id quod plerumque accidit che ad un oggetto delicato corrispondano difese difficili e viceversa).
È stato così confermato che l’uso della particella «e» al posto della particella «o» costituiva un errore redazionale. Del resto, la confusione tra la «e» e la «o» costituisce un errore piuttosto frequente nei nostri testi normativi (così, per es., l’art. 2 della l. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di sanzioni pecuniarie amministrative, recita che «non può essere assoggettato a sanzione ammi- nistrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni o non
aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere», ma evi- dentemente non richiede la mancanza sia del requisito della capacità di intendere sia della capa- cità di volere, bastando che manchi anche solo uno dei due: più accuratamente, all’art. 85 c.p. tro- viamo scritto che «è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere» e agli artt. 86 ss. c.p. si parla sempre di «incapacità di intendere o di volere»).
15Nello schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2002 si preve-
deva invece che il passaggio al rito ordinario avvenisse con la fissazione, da parte del giudice, del- l’udienza di discussione prevista dall’art. 16 del decreto, concedendo alle parti un termine per il deposito di memorie integrative contenenti le rispettive conclusioni. In tal modo, però, non sareb- be stata riconosciuta alle parti la possibilità di decidere esse stesse, come nel procedimento con- dotto sin dall’inizio con le forme della cognizione piena, quando ritenere sufficiente il reciproco scambio di memorie ed esaurita la fase introduttiva, a cui il giudice rimane estraneo. È pertanto ragionevole, se non altro per esprit de geometrie, che lo schema approvato dal Consiglio dei Mini- stri il 10 gennaio 2003, poi tradotto nel d.lgs. n. 5 del 2003, abbia dettato un meccanismo che rico- nosce il perfetto parallelismo tra rito di cui agli artt. 2 ss. e rito sommario convertito in rito a co- gnizione piena.
Un analogo mutamento del rito deve essere disposto, in base al 3° co. del- l’art. 19, come integrato dal Decreto di coordinamento e modifica, anche «in ogni altro caso in cui» non sussistano i presupposti per concedere il provvedi- mento sommario di condanna.
In tali casi, il raccordo tra i due riti si opera agganciando l’attività compiuta con le forme sommarie al momento processuale in cui l’attore ha la scelta, nel rito di cognizione, di replicare alla comparsa di risposta del convenuto (schiu- dendo per il convenuto la possibilità di replicare a sua volta) o di chiedere la fissazione dell’udienza di discussione15.
Secondo quanto dispone il 3° co. dell’art. 29, quando converte il rito som- mario in rito a cognizione piena, il giudice infatti assegna all’attore i termini di cui all’art. 6 del decreto. Ciò significa che, in base al disposto del 1° co. dell’art. 6 e del 2° co. dell’art. 4, ivi richiamato, l’attore deve avere almeno trenta giorni per replicare alla comparsa di risposta del convenuto. Con la sua replica, come stabilisce il 2° co. dell’art. 6, l’attore può precisare o modificare le domande e le conclusioni già proposte, proporre nuove domande ed eccezioni nonché chiamare in causa terzi, se questa esigenza è sorta dalle difese del convenuto, depositare nuovi documenti ovvero formulare nuove istanze istruttorie.
Se si avvale della facoltà di replicare alla comparsa di risposta del convenu- to, l’attore, ai sensi del 3° co. dell’art. 6, deve fissare al convenuto un termine perché questi abbia la possibilità di depositare un’ulteriore memoria difensiva (possibilità a cui il convenuto può rinunciare chiedendo la fissazione dell’u- dienza di discussione).
Ma l’attore può anche non avvalersi dei termini di cui all’art. 6 per repli- care al convenuto, chiedendo, in applicazione della disciplina del processo di cognizione contenuta all’art. 8, l’immediata fissazione dell’udienza di discussione.
5. (Segue.) ... ma non dal processo di cognizione all’accertamento sommario
Come si è visto, il giudice ha l’importante potere di trasformare il procedimen- to sommario in un vero e proprio processo di cognizione, se l’oggetto della causa o le difese svolte dal convenuto ne suscitano l’opportunità.
Non è però concesso il potere reciproco, e cioè il potere per il giudice del processo di cognizione di emanare, ove ritenga sussistere i fatti costitutivi della domanda e manifestamente infondata la contestazione del convenuto, una or- dinanza di condanna immediatamente esecutiva ma non idonea al giudicato.
In questo, il d.lgs. 5/2003 si discosta dal progetto per la riforma organica del processo civile elaborato dalla Commissione Vaccarella, che prevede un procedimento sommario non cautelare «esperibile anche nel corso di un processo a cognizione piena», se chi ha proposto la domanda «si accontenta» del provvedimento esecutivo, e «rinuncia» al giudicato16. Il che sembrerebbe
logico, perché se l’ordinamento riconosce in presenza di determinati presup- posti al giudice del procedimento sommario il potere di formare un titolo esecutivo non idoneo al giudicato, a maggior ragione, ricorrendo i medesimi presupposti, questo potere dovrebbe essere riconosciuto, nell’ambito della struttura del processo ordinario, al giudice della cognizione piena.
La differente disciplina non appare facilmente spiegabile.
Pure con riguardo al contenzioso societario e creditizio sembrerebbe infat- ti ragionevole che la presenza di un’autonoma giurisdizione contenziosa volta a creare un titolo esecutivo senza giudicato debba provocare un parallelo au- mento dei poteri del giudice nell’ambito del processo di cognizione17.
Sembrerebbe d’altra parte in contrasto con il criterio direttivo di cui al 1° co. dell’art. 12, l. delega 366/2001 che il d.lgs. 5/2003, negando al giudice del processo di cognizione il potere di pronunciare i provvedimenti esecutivi otte- nibili in separata sede con il procedimento sommario, delinei per il contenzio- so societario e creditizio una giurisdizione meno rapida ed efficace di quella ipotizzata per il diritto comune nel disegno riformatore della Commissione Vaccarella18.
Né sarebbe corretto affermare che comunque il passaggio dal processo di cognizione al giudizio sommario può realizzarsi tramite il meccanismo previ- sto dal 5° co. ss. dell’art. 24, in base a cui il giudice al quale sia stato chiesto di emanare un provvedimento cautelare in corso di causa, se ritiene la causa ma- tura per la decisione, anziché emanare la misura cautelare, può invitare le parti a precisare le conclusioni perché si proceda subito, con le forme del
16Cfr. il punto 51) della proposta presentata alla stampa il 12 luglio 2002, successivamente re-
cepito nell’art. 48 del d.d.l. delega C. 4578/XIV.
17Così RICCI, Verso un nuovo processo civile?, in Riv. dir. process., 2003, 218, secondo il quale
la mancata previsione che il giudice della cognizione piena possa emanare il provvedimento som- mario costituisce «un difetto, che esige un rimedio», integrando la relativa disciplina.
«giudizio abbreviato», a decidere la causa nel merito. I presupposti del giudi- zio abbreviato di cui al 5° co. ss. dell’art. 24 sono infatti diversi da quelli di cui all’art. 19, postulando un’esigenza cautelare assente nel giudizio sommario. Inoltre, pur essendo vero che il provvedimento conclusivo del giudizio abbre- viato previsto all’art. 24 può conseguire all’esito di un accertamento somma- rio, dal momento che può basarsi su prove acquisite nella forma delle somma- rie informazioni propria dei giudizi cautelari, è altresì vero che tale provvedi- mento ha un’efficacia diversa dall’ordinanza ex art. 19: alla fine del giudizio abbreviato viene emessa una sentenza idonea a passare in giudicato, mentre il giudizio sommario si chiude con una ordinanza da cui non conseguono gli ef- fetti di cui all’art. 2909 c.c.