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Il campionamento nella ricerca non standard

IV. Percorsi abitativi diseguali dei giovani: un’analisi in prospettiva

5. Il campionamento nella ricerca non standard

Dopo aver deciso chi intervistare e come farlo, occorre decidere come scegliere le persone da intervistare e quante. Da un punto di vista metodologico, in ogni ricerca sociale bisognerebbe procedere a una definizione dell‟universo di riferimento e, sulla base di questo, estrarre un campione rappresentativo. Tuttavia, nella ricerca qualitativa non standard, è spesso difficile riuscire ad avere una definizione dell‟universo di riferimento precisa per l‟oggetto stesso dell‟indagine: gruppi minoritari, marginali, oppure gruppi ampi ma molto fluidi. È necessario, quindi, basarsi su criteri di rappresentatività che siano altro da quella intesa in senso statistico.

Per la ricerca empirica si è deciso di procedere alla costruzione del campione ricorrendo ad un purposive sampling (Patton 2002; Mason 2002), scegliendo in questo modo un campione iniziale sulla base del potenziale contributo allo sviluppo e al controllo dei costrutti teorici. Infatti, in letteratura si rileva che nell‟ambito della procedura di campionamento definita purposeful sampling «i casi studio sono selezionati in quanto „ricchi di informazioni‟ e illuminanti, il che equivale a dire che essi offrono manifestazioni utili del fenomeno oggetto di indagine; il campionamento, pertanto, mira a far luce in profondità sul fenomeno, senza avere come scopo la generalizzazione da un campione a una popolazione» (Patton 2002, p. 40, trad. mia, cfr. anche ivi, p. 230-242). Tale strategia, inoltre, si basa su una serie di procedure in cui, dopo una serie di scelte di campionamento preliminari, il ricercatore può decidere se ampliare e rivedere il proprio campione, sulla base di quanto emerge nel corso della raccolta dati (Mason 2002).

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Si pone a questo punto uno degli snodi più problematici che deve affrontare chi fa ricerca non standard: quante interviste fare? Ovvero, il problema della numerosità del campione della ricerca non standard. Le risposte che è possibile trovare in letteratura sono molteplici, e vengono sinteticamente rappresentate nella Tab. 18.

Tuttavia, oltre a chiedersi quante interviste siano appropriate, è necessario chiedersi se, per chi fa ricerca non standard, questa stessa domanda sia appropriata, tanto da un punto di vista pratico, quanto da un punto di vista epistemologico.

Tab. 18. Numerosità del campione e ricerca non standard: alcuni esempi in

letteratura

Autore Grandezze del campione

Note

Bertaux (1981) 15-30 Dipende dalla varietà delle esperienze

strutturali

Kuzel (1999) 5-8 In caso di campione omogeneo

12-20 In caso di campione eterogeneo

Morse (1994) 6 Studi fenomenologici

35 Etnografie, studi grounded theory

Creswell (1998) 5-25 Studi fenomenologici

20-30 studi grounded theory

Guest et al. (2006) 6-12 Il codebook creato già completo e stabile dopo 6 interviste

Corbin e Strauss

(2008) > 5-6

Necessarie più di 5-6 interviste per poter giungere alla saturazione

Occorre ricordare, infatti, che la ricerca quantitativa e quella qualitativa si pongono degli obiettivi conoscitivi differenti: se da un lato la prima è più interessata a capire

cosa fanno le persone, la seconda mira a comprendere perché e come agiscano gli

individui (Baker e Edwards 2012). Nella ricerca non standard, pertanto, la risposta alla domanda “quante” interviste fare non può essere definita a priori. Dipende dai presupposti teorici che muovono la nostra ricerca e che sono alla base delle domande di ricerca. Dipende da fattori legati alle specificità del campo disciplinare in cui ci muoviamo. Dipende dalle risorse economiche e temporali a nostra disposizione, nonché dall‟accessibilità della popolazione che intendiamo indagare. È quindi difficile stabilire a priori quante interviste siano necessarie in un progetto di ricerca non standard, considerata anche la sua natura stessa come un work in progress, come evidenziato all‟inizio di questo capitolo.

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È possibile comunque seguire alcuni criteri guida che possano aiutare a decidere quante interviste siano sufficienti affinché la nostra ricerca empirica sia condotta in maniera rigorosa e scientifica, utili per giustificare la rappresentatività anche di un piccolo campione.

Innanzitutto, si può ricorrere al criterio della saturazione, secondo il quale si procede alla raccolta di materiale finché il ricercatore o l‟équipe di ricerca non riscontrano più l‟emergere di nuovi particolari (Bertaux 1999; de Bernard 2002; Baker e Edwards 2012).

In secondo luogo, occorre considerare la coerenza del campione con le premesse teoriche del progetto di ricerca. I diversi approcci teorici a cui si può fare riferimento influenzano infatti la natura stessa delle domande di ricerca, il loro livello di generalità/particolarità, e gli obiettivi conoscitivi che si pone il ricercatore90. Questo ha un impatto specifico sulla dimensione del campione che si intende indagare e che si ritiene sia sufficiente per rispondere alle domande che ci si pone. Ricerche quali quelle ispirate alla raccolta di storie di vita, ad esempio, dato l‟elevato livello di profondità raggiunto in fase di analisi del materiale empirico, possono essere basate su un campione relativamente piccolo di casi (Baker e Edwards 2012).

Ancora, per costruire un campione che sia significativo e che permetta di scoprire dinamiche comuni, orientamenti generali in ciascun caso, è necessario disporre di una serie di casi, scelti in modo da rendere possibile la loro comparazione, il che significa che essi avranno sia caratteristiche che li rendono simili ma anche differenti. I criteri da seguire per la scelta dei casi da includere sono quindi la variabilità delle posizioni (ovvero attori sociali collocati in posizioni differenti) e la differenziazione (ovvero, persone in posizione simili ma che ricoprono il ruolo in modo diverso) (Bertaux 1999, p. 44-45, cfr. anche Baker e Edwards 2012).

Non meno importante, in una ricerca non standard, per sua natura estremamente

time-consuming, un fattore che incide sulla dimensione del nostro campione è

sicuramente il tempo ricercatore che il ricercatore ha per completare la propria ricerca, insieme naturalmente alle risorse economiche a sua disposizione. Ad esempio, nel caso di ricerche finanziate, sarà possibile ricorrere all‟aiuto di altri ricercatori per la conduzione delle interviste e la trascrizione, rendendo così possibile un incremento del numero di interviste da realizzare.

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Ad esempio, è necessario valutare la presenza/assenza di requisiti minimi necessari, come nel caso di ricerche finanziate da enti esterni, in caso di pubblicazione, e così via (Warren 2002; Bryman 2012).

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Infine, molto importante è anche la questione dell‟accessibilità stessa del campione, ovvero il diverso livello di difficoltà che si può trovare nel raggiungere le persone da intervistare, che può essere ad esempio molto facile nel caso di ricerche condotte con studenti presenti in un campus universitario, o molto difficile, come nel caso di ricerche con popolazione deviante o a rischio di esclusione sociale, oppure individui con particolari problemi di salute, ecc.

Sintetizzando, un campione di studio non particolarmente esteso non costituisce di per sé, nella ricerca non standard, un limite o una criticità. Come ricorda Yates (2003), restringere il numero delle interviste da fare permette di condurle e analizzarle tutte in prima persona, senza “appaltare” il lavoro ad altri ricercatori, coinvolgendo non solo la loro professionalità ma anche la loro specifica riflessività. Un campione piccolo è infatti utile per andare in estrema profondità e osservare le specificità di ogni caso. Al contrario, però, occorre prendere qualche cautela per evitare di leggere eccessivamente tra le righe di quanto gli intervistati raccontano, ed evitare anche di fare eccessive generalizzazioni. Queste cautele possono essere prese dal ricercatore nel corso della ricerca, ricorrendo alla comparazione, al dialogo, alla critica riflessiva e all‟interpretazione. Negli studi non standard, longitudinali e non, la selezione dei casi e la comparazione sono quindi punti chiave, ma non tanto in relazione ai loro aspetti tecnici, quanto piuttosto in relazione agli aspetti interpretativi. La comparazione alla base degli studi qualitativi dovrebbe infatti essere di natura interpretativa, piuttosto che di natura statistica, come accade invece negli studi quantitativi che si basano su variabili e sulla loro manipolazione (Yates 2003, p. 226).

In conformità coi criteri di cui sopra, si era inizialmente ipotizzata la selezione di un campione di 20 case study, formati da altrettante famiglie bolognesi di classe popolare91, intervistando sia i genitori che figli, bilanciando il campione in relazione al genere dei figli. Complessivamente, quindi, si era previsto di realizzare un totale di 40 interviste, tenendo presente che il numero delle famiglie coinvolte e dei racconti di vita raccolti sarebbe potuto variare in base al criterio della saturazione.

Prima di passare all‟esposizione dettagliata dei criteri di campionamento seguiti, però, si ritiene opportuno esplicitare la definizione operativa di “classe sociale popolare” adottata nella tesi, e le ragioni alla base della sua scelta.

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6. “Classe sociale popolare”: un tentativo di definizione operativa

Alcuni studiosi hanno individuato come unità di analisi più appropriata per gli studi sulla classe sociale la famiglia, suggerendo tuttavia di stabilirne la collocazione considerando congiuntamente la posizione di classe di entrambi i coniugi (Cardano 1994). Tale posizione ha trovato diverse traduzione operative. Per alcuni, la classe di una famiglia è data dalla posizione del coniuge che, sul mercato, occupa la posizione dominante (Erikson 1984; Schizzerotto 1988, 1993; Cardano 1994). Altri invece non riconoscono la plausibilità del criterio di dominanza e assegnano univocamente a una determinata classe le sole famiglie nelle quali entrambi i coniugi occupano la medesima posizione sociale (Britten e Heat 1983; in Italia, Barbagli 1988). Qualora in una famiglia siano presenti due classi, essi le attribuiscono una collocazione a parte (definendo tali famiglie cross-class families), la cui posizione deve essere stabilita caso per caso ma che, in linea di massima, parrebbe a metà strada tra la classe subordinata e quella sovraordinata.

Tra i maggiori studiosi di classe e stratificazione sociale in Italia, Schizzerotto (1988, 1993) propone di identificare nove diverse classi, suddivisibili in tre macro-categorie:

- classi superiori: politici di professione; imprenditori; liberi professionisti; classe di servizio (alta e media dirigenza delle imprese e dello stato, professioni intellettuali altamente specializzate svolte in posizione dipendente);

- classi medie: classe media impiegatizia; piccola borghesia urbana; piccola borghesia agricola;

- classi subordinate: (in alcune ricerche identificate anche come classi “inferiori”) classe operaia urbana; classe operaia agricola.

Tale categorizzazione è stata adottata anche in successive ricerche, si veda ad esempio Filandri (2009, pp. 296-298; 2010), la quale operativizza, secondo la definizione di Cobalti e Schizzerotto (1994), l‟origine sociale degli individui come la classe occupazionale del padre quando il soggetto aveva 14 anni. Per le analisi a livello familiare, la classe sociale di origine è stata ricavata dall‟occupazione più elevata tra quelle dei coniugi, articolando la variabile in sei categorie:

a) la borghesia (BOR) formata da imprenditori di grandi e medie aziende, liberi professionisti e dirigenti;

b) la classe media impiegatizia (CMI) che comprende i lavoratori dipendenti non manuali a medio o alto livello di qualificazione;

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c) la piccola borghesia urbana (PBU) composta da lavoratori autonomi e coadiuvanti familiari occupati nel settore secondario e terziario;

d) la piccola borghesia agricola (PBA) che comprende i proprietari e i coadiuvanti familiari operanti nel settore primario (agricoltura, caccia, pesca e foreste);

e) la classe operaia urbana (COU) formata da impiegati esecutivi e lavoratori dipendenti manuali a bassa qualificazione

f) classe operaia agricola (COA) che include i lavoratori dipendenti manuali occupati nel settore primario (Bernardi e Pisati 2002, 69).

Ancora, nonostante la riconosciuta validità dello schema sopra descritto, alcuni ritengono preferibile usare lo schema di classificazione EGP– Erikson/Goldthorpe/Portocarero (cfr. cap. II), in quanto quello di Cobalti e Schizzerotto (1994) sembrerebbe essere più adatto per analisi della struttura sociale relative all‟Italia della prima metà del „900 (Barone 2013). Lo schema EGP, in sintesi, divide le classi come segue:

- classe dirigente (I), - impiegati direttivi (II), - impiegati qualificati (IIIa),

- lavoratori autonomi urbani (IVab) e agricoli (IVc),

- classi operaie urbane (V-VI-VIIa), distinguendo in tecnici (V) e operai qualificati (VI) e tecnici e operai dequalificati (VIIa);

- classi operaie agricole (VIIb).

Tuttavia, come giustamente osserva Lareau (2003, p. 260), non appare ragionevole e nemmeno possibile adottare una differenziazione delle categorie “a grana fine” in ricerche empiriche con un campione piccolo. Nella sua ricerca, la sociologa americana ha dunque inizialmente preso due categorie sulla base della popolazione rappresentata nella città di ricerca (andando ad osservare la percentuale di occupati in una determinata occupazione piuttosto che in un‟altra), per poi differenziare all‟interno di questo gruppo eterogeneo usando i criteri dell‟autorità sul luogo di lavoro e le credenziali educative. In questo modo arriva a distinguere una working class e una middle class entrambe costruite a maglie larghe („broadly construed‟). Nel corso delle interviste in profondità Lareau ha poi previsto di discutere con entrambi gli adulti sul tipo di lavoro svolto, sulla natura dell‟organizzazione presso cui lavorano e sul loro ruolo in essa. Qualora le posizioni dei due adulti divergessero, la famiglia veniva assegnata alla classe sociale più

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elevata (in linea con quanto fatto da Erikson, Goldthorpe, Schizzerotto). Nella sua ricerca, pertanto, individua come „working class families‟ quando:

- nessun genitore è impiegato in lavori che implicano una autorità anche sostanziale di gestione e che facciano riferimento a competenze altamente complesse, certificate da qualche istituzione educativa;

- almeno un genitore è impiegato in una posizione con poca o nessuna autorità e nessuna competenza educativa alta.

Infine, in linea con quanto già affermato dallo stesso Bourdieu (1979, trad. it. 2001), ed altri studiosi, «alla locuzione “classi inferiori” preferiamo “classi popolari”, meno intrisa di connotazioni valutative» (Cardano 1994, p. 21). Il termine viene utilizzato anche in una recente ricerca che analizza per l‟appunto, la composizione del “nuovo ceto popolare”, andando ad osservare un campione di popolazione italiana non in

possesso di diploma di scuola superiore (Magatti e De Benedittis 2006, p. 40).

Date queste premesse ed esempi rinvenibili in letteratura, si intende definire la categoria “classe popolare” come segue:

 almeno un genitore con livello di istruzione pari a Isced 0-2 (nessun titolo, istruzione primaria, istruzione secondaria inferiore).

 genitori con una delle seguenti occupazioni: - impiegati esecutivi;

- operai qualificati;

- operai non qualificati dell‟industria; - artigiani92;

- lavoratori dipendenti manuali occupati nel settore primario.

I genitori delle famiglie selezionate, inoltre, devono risiedere nel Comune di Bologna o nei comuni della cintura urbana: Anzola, Calderara di Reno, Castelmaggiore, Granarolo, Castenaso, San Lazzaro di Savena, Pianoro, Sasso Marconi, Casalecchio di Reno, Zola Predosa (Fig. 5). Per quanto riguarda invece la generazione dei “figli” presenti nelle famiglie selezionate, in ogni caso di studio (ovvero ogni famiglia) deve

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Come definito dalla l. 443/1985, per imprenditore artigiano si intende colui che svolge un‟attività che ha come scopo prevalente la produzione di beni, anche semilavorati, o la prestazione di servizi escluse le attività agricole e commerciali, e: (i) abbia compiuto il diciottesimo anno di età (salvo i casi di autorizzazione da parte del tribunale all'esercizio dell‟attività oltre il sedicesimo anno di età); (ii) eserciti l‟attività personalmente, professionalmente e in qualità di titolare dell‟impresa artigiana; (iii) svolga in modo abituale e prevalente il proprio lavoro manuale nel processo produttivo. Abitualità, prevalenza e

manualità devono essere determinanti e continuative per l‟azienda sia che si tratti di attività di

produzione e di beni quanto in quella di prestazione di servizi. (fonte: Inps, http://www.inps.it/portale/default.aspx?iMenu=1&itemDir=6316, ultima consultazione 29/12/2014).

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essere presente almeno un figlio (di genere maschile o femminile), di età compresa tra i 25-40 anni, che al momento dell‟intervista si trovi in una delle seguenti situazioni:

a) vive in abitazione diversa da quella della famiglia di origine o sta per lasciarla; b) vive nell‟abitazione della famiglia di origine;

c) ha vissuto per un certo periodo di tempo fuori dalla famiglia di origine e vi ha fatto successivamente ritorno.

Fig. 5. Comuni della Provincia di Bologna.

In base al criterio della saturazione, si è poi giunti alla realizzazione di un campione di 15 case study, costituiti da 15 diverse famiglie. Tra novembre-dicembre 2013 e

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luglio-dicembre 201493 sono stati quindi raccolti, complessivamente, 32 racconti di vita, così suddivisi:

- 17 interviste individuali a figli/e (6 maschi, 11 femmine)94; - 11 interviste individuali a genitori (3 padri, 8 madri); - 4 interviste di coppia a genitori.

Nella Fig. 6 è possibile vedere la loro collocazione sul territorio oggetto di indagine. Per preservare e garantire il massimo anonimato delle famiglie si è scelto di assegnare a ciascuna famiglia un colore, e posizionare sulla mappa l‟indicatore in prossimità del luogo di residenza sia dei genitori, che del figlio/a intervistato/a.

Fig. 6. Posizione geografica delle famiglie case study sul territorio

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Preme qui ricordare che dal 1 Gennaio 2014 al 30 Giugno 2014 chi scrive ha avuto modo di trascorrere un semestre presso la School of Sociology and Social Policy della University of Leeds, sotto la supervisione della prof.ssa Sarah Irwin. Nel corso del semestre, oltre ad aver approfondito aspetti teorici relativi al tema della classe sociale e della teoria dell‟intersectionality, si è potuto realizzare un piccolo approfondimento empirico nella città di Leeds, che muove dagli stessi presupposti teorici e metodologici di questa stessa tesi, che ha visto il coinvolgimento di 12 giovani, maschi e femmine di età compresa tra i 18 e 35 anni, residenti a Leeds o zone limitrofe, raccogliendo i loro racconti di vita.

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Tale sbilanciamento in favore del genere femminile conferma la tendenza, già individuata dalle principali statistiche ufficiali (cfr. cap. I), delle donne ad uscire di più e prima rispetto agli uomini dalla casa della famiglia di origine.

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