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Tra Bourdieu e teoriche femministe dell’intersectionality: verso una possibile sintesi?

II. Stratificazione sociale e analisi di classe nella società contemporanea:

3. Tra Bourdieu e teoriche femministe dell’intersectionality: verso una possibile sintesi?

Come si è avuto modo di mettere in evidenza nel corso dei paragrafi precedenti, è chiaro ed esplicito quale sia il contributo di Bourdieu nella “svolta culturale” dell‟analisi di classe, di cui Savage, Devine e altri sono rappresentanti. È meno chiaro e più implicito invece il rapporto esistente tra le teoriche dell‟intersectionality e il framework teorico bourdieusiano. Ciononostante, sono molte le studiose femministe, tra cui Skeggs (2004) e la stessa Reay (2004), che hanno adottato un‟ottica di analisi intersezionale, anche se in maniera non intenzionale ed esplicita (Anthias 2012).

Di seguito, quindi, si cercherà di esplicitare qual è il contributo che la teoria intersezionale deve riconoscere a Bourdieu, e qual è il valore aggiunto che la prospettiva intersezionale dà all‟analisi del sociologo francese.

Nonostante infatti il suo innegabile apporto allo studio delle disuguaglianze, il modo di Bourdieu di trattare le divisioni etniche e di genere non appare sufficientemente sviluppato, e tali lacune non sono nemmeno tanto facilmente “superabili” nemmeno nelle opere delle studiose femministe che ad esso fanno riferimento. L‟individuazione delle diverse forme di capitale, infatti, non è sufficiente per affrontare il tema della costruzione e demarcazione di confini, in termini di categorie di identificazione e differenziazione a cui fanno riferimento relazioni sociali gerarchiche (Anthias 2012).

Inoltre, se da un lato la svolta culturale nell‟analisi di classe, soprattutto nell‟ambito accademico inglese, ha portato ad un maggiore rilievo del ruolo della cultura nella determinazione delle relazioni di classe, dall‟altro lato è anche necessario evitare di

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comprendere e individuare tali aspetti culturali e sociali articolandoli solamente all‟interno di specifici orizzonti culturali, di cui i ricercatori, ognuno con la propria biografia personale e professionale, sono „portatori‟.

Secondo Anthias, infatti, spesso nelle ricerche emerge una prospettiva „white-middle-

class‟, di cui spesso ricercatori e studiosi dell‟ambiente accademico sono purtroppo

espressione (Anthias 2012, p. 133).

Sulla scia di quanto affermato anche nelle ricerche degli studiosi “culturalisti” e delle femministe, è necessario richiamare l‟attenzione sul fatto che la questione della classe e delle disuguaglianze debba essere situata all‟interno di un approccio relazionale delle pratiche sociali, che presti attenzione all‟essenza delle richieste (di riconoscimento e di risorse) che emergono dalle diverse posizioni sociali ma che sia anche in grado di sottolineare/evidenziare il contenuto e la natura strutturata delle relazioni sociali (Bottero e Irwin 2003).

Nel fare ciò è necessario, secondo le sociologhe inglesi Wendy Bottero e Sarah Irwin, non solo dare centrale importanza alla cultura, ma anche ai valori, in quanto le espressioni di valore sono interpretate come parte integrante delle relazioni sociali e degli schemi di oppressione (Bottero e Irwin 2003, p. 467).

Le Autrici notano come alcuni studiosi abbiano interpretato la discrepanza apparente che si trova oggi tra condizioni di classe e percezioni soggettive in termini di un crescente “fluttuare” dei valori e delle identità. Tuttavia, in linea con quanto affermato anche da altri (cfr. Devine 1992; Reay 1997; Skeggs 1997; Savage, 2000; Savage et al. 2001), le «persone non devono esplicitamente riconoscere le tematiche della classe, o identificarsi con determinate categorie di classi sociali, perché tali processi di classe operino» (Bottero e Irwin 2003, p. 469, trad. mia).

È necessario, per concludere, cercare di comprendere più in profondità i modi in cui gli orientamenti soggettivi siano embedded in processi sociali strutturali¸ riconoscendo le relazioni sociali e i rapporti di interdipendenza come una importante componente di tali processi (Irwin 2008, p. 274). Ad esempio, alcune ricerche hanno esaminato come, in relazione alle pratiche genitoriali, l‟intreccio tra specifici orientamenti valoriali soggettivi dei genitori e posizioni di classe sociale influenzi le performance educative dei propri figli (cfr. ad es. Lareau 2003; Gillies 2006, 2007, Vincent e Ball 2007; Irwin e Elley 2011).

Un secondo spunto di riflessione per un‟integrazione dell‟ottica bourdieusiana con quella espressa dalle studiose femministe ci viene da Lareau (2003), secondo la quale

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non vi è abbastanza attenzione, nelle ricerche empiriche di Bourdieu, alla differenza tra

possesso di capitale e attivazione di questo (Lareau 2003, p. 277). Possedere

determinate dotazioni di capitale, un capitale che potremmo quindi definire potenziale, non significa necessariamente che tali capitali vengano usati, “attivati” dalle persone che li posseggono. Affinché ciò avvenga, e si possa passare da un capitale potenziale ad un capitale reale, è necessario prendere in considerazione anche il ruolo di figure di mediazione, cruciali nell‟attuazione di specifiche pratiche da parte degli individui, ruolo che Bourdieu, nelle sue analisi, non ha incluso. Sono i cd. “gatekeepers”, quali genitori o altri attori istituzionali analizzati nelle ricerche in ambito educativo di Lareau, ovvero, coloro che fungono, con la loro azione, da “attivatori” di capitale potenziale.

Un terzo ed importante elemento da considerare per integrare riflessione bourdieusiana e intersezionale riguarda la difficoltà, riscontrata da diversi studiosi (Lareau 2008, ma anche Breen 2005, Weininger 2005, Wright 2005) nel collegare concezione teorica della classe e relativa definizione operativa. Tale difficoltà viene rilevata non solo negli approcci allo studio della stratificazione sociale „tradizionali‟, ma anche nella stessa opera di Bourdieu. Secondo Lareau (2008), infatti, infatti, non solo molti dataset non contengono tutti i dati e le variabili necessarie a descrivere la classe secondo quanto previsto dai diversi approcci, ma, anzi, alcuni aspetti della classe sociale non sono proprio rappresentati nelle indagine campionarie nazionali, aspetti che invece vengono analizzati in studi etnografici53. Pertanto, secondo l‟Autrice, è possibile rifarsi al framework teorico bourdieusiano pur adottando, da solo, un approccio qualitativo54.

In linea con quanto auspicato da Lareau anche studiosi europei richiamano l‟attenzione sulla necessità di ampliare le metodologie di ricerca impiegate nell‟analisi della struttura sociale e della mobilità, ricorrendo ad un approccio qualitativo centrato su family case studies (Bertaux e Thompson 1997). Secondo i due sociologi, parallelamente all‟affermarsi di modelli tradizionali nell‟analisi delle classi, si sono affermate metodologie di indagine sulla classe incentrate sulla survey. La crescente sofisticazione dei modelli di analisi dati ha però non solo limitato la diffusione e comprensione delle ricerche svolte, ma ha anche ristretto l‟uso di tali metodi su ipotesi statisticamente testabili, escludendo di fatto importanti dimensioni presenti nelle classi

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Tali studi si sono occupati di diversi argomenti, ad esempio: classe sociale e vita famigliare (Rubin 1976; Lareau 2003; Hansen 2005); confini morali tra classe e razza (Lamont 1992, 2000); classe e processi educativi (Bernstein 1971, Heath 1983, Lareau 2003, Weis 2007); classe e sicurezza del mercato del lavoro (Newman 2006).

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Si ricordi, infatti, che la tecnica di indagine sociale prediletta da Bourdieu era costituita dall‟analisi delle corrispondenze.

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sociali (ivi). Le survey pertanto sono un utile strumento per indagare la mobilità sociale, ma non possono essere l‟unico. Lo strumento delle life histories permetterebbe, invece, di «dimostrare la centralità delle percezioni e valutazioni soggettive nel determinare le scelte di vita (…). Esse inoltre rivelano la cruciale importanza dei contesti locali, delle strutture di opportunità locali, e delle sfide competitive locali» (ivi, p. 7, trad. mia).

Infine, come evidenziato dagli Autori, le survey si basano su unità di analisi costituite da individui, mentre è noto il fatto che individui e loro scelte siano embedded all‟interno della famiglia. Pertanto, per poter carpire la trama dei processi e delle relazioni che stanno sotto i percorsi individuali, è necessario fare in-depth cases studies delle famiglie, intese come “transgenerational perspective” (ivi, p. 11), ovvero come reti transgenerazionali di qualsiasi forma, tra persone connesse per discendenza o matrimonio (ibidem). Secondo i due sociologi, anche i legami emotivi e morali tra membri della famiglia svolgono un ruolo cruciale, in quanto essi costituiscono sempre «un elemento delle transazioni familiari» (ivi, p. 20). Questo aspetto rappresenta una dimensione essenziale delle relazioni e dei processi di trasmissione intergenerazionale, che tuttavia è stato a lungo assente non solo nella analisi tradizionale delle classi, ma anche nella proposta di Bourdieu. A questo proposito è utile ricordare la necessità di includere nell‟analisi delle disuguaglianze sociali anche la presenza/assenza di fratelli o sorelle, il cui ruolo nella trasmissione dei vantaggi familiari è stato spesso trascurato negli studi tradizionali sulla classe (Conley 2008,). Questi studi, afferma l‟autore, «non sono riusciti a riconoscere il fatto che le risorse dei genitori non sono distribuite in modo uguale a ciascun figlio/a» (ivi, p. 179, trad. mia).

Occorre poi ricordare che, come messo in luce dalle studiose femministe dell‟intersectionality, un‟attenzione particolare deve essere prestata alla questione del genere, e come esso venga declinato nella ricerca empirica. Le disuguaglianze di classe possono operare in maniera diversa per donne e uomini, ed essere qualitativamente

diverse, anche se quantitativamente simili (McCall 2008, p. 298). È importante, quindi,

esaminare l‟interazione simultanea di classe e genere secondo un approccio intersezionale.

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