• Non ci sono risultati.

Lo Spazio/poesia nasce da un’idea di Pier Mario Vello, segretario generale della Fondazione Cariplo di Milano, scomparso nel 2014. Un manager poeta, come lo ricordano in molti. Fra le sue pubblicazioni, oltre ai testi di strategia aziendale, spiccano raccolte di poesia527. Spazio/poesia vuole essere un osservatorio, un luogo concreto "per discutere sulla grande tradizione del Novecento e sul significato del fare poesia oggi", come recita la sua presentazione528. È ospitato dal Laboratorio

527 Vello P. M., Utopia di una margherita, Forlì, L'Arcolaio, 2010; Itinerari atletici: poesie del corpo e del distacco, San Cesario di Lecce, Manni, 2010; La casa sonora: poesie, Forlì, L'arcolaio, 2011.

Formentini per l'Editoria un progetto che raggruppa tante istituzioni accumunate dall'interesse verso la cultura della scrittura e della lettura. Il Laboratorio Formentini è, fra l'altro, dal 2015, la nuova sede della Casa della Poesia di Milano, che fu fondata nel 2005 da nomi della grande poesia italiana, fra i quali Giancarlo Majorino, Tomaso Kemeny, Maurizo Cucchi, Milo de Angelis, Alda Merini. «Oggi viviamo in una dittatura dell'ignoranza della quale sono tutti a vario modo responsabili – dice il presidente della Casa della Poesia, Giancarlo Majorino – a partite da quella scatola da chiodi che è la televisione. E la poesia, per il suo linguaggio, è forse lo strumento più adatto per toglierci da questa mortificazione culturale»529. I suggestivi spazi del complesso della ex Canonica della Chiesa di San Carpoforo, che accolgono il laboratorio, sono stati messi a disposizione dal Comune di Milano. Sostenuti anche dalla Fondazione Cariplo sono affidati alla gestione della Fondazione Arnaldo e Alberto Mondadori. Nel Laboratorio sono così possibili straordinarie sinergie, al servizio della poesia, che attirano nel cuore dello storico quartiere di Brera un pubblico ampio di appassionati. Le voci di mostri sacri della cultura poetica italiana e internazionale, si intrecciano e dialogano con le parole di poeti più giovani.

Marco Corsi è responsabile artistico dello Spazio/Poesia, che rivolge una particolare attenzione nei confronti della giovane poesia. Nell'intervistarlo non posso però dimenticare che anche lui, classe 1985, è un giovane poeta. È stato fra l'altro inserito nel XII Quaderno di poesia italiana contemporanea, della Marcos y Marcos e nel Quadernario. Almanacco di poesia a cura di Maurizio Cucchi.

La conversazione si apre a uno sguardo più ampio con la domanda "Cosa vuol dire essere un poeta contemporaneo?". Pongo questa domanda dopo che Marco mi ha elencato i sui autori di riferimento e si è soffermato sul concetto dei canoni e del rapporto fra tradizione e contemporaneità. Marco risponde, "Essere un poeta contemporaneo richiede un'immersione nella realtà che, o viene provocata dalla storia... con la S maiuscola.. dei fatti... o personale. Oppure necessita di un costante aggiornamento." Marco cita Amelia Rosselli, il cui destino individuale entra nella scrittura di una persona che è però dotata di una capacità personale, praticamente innata. L'aggiornamento lo porta invece a pensare alla poesia sperimentale "una poesia che cerca di strumentalizzare la contemporaneità per cercare i suoi significati... In questa dimensione il contemporaneo diventa una sorta di straniero. Perché, rielaborando le forme e i linguaggi della contemporaneità, inevitabilmente, produce qualcosa che è fuori dalla realtà stessa e che, molto probabilmente, lo rende anche inviso ai suoi contemporanei". Una questione che attraversa tutta l'arte, commento io, ricevendo il suo assenso. "C'è una costante mediazione. Forse è proprio nel bilanciamento di questo meccanismo... di questi pesi... sul suo corretto funzionamento che si misura l'entità vera della poesia... Laddove il contenuto di realtà di un testo... traspare come esigenza individuale. Trova un rispecchiamento pieno fra quello che è il soggetto della scrittura e quello che è il suo oggetto".

Nell'ascoltarlo, sento evocare dentro me, il discorso di Jurij Michajlovic Lotman, che abbiamo visto nel capitolo 4 (Narrazione e poesia), dove invitava ad abbandonare la metafora forma–contenuto, per cogliere nel testo poetico il rapporto struttura–idea: la struttura è condizione per la vita dell'idea530. Un buon testo poetico, è forse quello in cui struttura e idea non sono separabili, in cui si avverte il rispecchiarsi dell'idea nella struttura, o, come dice, Marco del soggetto della scrittura con il suo oggetto.

Sottopongo a Marco la domanda "Come si riconosce un poeta": dentro un flusso inarrestabile di cambiamento della poesia e dei suoi canoni, come si può cogliere chi sta emergendo come poeta? La variabile decisiva, afferma Marco, è il termine "riconoscimento", che io ho appena usato. "Molto spesso, quando mi trovo a parlare con giovani poeti, sento l'esigenza di marcare l'attenzione su questo termine del «riconoscimento». Non si è poeti quando si posta una poesia su Facebook. Non si è poeti... nemmeno quando si legge una poesia al microfono. Si diventa poeti quando la nostra

529 Cfr. Url: da, Luigi Mascheroni, L’appello dei poeti ai politici: salvate la nostra «fortezza», Il Giornale del 16 ottobre 2006, consultabile all'Url: http://www.lacasadellapoesia.com/ShowObj1.asp?ID=5

esigenza incontra l'esigenza di qualcun altro; e ovviamente da lì parte il riconoscimento... in quel particolare contesto credo che giochino un ruolo fondamentale le immagini... che sono la risultante di quel processo... di quella sequenza di parole che si vuole incanalare verso un significato." Marco nota come il suo approccio sia molto testuale. Cerca di prescindere dalla conoscenza che può avere della persona. Il testo deve funzionare anche da solo. Ci sono dei parametri stilistici e retorici, "Però in qualche modo c'è qualcosa che, insieme allo stile, insieme alla forma, ti assale... che, in qualche modo ti strattona... perché ti tira indietro... e quello è il significato". Nota ancora Marco, "I grandi poeti sono dei grandi costruttori di significato... e questo lo si vede, ahimè, tardi. Dico ahimè, ovviamente, perché molto spesso ci accorgiamo che un poeta è veramente grande quando arriva al termine del suo percorso. Perché c'è un cammino di costruzione." Ovviamente, questo rende difficile riconoscere un poeta quando è giovane. Operazione che Marco deve continuamente fare. A questo proposito parla della "volontà di scommettere su un progetto". Quando si legge un giovane, "bisogna liberarsi della passione... dell'innamoramento della parola poesia e di tutto quello che ciò evoca nella nostra mente... bisogna cercare di intravedere una sorta di progettualità... se c'è veramente un cantiere...". Sembra apparire in Marco un atteggiamento opposto a quello di Claudia, nell'operazione di lettura, dove Claudia enfatizzava il "mi deve piacere". Entrambi però pongono attenzione a una lettura di profondità, evocata da Claudia con l'isolamento con cui di dedicava alla lettura della poesia, e da Marco con la distanza dalla personalità dell'autore e dalla passione per concentrarsi nella ricerca del progetto.

Chiedo a Marco, a questo punto, di parlarmi dello stato di salute della poesia in Italia. "Se la salute si dovesse misurare in termini numerici... gode di «ottimissima» salute... Al di là dell'entusiasmo, purtroppo c'è sempre meno disponibilità all'ascolto." Marco non parla solo dell'ascolto fra i poeti e il loro pubblico, ma anche fra i poeti stessi. "Quello che manca in Italia... che impedisce di formulare un giudizio positivo sullo stato di salute della poesia... è il confronto... si antepone l'esigenza della pubblicazione... della personalizzazione, dell'esternazione... troppo poco spesso ci si dedica a una lettura seria e sincera di quello che ci passa intorno".

Chiedo a Marco dei numeri; quelli che fanno dire in apparenza che la poesia gode di "ottimissima" salute. Dalla fine degli anni Settanta, il popolo degli aspiranti poeti è cresciuto fino ad arrivare alla cifra di "1.600 pubblicanti all'anno". Un problema dentro questo numero, nota Marco, è l'assenza di grandi veri maestri. "Quelli che di generazione in generazione hanno costituito una sorta di filtro, rispetto alla tradizione stessa... che hanno indicato, in qualche modo, una direzione". Il panorama, continua Marco, è complesso, aggrovigliato, indefinibile, "Non si riesce, a volte, più a distinguere qual è la differenza fra un canone e l'anticanone... Non si capisce se la tradizione conserva qualche margine di distanza dalla sperimentazione, o se la sperimentazione è diventata tradizione... questo ormai da un ventennio... I parametri si sono rivelati fluidi, incerti... si è parlato di parabole di posizionamento... laddove le stesse griglie che i critici illustri fornivano, si rivelavano assolutamente insufficienti, nei confronti della manifestazioni così diverse". Seguendo le parole di Marco, "fluidi”, “incerti”, “multiformi”, “senza categorie predefinibili", non posso fare a meno di pensare che sono le stesse parole con cui si definiscono molte questioni della società contemporanea. In fondo, gli dico, è lo specchio della società. Se si sostituisce il soggetto “poesia”, la descrizione potrebbe adattarsi ai mondi del lavoro, alla famiglia, all'identità, alle organizzazioni. Marco prosegue il mio ragionamento "Questo forse ci mette al corrente di quanto la poesia faccia parte della nostra realtà. Non solo come forma di espressione ma come esigenza di comunicazione del tempo che si sta vivendo". Mi fa notare che uno dei meriti della collana Lo Specchio, la collana di poesia della Mondadori, è quello di cercare i poeti del nostro tempo, che rappresentano la realtà che sta davanti a noi".

Porto l'attenzione della conversazione sullo Spazio/Poesia. "Cosa vuol dire diffondere poesia? Quali sono le fatiche? A cosa si vuol mirare?". Le serate di poesia a cui ho assistito, nel Laboratorio Formentini, vedono la sala sempre piena. "Ancora mi chiedo se sia la parola poesia a attirare le persone...", risponde Marco, "perché tutti ci si sente poeti... per una fascinazione quasi mistica". Nota Marco, che Spazio–Poesia nasce innanzitutto come esigenza di spazio "Solamente in un

contesto definito, ma aperto, può nascere quel confronto, di cui dicevo prima... quella salutare esigenza di misurarsi con gli altri...". Lo spazio vuole essere un canale, per creare ascolto, dibattito. Nasce dalla curiosità di conoscere i poeti giovani, di conoscere come i poeti più maturi interpretano quella tradizione, "che tutti noi, in termini di poesia, abbiamo alle spalle". Un modo attraverso cui "la qualità si mostra", dice Marco, oltre a quello testuale cui ha accennato prima, è quello di interrogare i poeti, "vedere quale sostanza c'è dietro una modalità di scrittura". Attualmente, in ogni serata, solitamente tre giovani diversi fra loro, per stile, inclinazione, scrittura, cercano di "rendere testimonianza del cammino che stanno facendo... si autolegittimano, mettendo in evidenza ciascuno il proprio territorio... dando al loro spazio, personale e privato, una dimensione di rilievo... se le loro osservazioni conservano l'intenzione della scrittura, questo per me è già un buon segno... in quel giovane che si sta impegnando nella scrittura di poesia, ci sono dei segni, per un possibile futuro". Le parole di Marco, mi riportano alla mente le serate che ho seguito. La sala sempre piena, i presenti ascoltavano con partecipazione alla presentazione di testi dei giovani poeti, che dialogavano con poeti affermati. Avvertivo una dimensione di condivisione e adesione. Espongo a Marco queste mie impressioni, parlandogli di una sorta di "fermento di comunità" che avvertivo. È come se chi si ritrova a leggere poesia incominci a creare comunità.

Gli chiedo di riflettere su questo, se è un'intuizione che ha del vero o se mi sbaglio. Non è solo della poesia, ma la poesia ha qualcosa di particolare. Partecipare a un evento di poesia, vuol dire ritrovarsi dentro una comunità, oltre che intorno a un poeta. "Vissuto dall'interno", dice Marco, "questo aspetto della comunità è un po' una sfida, qualcosa veramente da raggiungere. Al di là delle comunità... delle affiliazioni che si creano, a volte, intorno a un determinato poeta, alla sua visione al suo mondo, al suo magnetismo... che in qualche modo sviluppa e crea una massa, piccola o grande di persone, che volentieri si raccolgono ad ascoltarlo. Come ti dicevo, vissuta dall'interno l'esigenza di creare una koinè, che però all'interno abbia dei dialetti diversi, abbia degli elementi che in maniera dialettica, interagiscano fra loro... è veramente un sfida. Non credo nella distinzione fra il poeta che parla e il pubblico che ascolta... l'ascolto è già una forma di interazione... Mettere in mostra un'officina costituisce non solo una forma di celebrazione degli strumenti che il poeta usa, ma vuol dire anche far entrare, il pubblico, il lettore, all'interno della propria realtà, della propria individualità, della propria soggettività... attraverso quelle parole che spiegano una sua riflessione è come se tu dicessi a qualcuno che viene per la prima volta a vedere la tua casa perché hai scelto di dare un particolare ordine a determinati oggetti... sono questioni estremamente private che soltanto un contatto intimo, in questo senso può fornire... è intimo sia che riguardi due persone, sia una comunità di persone, come tu dicevi, che viene ad ascoltare una persona".

La mia impressione, dico a Marco, è come se venisse risvegliata una dimensione antropologica. Un fenomeno che riguarda tutta l'arte, ma che è più evidente nella poesia, forse per la povertà, o meglio, essenzialità dei suoi mezzi. Non usa altro che la parola. La forza della poesia, è quella di creare un senso dell'essere lì insieme, in quell'attimo, in cui viene pronunciata la parola. Marco condivide e paragona la possibilità di ascoltare un poeta a un concerto rock, a volte "la sensazione equivale a quella di un fan di un cantante andare a vedere un concerto... sapere di avere intorno a sé delle persone, al di là del poeta che parla, che sono lì per il tuo stesso motivo, ad ascoltare quelle stesse parole che in te generano, verosimilmente quelle stesse sensazioni, che prova anche l'altro credo che sviluppi un meccanismo interiore".

Lo seguo nel ragionamento e al termine dico a Marco, che credo ci sia una profonda differenza. Mentre quando vai a vedere il cantante rock ti perdi nella folla – è un tipo di comunità – col poeta (forse) hai la capacità di non perderti, hai modo di riaffermare la tua individualità, – è un altro tipo di comunità, profondamente diversa. Marco è d'accordo con me. "In fondo... al fondo della lettura di una poesia, c'è quella componente resistenziale che comunque è il soggetto. Una poesia può riuscire a commuoverti, però proviene sempre da qualcun'altro... nel momento in cui l'assecondi e la fai tua, la riconosci anche profondamente estranea rispetto a te stesso."

Siamo verso la conclusione, un'ora di conversazione è trascorsa. Nel poco tempo che ci resta propongo a Marco due domande di chiusura, "Qual è il contributo della poesia alla vita" e "Che cosa educa la poesia?".

Marco risponde iniziando con un leggero e complice sorriso, "Per come ho visto... studiato... cercato di indagare determinati fenomeni di poesia... posso dire che uno dei grandi meriti di un testo poetico è quello di educarci alla nevrosi. Intendendo la nevrosi non da un punto di vista clinico, ma da un punto di vista concreto e reale. Laddove si riesca a prescindere da un indirizzo, da una scuola, da un canone, ma si guardi alla realtà della poesia nel suo complesso, evidentemente, la poesia può essere una dei più grandi strumenti di educazione alla differenza, complice il fatto che la differenza può essere strumento del dialogo. Questo perché il contatto assoluto di due esistenze, che pur con i loro codici, pur con i loro segnali, pur con le loro parole, si mettono a confronto quando leggono o ascoltano oppure quando scrivono e leggono una poesia, sono esistenze sostanzialmente nude. Sono chiamate a sfidarsi in un campo, che è neutrale... perché le parole non competono né tanto al poeta né tanto a chi legge. Le parole esistono a prescindere da entrambi. Quindi l'uso, il fatto stesso che le parole diventano uno strumento... di essere, di esserci, e di rappresentare quello che si sente anche negli altri. Credo che una delle esigenze che riguardano la scrittura di poesia, sia anche la riflessione di sé negli altri, il tentativo di andare a trovare con le parole quello che appartiene alla nostra specie, alla nostra comunità di animi, di affetti." Le parole di Marco, uniscono le mie domande in un ampio ragionamento. Obbligati dal tempo, non ci spingiamo oltre. Mi colpisce, il riferimento alla nevrosi, o meglio all'educazione alla nevrosi. Tema che ritroveremo anche nelle interviste successive. Inoltre, non posso non notare che ritorna il tema del rispecchiamento nell'altro, che abbiamo visto spesso negli scritti autobiografici del capitolo 7, qui inquadrato nel rispecchiamento comune in una reciproca umanità.

Ringrazio e saluto Marco del tempo prezioso messomi a disposizione e ci diamo l'arrivederci al prossimo evento di Spazio/Poesia.