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I diversi approcci metodologici dell‟intersectionality

II. Stratificazione sociale e analisi di classe nella società contemporanea:

2. Le disuguaglianze sociali in prospettiva intersezionale

2.3 I diversi approcci metodologici dell‟intersectionality

McCall (2005), nel tentativo di rispondere ad alcune di queste questioni, individua all‟interno della prospettiva teorica dell‟intersectionality tre possibili approcci metodologici da adottare nello studio della complessità: (i) anticategorical

complexity,(ii) intracategorical complexity e (iii) intercategorical complexity, con il

primo e il terzo che rappresentano i poli estremi di un continuum.

L‟orientamento definito anticategorical complexity propone di analizzare la complessità delle vite individuali attraverso un approccio narrativo (Anthias 2012). Esso si basa su un rifiuto e una decostruzione delle categorie analitiche principali, in cui questo stesso processo di descostruzione intendersi viene inteso come modo per

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combattere la disuguaglianza e contribuire così al mutamento sociale. Secondo McCall, tale approccio ha il merito di aver portato l‟attenzione sui processi sociali di categorizzazione e sulle modalità in cui i processi di esclusione e le gerarchie di potere lavorano per mantenere i confini esistenti tra i gruppi (e impedire dunque il mutamento sociale, favorendo la riproduzione delle disuguaglianze).

Il secondo approccio, definito intracategorical complexity, guarda al modo in cui le varie categorie vengono “attraversate” dalle altre considerate nell‟analisi: ad esempio, come il genere sia trasversalmente incrociato con etnia e classe (Anthias 2012). Il punto di partenza analitico sono le identità intersezionali di coloro che stanno ai margini, al fine di rivelare la complessità dell‟esperienza di vita all‟interno di tali gruppi . Costituiscono oggetto privilegiato di analisi (i) singoli gruppi sociali esistenti in un punto di intersezione di molteplici categorie principali sinora trascurato; (ii) oppure particolari configurazioni sociali o costrutti ideologici; (iii) oppure entrambi i punti (i) e (ii) (cfr. McCall 2005).

Tale approccio, secondo l‟Autrice, emerso nell‟ambito dei primi saggi di tipo narrativo che hanno dato origine all‟approccio intersezionale, può essere in qualche modo paragonato al “case study method”. Qui le categorie analitiche tradizionali sono usate inizialmente per denominare gruppi non molto studiati in precedenza, per i quali il ricercatore è interessato a rivelare il range di differenze e la diversità dei profili presenti all‟interno di uno stesso gruppo.

Il terzo approccio, l‟intercategorical complexity, parte dall‟osservazione del fatto che vi sono relazioni di disuguaglianza già costituite all‟interno dei gruppi sociali, ponendo tale assunto al centro della propria analisi. Per procedere con l‟analisi, le categorie analitiche esistenti vengono provvisoriamente mantenute, per «documentare le relazioni di disuguaglianza tra gruppi sociali e configurazioni mutevoli di disuguaglianza lungo molteplici e conflittuali dimensioni» (McCall 2005, 1773, trad. mia). L‟attenzione viene focalizzata sulla complessità delle relazioni tra molteplici gruppi sociali e le disuguaglianze sia all‟interno che tra diverse categorie analitiche (within e across). Essendo l‟oggetto di analisi multiplo, il metodo di analisi è pertanto sistematicamente comparativo. Nei disegni di ricerca che adottano questo ultimo approccio, il grado di complessità aumenta all‟aumentare delle categorie prese in considerazione, poichè ciò implicherebbe anche l‟analisi dei diversi gruppi presenti all‟interno di ogni categoria analitica indagata. È consigliabile pertanto iniziare con tre categorie principali di

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differenziazione, e successivamente aumentare la complessità inserendo nell‟analisi ulteriori categorie.

L‟esistenza di diversi approcci di comprensione dell‟intersectionality trova conferma anche nello studio di Choo e Ferree (2010), che individuano tre diverse prospettive:

1) prospettiva focalizzata sul tema dell‟inclusione dei gruppi (group-centered): in

questo approccio vengono messi al centro dell‟analisi quei gruppi marginalizzati in relazione a molteplici dimensioni, le loro prospettive e esperienze di vita;

2) prospettiva focalizzata sull‟aspetto processuale (process-centered): qui

l‟intersectionality viene vista essa stessa come un processo, attraverso il quale è possibile enfatizzare l‟aspetto relazionale del potere, osservando le intersezioni tra le variabili come molteplici modalità di oppressione, attirando così l‟attenzione ai cd.

“unmarked groups”, ovvero gruppi sociali precedentemente poco studiati e raramente

al centro di analisi;

3) prospettiva focalizzata sull‟aspetto sistemico (system-centered): in questo approccio l‟intersectionality è intesa come processo di strutturazione dell‟intero sistema sociale. Pertanto, l‟analisi non associa specifiche disuguaglianze ad una unica istituzione, ma cerca invece di indagare l‟esistenza di processi interattivi, complessi e storicamente determinati.

Secondo le autrici, le ricerche che adottano un‟‟approccio intersezionale spesso mettono al centro solo uno dei tre aspetti definitori della teoria intersezionale (ovvero, inclusione, interazioni analitiche e primato istituzionale), rappresentate rispettivamente dalle tre prospettive sopra delineate. Ciascuna prospettiva teorica ed empirica, però, presenta alcuni limiti. Nella prospettiva group-centered, le ricerche tendono a concentrarsi sull‟aspetto dell‟inclusione di gruppi oppressi: da un lato, ciò permette di dar loro voce, ma dall‟altro lato rischia di produrre un‟eccessiva specializzazione contenutistica (cfr. anche McCall 2005 e Hancock 2007) e il generarsi di liste di sottogruppi da includere nell‟arena politica (le cd. “Olimpiadi degli oppressi”).

Nelle ricerche process-centered, atte ad analizzare non solo gli effetti dell‟interazione tra processi, ma anche le interazioni tra diversi contesti, un elemento chiave è rappresentato dall‟analisi comparativa. Questo approccio, definito anche

intercategorical (McCall 2005), relazionale (Glenn 1999), o intersectional-plus model

(Weldon 2008), pone una primaria importanza al contesto e alla comparazione nei punti di intersezione come modo per rivelare i processi strutturali alla base delle configurazioni di potere esistenti. Una tale interpretazione dell‟intersectionality come

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costruzione sociale tende a mettere in maggiore evidenza le forze dinamiche piuttosto che le categorie analitiche, dando risalto ai cambiamenti che avvengono nel corso del tempo. Richiamandosi ad un approccio costruttivista, tale interpretazione dell‟intersectionality richiede l‟impiego di dati multilivello, riuscendo così a catturare l‟agency degli individui nei processi di costruzione del proprio mondo e a catturare le forze in grado di rendere possibile tale processo e quelle che invece lo impediscono. Esso presenta tuttavia un limite: rischia infatti di focalizzarsi su strutture astratte nella loro configurazione intersezionale, riducendo così gli individui che sperimentano l‟impatto delle interazioni macro e meso in semplici figure incidentali

Infine, nell‟orientamento teorico ed empirico che adotta una prospettiva intersezionale sistemica, le categorie del genere e dell‟etnia vengono considerate

embedded nella realtà sociale, e sono così in grado di determinare tutto il resto. Tale

modello presuppone una metodologia che consideri i processi di interazione in atto tra tutte le parti del sistema, e non solamente quelli tra gli effetti principali. Il problema è dunque identificare le particolari configurazioni della disuaguaglianza assunte in un dato luogo e in un dato periodo storico.

Per concludere, secondo Choo e Ferree (2010), la prospettiva teorica dell‟intersezionalità potrebbe essere maggiormente utilizzata nelle scienze sociali se fosse metodologicamente approcciata come:

relazionale invece che “posizionale”;

in grado di trasformare i processi che influenzano il mainstream;  in grado di identificare specifiche interazioni per casi particolari;

 in grado di implicare/dare luogo a un flusso di conoscenza e potere piuttosto che a una gerarchia “nested” dei processi di stratificazione.

(Choo e Ferree 2010, p. 146, trad. mia).

Alcuni autori (cfr. Verloo 2006), infine, notano come nell‟ambito accademico si sia fatto maggiormente riferimento ad una comprensione dell‟intersezionalità in senso strutturale, quando anche l‟intersezionalità politica può essere utile per comprendere come le dimensioni della disugualianza che caratterizzano diversi gruppi sociali siano molteplici. Sarebbe perciò utile radicare le strategie di policy non solo nei tratti in comune tra i diversi gruppi marginalizzati, ma anche nella specificità di ciascuna disuguaglianza di cui questi gruppi sono “portatori”. Verloo nel suo saggio auspica quindi l‟adozione di un approccio intersezionale da parte dei policy-makers dell‟Unione europea, al fine della progettazione di policies più efficaci. Grazie all‟adozione di un

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approccio intersezionale, secondo l‟Autrice, sarebbe possibile andare verso strategie di contrasto delle disuguaglianze che tengano conto del fatto che:

 le disuguaglianze si trovano sia nella sfera pubblica che privata;

 le disuguaglianze non si equivalgono; inoltre, le categorie sociali sono connesse alla disuguaglianza in modi diversi;

 le disuguaglianze costituiscono problemi di carattere dinamico che possono essere localizzati in diverse distinte strutture, possono essere vissuti in modi diversi e possono essere riprodotti in modi diversi;

 le disuguaglianze non sono indipendenti bensì interconnesse. (Verloo 2006, p. 224, trad. mia).

3. Tra Bourdieu e teoriche femministe dell’intersectionality: verso una possibile

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